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Israele e Medio Oriente🇮🇱🇮🇱🇮🇱🇮🇱🇮🇱

ISRAELE e Medio Oriente

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A seguito di un attacco di Hezbollah È stato segnalato un impatto e un incendio Nahariyah.
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IDF: In seguito alle sirene suonate poco fa nella zona di Nahariyya riguardo ad un'infiltrazione di aerei ostili, si è accertato che si trattava di una falsa identificazione. Inoltre, poco tempo fa, aerei da combattimento dell’IAF hanno colpito una struttura militare di Hezbollah nell’area di Ayta ash Shab, così come l’infrastruttura terroristica di Hezbollah nell’area di Tayr Harfa, nel sud del Libano. Inoltre, i soldati dell'IDF hanno sparato per rimuovere una minaccia nell'area di Rachaya Al Foukhar, nel sud del Libano.
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Insomma, gli ostaggi sono da sempre una moneta di scambio potente, capace di piegare la volontà altrui e ottenere concessioni. La minaccia alla vita di un individuo funge da elemento di costrizione psicologica che spinge alla capitolazione di fronte al carico emotivo e morale. L’utilizzo di vite umane come merce di scambio in negoziati solleva dilemmi etici profondi che toccano la dignità umana, i diritti individuali e i principi di giustizia, aprendo un variegato panorama di riflessione. Non si può escludere che alcuni prigionieri rimangano in ostaggio della situazione per anni, trascinando nel tempo le loro famiglie in un percorso di angoscia e
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a a  M I nostri contenuti Scopri Aliseo Plus Report3 Libreria Lumina Podcast Scopri Aliseo Chi siamo La Redazione Collabora con noi Contattaci Eventi Esteri Direttiva Hannibal: la questione degli ostaggi e l’equilibrio tra sicurezza e diritti La Direttiva Hannibal di Israele tra implicazioni etiche, aspetti operativi e l'equilibrio tra la sicurezza nazionale e il rispetto dei diritti umani   Ilya D'Antonio 20 Feb, 2024 Il rapimento di soldati e civili da parte dei militanti palestinesi ha riacceso la discussione riguardo alla strategia della gestione degli ostaggi di Israele; un’ombra che si insinua nei recessi più oscuri della memoria collettiva di un popolo la cui tradizione è quella di fornire un rifugio sicuro agli ebrei di tutto il mondo. Israele si confronta con un evento senza precedenti, anche se la sua storia è punteggiata da episodi analoghi che hanno forgiato la sua identità e la sua tenacia. Il timore di Israele per la sorte degli ostaggi affonda le sue radici nelle tradizioni storiche e religiose ebraiche. Il principio del riscatto è un pilastro dell’ebraismo, simbolo di solidarietà e riconoscimento. Il riscatto, però, secondo il Talmud – testo sacro e colonna portante della vita spirituale e culturale ebraica – non dovrebbe in alcun caso rinforzare il nemico o rendere gli ebrei obiettivi privilegiati. Vi è un solenne impegno morale che lega le Forze di Difesa Israeliane (Tsahal) alla comunità: la salvaguardia dei propri compagni è considerata la più sacra delle priorità. Qualsiasi mancanza in questo dovere è percepita sia come una macchia di disonore oltre che come una minaccia alla sicurezza nazionale. In una nazione dalle dimensioni contenute ma dalla grande unità di spirito, l’evento di un rapimento di un suo cittadino scuote l’intero tessuto sociale, con i media che risuonano di questa tensione collettiva e invocano una risposta pubblica immediata e risoluta. Alcuni israeliani credono fermamente nella politica di intransigenza, basata sulla difesa degli interessi statali, altri propendono per il dialogo. La risolutezza nel non piegarsi di fronte a rapimenti si fonda sull’obiettivo di sventare ogni tentativo di estorsione e di non potenziare l’oppositore, evitando sia concessioni che la liberazione di detenuti. Il timore che palestinesi precedentemente imprigionati possano tornare a colpire i cittadini di Israele rafforza il concetto di non alimentare la forza antagonista. L’esultanza per il rientro dei prigionieri palestinesi, spesso strumentalizzata per scopi propagandistici, è percepita come una minaccia tattica ben maggiore rispetto all’obbligo morale verso i militari sequestrati, e il senso di umiliazione di concessioni fatte in passato ad Hamas ed Hezbollah è tutt’oggi un vivido ricordo nella Terra di Davide. Ciononostante, non si può affermare che ogni scarcerazione porti inevitabilmente a nuovi atti di violenza. Visioni riduttive e superficiali di questo tipo non possono catturare l’intera complessità delle dinamiche in gioco. La direttiva Hannibal Per comprendere a fondo la posizione di Israele sulla gestione degli ostaggi, occorre fare un passo indietro e richiamare l’attenzione verso un particolare modus operandi di Tsahal: la Direttiva Hannibal. Si tratta di un protocollo militare istituito nel 1986 e finalizzato a precludere la cattura di soldati israeliani durante i combattimenti. L’intento principale era evitare che il nemico potesse portar via i prigionieri, benché questo implicasse rischi per la sicurezza dei militari e dei civili nelle vicinanze. La direttiva è stata esplicitamente attuata a livello tattico durante i conflitti con il Libano e Gaza con l’obiettivo di prevenire che i terroristi catturassero civili o soldati israeliani per utilizzarli come merce di scambio. In tali contesti bellici, le risposte di Tsahal sono state caratterizzate da un uso della forza eccessivo secondo l’opinione di molte testate internazionali.
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Aliseo, un giornale che spiega a cosa serve la geopolitica

