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Cronache Ribelli

Cronache Ribelli è un progetto narrativo di rinnovamento della narrazione storica. Raccontiamo la storia degli ultimi. 📚Sito e shop: cronacheribelli.it 👍Facebook: Cronache Ribelli 📷Instagram: Cronache Ribelli Mail: [email protected]

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L'orrore delle deportazioni e degli stermini nazisti sembrano essere senza pari per sistematicità, estensione e brutalità. Eppure i nazisti stessi si trovarono, nel corso della Seconda guerra mondiale, a inorridire di fronte all'efferatezza degli stermini di uno degli stati fantoccio da loro stessi creati: lo Stato Indipendente di Croazia, sotto la guida del fascista Ante Pavelic e dei suoi ustascia, addestrati e appoggiati in Italia negli anni ‘30 da Mussolini. Giunto al potere dopo l’invasione della Jugoslavia da parte della Germania, Pavelic prese il comando di un territorio che corrisponde circa alla Croazia e alla Bosnia di oggi. Lo sguardo degli ustascia si volse subito verso quelli che consideravano “nemici” del popolo croato: serbi, ebrei, comunisti, zingari. Vennero creati dei campi di concentramento sul modello di quelli tedeschi: il più famoso fu quello di Jasenovac, ma anche nei campi “minori” si assistette a violenze e brutalità di ogni tipo. Se i nazisti utilizzavano le camere a gas, gli ustascia ricorsero a metodi tanto sbrigativi quanto brutali. A decine di migliaia i serbi venivano sgozzati sugli altari delle chiese ortodosse o massacrati a colpi di magli e martelli. La testimonianza che riportiamo si riferisce a quanto visto da una guardia di soli 19 anni di nome Joso (“mi arruolai per nazionalismo” dirà, una volta finito nelle mani dei partigiani), di stanza nel campo di Slano. Joso ed alcuni altri giovani ustascia rifiutavano infatti di infierire e massacrare i prigionieri, soprattutto bambini. Quando Luburic, ideatore del sistema di sterminio croato, visitò il campo e seppe della riluttanza dei più giovani, volle parlare loro di persona. “Ebrei e comunisti sono alla stregua delle bestie”, disse loro. Fece portare due bambini e gli ordinò di ammazzarli sul posto con un pugnale. Al rifiuto di Joso, Luburic prese la lama e uccise davanti a lui il primo bambino. Poi gli mise la testa del secondo sotto lo scarpone, ordinando di ucciderlo a calci. “Colpii col piede e schiacciai la testa del bambino.Poi mi ubriacai e così ubriaco violentai alcune ragazze che poi uccidemmo. In seguito non ebbi più bisogno di ubriacarmi.” Quello che può sembrare un momento di particolare crudeltà era la norma nella Croazia di Pavelic, che sterminò poco meno di un quinto di tutta la popolazione dello Stato Indipendente di Croazia nel corso di circa quattro anni. Tra 350mila e mezzo milione di serbi, circa 30mila ebrei (la quasi totalità degli ebrei croati e bosniaci) e 25mila Romanì (praticamente tutti i Romanì croati) vennero sterminati dagli ustascia.
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Tra il 1876 e il 1878 l’india fu sconvolta da una gravissima carestia che uccise dai sei ai dieci milioni di persone. Non fu né il primo né l’ultimo evento di questo genere a colpire il subcontinente nel corso della dominazione britannica. La Fame di Madras - nome col quale venne identificata tale grande carestia citando una delle città più coinvolte - investì un’area grande due volte l’Italia e colpì circa 60 milioni di indiani. Fu in parte dovuta alle particolari condizioni di siccità che colpirono intere regioni indiane in quegli anni ma venne notevolmente aggravata dal comportamento del Viceré inglese Lord Lytton. Le autorità britanniche, infatti, nonostante la grande penuria di cereali non solo aumentarono in maniera rilevante le esportazioni di grano indiane ma si rifiutarono anche di acquistare riso da paesi limitrofi con cui sfamare la popolazione, come era accaduto in altre occasioni simili. Così mentre gli indiani morivano di fame 320.000 tonnellate di frumento venivano esportate sui mercati mondiali contribuendo ad arricchire le casse delle compagnie commerciali e della