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Nell'analisi del panorama politico contemporaneo, si osserva un fenomeno inquietante: molti intellettuali e dirigenti politici della sinistra, pur rivendicando un'ideologia progressista, si formano su basi teoriche ambigue o addirittura orientate a destra. Questa tendenza non è nuova: ricordiamo come in passato figure come Mussolini fossero influenzate da autori come Sorel, Schopenhauer e Nietzsche, e oggi da pensatori come Heidegger e Carl Schmitt. Questo ampio spettro di influenze, spesso interpretate in chiave di sinistra, può portare a una distorsione delle vere radici marxiste, leniniste e gramsciane. Parallelamente, la critica legittima alla sinistra liberale rischia di intraprendere una direzione pericolosa, quella del socialismo nazionale. Questo percorso minaccia di confondere le acque, avvicinandosi pericolosamente alle posizioni rossobrune, che storicamente hanno funto da copertura all'estrema destra. Questa deriva si manifesta in diversi aspetti. Per esempio, nell'intento di riaffermarsi come punto di riferimento per il proletariato moderno, si finisce per accettare acriticamente i pregiudizi e l'ideologia dominante, anziché sviluppare una coscienza di classe rivoluzionaria. La prospettiva nazionale, che dovrebbe essere la base per un internazionalismo sano, viene scambiata per una subalternità alla cultura nazionalista, spesso cavalcata dall'estrema destra. Analogamente, la giusta critica al femminismo e all'ambientalismo liberali si trasforma in negazionismo climatico e machismo. La critica al pacifismo della sinistra borghese si tramuta in un culto della violenza, caratteristico di una cultura di destra. La necessaria critica al politicamente corretto si trasforma in una contiguità con le posizioni della destra "sociale", confondendo la sovranità popolare con una utopistica e equivoca sovranità nazionale, soprattutto in contesti imperialisti.