La storia di Pierre Seel ci insegna qualcosa di molto importante: non è mai tardi per raccontare, per lottare.
La vicenda di Pierre, quinto figlio di una benestante famiglia alsaziana, comincia col furto di un orologio che questo ragazzo di appena 16 anni subisce in un parco di Mulhouse.
Siamo nel 1939 e quando si reca alla polizia per denunciare l’accaduto il suo nome finisce in una lista: la lista degli omosessuali. Le autorità sanno che quei giardini sono frequentati da quelli che la morale comune definisce “deviati, disturbati, malati”.
Passa un anno e la Francia viene occupata dai tedeschi. La famigerata lista finisce nelle mani della Gestapo che convoca tutti i nomi dell'elenco.
Il 3 maggio 1941 è la volta di Pierre. Lui lo sa cosa sta per succedere ma ci va lo stesso. L’alternativa è essere braccato dalla polizia e finire in pasto all’opinione pubblica. Vedere distrutta la propria immagine e quella della famiglia. Così viene arrestato, interrogato, torturato e infine sodomizzato con un bastone. Dopo due settimane di violenze lo mandano al campo di Schirmeck-Vorbruck, a 30 km da Strasburgo. Qui la vita è durissima, specie per gli omosessuali, che diventano un gruppo da discriminare perfino tra gli internati. Pierre scopre che non c’è solidarietà per chi indossa il famigerato triangolo rosa e deve assistere con rabbia alla morte di Jo, un ragazzo di 18 anni che era stato suo amante, dilaniato dai cani delle SS.
Alla fine del '42, vista la carenza di uomini da mandare sul fronte orientale, Pierre diventa uno dei “Malgré-nous”, i 100mila giovani alsaziani arruolati nella Wehrmacht e inviati a combattere in Russia.
Dopo 3 anni di ferimenti, malattie e sofferenze di ogni sorta anche per il giovane Seel arriva la Liberazione. Per lui però ha un sapore amaro. Quando dopo tante difficoltà riesce a tornare in Francia sa che dovrà mentire su ciò che gli è avvenuto. La guerra è finita ma i pregiudizi verso gli omosessuali sono sempre fortissimi.
Pierre decide di trascorrere una vita che definirà di “tristezza dolorosa”. Mente su se stesso e sulla sua sessualità. Una menzogna che dura 40 anni durante i quali si sposa, ha due figli, divorzia, diventa un alcolista e finisce consumato dalle bugie.
All’inizio degli anni '80 però tutto cambia. Dopo le dichiarazioni omofobe di Léon Arthur Elchinger, vescovo di Strasburgo, Seel esce allo scoperto e dichiara, primo ed unico tra i francesi, di essere stato internato perché omosessuale. Da lì in poi Pierre diventerà uno degli attivisti più tenaci contro l’omofobia, si batterà per ricordare l’olocausto dei gay, racconterà la sua storia in un libro dal titolo “Moi, Pierre Seel, déporté homosexuel”. Nonostante le minacce e le intimidazioni sarà un combattente instancabile per i diritti civili fino alla sua morte, avvenuta nel 2005.