corona. Ma forse questo al Viceré non sembrava abbastanza, così in occasione del primo “Delhi Dubrar”, ovvero l’assemblea in cui aveva luogo l'incoronazione della regina del Regno Unito a imperatrice d'India, fece organizzare un immenso banchetto, a cui parteciparono 60.000 commensali, tra cui aristocratici inglesi, intellettuali indiani, maharaja e nawab. La cerimonia segnava formalmente il passaggio di tutti i poteri (già sostanzialmente detenuti) in mano britannica. Da allora in poi gli indiani avrebbero molte altre volte convissuto con la paura della fame e si sarebbero dovuti confrontare con almeno cinque grandi carestie, tra cui quella terribile del Bengala durante la Seconda guerra mondiale. Nella foto una famiglia stremata dalla fame nella città di Bangalore.
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Febbraio 1937, Addis Abeba. Alcuni ordigni vengono lanciati in direzione del maresciallo Graziani da parte di membri della resistenza etiope all'occupazione fascista, causando diversi feriti tra i quali Graziani stesso. La reazione del regime fu immediata, con migliaia di etiopi uccisi nei giorni seguenti. Ad altri, invece, considerati vicini all'imperatore Selassié, in esilio a Londra, toccò il confino. Molti finirono in Somalia ed Eritrea ma diverse centinaia vennero inviati in Italia per essere controllati più da vicino. Oltre alle isole già utilizzate per il confino degli antifascisti italiani, un gruppo di etiopi vennero inviati sulla Sila, in Calabria: più precisamente a Longobucco, un piccolo borgo difficilmente raggiungibile in estate e praticamente isolato nella stagione invernale. Caratteristiche che rendevano il posto ideale come luogo di confino e detenzione degli anticolonialisti etiopi: Mussolini stesso, inoltre, ordinò che si evitassero i contatti tra i ribelli e la popolazione di Longobucco. Qualcosa, però, non andò come previsto. I buoni rapporti della Chiesa con Selassié portarono infatti a concedere ai prigionieri un trattamento di riguardo durante la loro permanenza in Calabria. Le occasioni di incontro furono quindi diverse, e la popolazione iniziò a provare simpatia per gli etiopi. Vennero spesso invitati ad eventi pubblici, feste religiose, sagre. Questo nonostante il fatto che, in fin dei conti, grazie anche agli aiuti della Chiesa e al fatto che la loro "prigione" fosse in una vecchia residenza nobiliare, le condizioni di vita dei rifugiati fossero anche migliori di parte della stessa popolazione di Longobucco. Non vi furono gesti di razzismo o intolleranza, per non parlare di odio o violenza. Da prigionieri, insomma, divennero preso ospiti e parte stessa della comunità. Un comunicato risalente al 1939 conferma l'ottima relazione tra locali ed etiopi e parla dell'unico caso di problemi tra le comunità: "Il Signor Maresciallo mi ha confermato che sono disciplinati, rispettosi, non si lamentano e non danno alcun motivo di lamenti. Soltanto il Degiazmacc Mangascià Ubiè, avendo lasciato dubbio di non essersi comportato riguardosamente con donne del paese, fu allontanato ed isolato in altra vicina località, con l’autorizzazione del R. Ministero". Il soggiorno non fu comunque facile per gli etiopi, sempre sotto l'occhio dei gendarmi e costretti a patire il freddo pungente della Sila al quale non erano abituati. Ma il loro ricordo vive ancora sull'altopiano calabrese, e la loro presenza è testimoniata dalla presenza di una piccola comunità mista, figlia di un incontro durato circa 6 anni. La loro prigionia terminerà infine nel settembre del 1943 con l'arrivo degli Alleati in Calabria. Cronache Ribelli
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Abbiamo anche deciso di creare un box con uno sconto importante contenente i tre "classici" da noi pubblicati finora, ovvero Diario di un disertore di Bruno Misefari, O guerra o rivoluzione con gli inediti in italiano sulla guerra di Rosa Luxemburg e questo testo di Gramsci. Lo trovate cliccando qui: https://cronacheribelli.it/products/i-classici-di-cronache-ribelli
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I classici di Cronache Ribelli

Le spedizioni partiranno dal 25 giugno. Chi acquisterà il box avrà in omaggio una spilletta con la famosa frase di Antonio Gramsci "Agitatevi, organizzatevi, studiate".  Solo 60 pezzi disponibili. Antonio Gramsci. Rosa Luxemburg. Bruno Misefari.  Tre nomi fondamentali del pensiero del Novecento e i protagonisti di tre

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Nei suoi scritti e nelle sue missive, Antonio Gramsci ci mostra come la favola possa essere un potente strumento pedagogico e di critica sociale, capace di svelare le storture della nostra società. Un mezzo attraverso il quale promuovere una cultura inclusiva e allo stesso tempo di grande livello intellettuale, ma anche un ponte verso i suoi figli per rompere quell'isolamento a cui il regime lo aveva costretto. Attraverso la scrittura e la traduzione di favole, il pensatore sardo riesce a trasmettere la sua instancabile volontà di perseguire, seppure imprigionato, un’esistenza autenticamente libera. Il nostro ultimo libro "Gramsci e le nuove generazioni" raccoglie questa parte dell'immensa opera di uno dei più importanti uomini del Novecento. I primi 60 acquirenti riceveranno in omaggio una spilletta con la sua famosa citazione "agitatevi, organizzatevi, studiate". Lo trovate qui: https://cronacheribelli.it/products/gramsci-e-le-nuove-generazioni-prevendita
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Gramsci e le nuove generazioni (prevendita)

SPEDIZIONI A PARTIRE DAL 15 LUGLIO Chi acquisterà la prevendita del libro avrà in omaggio una spilletta con la famosa frase di Antonio Gramsci "Agitatevi, organizzatevi, studiate".  Solo 60 pezzi disponibili. Questo libro raccoglie le Traduzioni dalle fiabe dei fratelli Grimm, gli Apologhi e raccontini torinesi e buona

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Non ci andare Giovanna, non ci andare. Questo le aveva detto suo padre Pasquale quando Giovanna gli aveva detto che iniziava a lavorare nella fabbrica di materassi di Biagio Miceri, a Montesano sulla Marcellana. Pensava che la figlia fosse troppo giovane, che quel salario di 1,5 euro l’ora (due per le sue colleghe maggiorenni) fosse una vergogna, che lei doveva studiare per migliorare il suo futuro. Ma Giovanna voleva darsi da fare, voleva aiutare i suoi genitori, padre forestale e madre disoccupata, a mandare avanti la famiglia e così alla fine aveva accettato quello stipendio così basso e quelle condizioni di lavoro terrificanti proposte da Miceri. Non era solo un lavoro mal retribuito ed in nero, si trattava di stare ore e ore, anche più di dieci, in un sottoscala non arieggiato pieno di materiale infiammabile. L’azienda, totalmente illegale, non era registrata presso nessun ufficio pubblico, il locale privo delle elementari norme di sicurezza, i contratti verbali, spesso disattesi, i libretti di lavoro addirittura sequestrati. Insomma un ambiente malsano da ogni punto di vista nel quale donne di ogni età passavano l’intera giornata per portare a casa una ventina di euro. E fu in quell’ambiente che finì la vita di Giovanna e di una sua collega, Annamaria Mercadante, di 49 anni. Nella fabbrica di materassi c’era un impianto elettrico vecchio e non a norma e numerosi materiali infiammabili. E così il 5 luglio del 2006, quando probabilmente un cortocircuito, intorno alle dieci e mezza fece divampare le fiamme, queste presto avvolsero l’intera struttura. Biagio Miceri si diede subito alla fuga abbandonando le sue operaie in mezzo ai fumi. Due di loro riuscirono a fuggire: non Giovanna che, forse per spegnere l’incendio o più probabilmente per salvare Annamaria, collega alla quale era legatissima, tornò sui suoi passi e rimase intrappolata tra le fiamme. Le due donne si rintanarono nel bagno e lì morirono soffocate a causa di una combinazione di monossido di carbonio, benzene e acido cianidrico. Ovviamente non vi erano porte di sicurezza e nemmeno estintori, anzi i vigili del fuoco giunsero appena in tempo per arginare l’incendio prima che arrivasse alle bombole di gas lasciate sulla porta della fabbrica abusiva. Bombole che avrebbero fatto saltare in aria l’intera palazzina - comprese le scuole elementari pubbliche lì presenti. Tutti in paese sapevano della fabbrica abusiva, comprese le istituzioni. I vigili locali l’avevano multata per non aver pagato alcune imposte comunali ma non avevano certo chiamato l’ispettorato del lavoro o fatto una denuncia, mentre il sindaco di un comune vicino era la persona che aveva “procurato l’impiego” a Giovanna. Giovanna, morta a 15 anni per un euro e mezzo l’ora.
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