Questa ferocia ha purtroppo portato ad un numero indiscriminato di vittime civili, mentre i militanti cercavano di ottenere prigionieri, dato che non potevano competere in termini di equipaggiamento militare con l’esercito israeliano e necessitavano di una “valuta” valida. Non sorprende, quindi, che all’epoca la filosofia del Generale di Brigata Tzvika Fogel fosse: “Tra una madre israeliana che versa lacrime e 1.000 madri palestinesi che piangono, scelgo la seconda”. Il dibattito sull’etica e l’uso effettivo di tale dottrina si è intensificato, portando alla sua abrogazione non ufficiale da parte delle forze armate israeliane nel giugno 2016. In quel periodo, le opinioni discordanti tra i militari riguardo la validità di un approccio così draconiano erano palpabili. Vi sono sostenitori della tesi per cui diversi civili uccisi durante il Nova Festival del 7 ottobre siano morti direttamente per mano di soldati israeliani per evitare che Hamas potesse farli prigionieri, secondo quel principio per cui “l’unico prigioniero buono è un prigioniero morto”. Le interpretazioni che si evincono da questa dottrina tracciano quadri di grande complessità. La prima lettura propone che Hannibal costituisca un estremo sforzo di salvare l’ostaggio attraverso l’intenzionale generazione di disordine. L’intento dovrebbe essere quello di scompigliare i sequestratori, fornendo alla vittima l’opportunità di evadere. Da questa angolazione, la sicurezza dell’ostaggio si pone come una priorità. Una seconda lettura, invece, evidenzia la potenziale accettazione del sacrificio del militare, viste anche le dichiarazioni di alcuni soldati israeliani che esprimono la preferenza di morire piuttosto che essere utilizzati come merce di scambio. Secondo questa linea di pensiero, la morte di un militare è vista come alternativa più tollerabile rispetto alle complicate dinamiche di interminabili negoziazioni. Di fronte a richieste di rilascio giudicate eccessive, spetta allo Stato di Israele la responsabilità di esplorare vie alternative al dialogo o di rifiutarlo completamente. L’intenzione di Hamas pare voler saturare profondamente il tessuto del conflitto, intessendo con destrezza le sue molteplici sfumature. Il sequestro su larga scala porta l’azione di Hamas a un inedito livello temporale, con la possibilità di estendere il conflitto per anni, erigendo un muro al lutto finché ogni prigioniero di guerra non tornerà a casa. Come Hamas tenterà di sfruttare gli ostaggi Il grande numero di prigionieri rende difficile per Israele accordare compensazioni paragonabili a precedenti accordi, come lo scambio di molti detenuti per un unico cittadino israeliano. Hamas, ben consapevole di questa sfida, sta giocando le proprie carte con sagacia. Un intervento di salvataggio diretto rimane complesso, e le tregue in quest’area del mondo non sono destinate a durare a lungo, quasi a sottolineare che sono talmente abituati a combattere che smettere è impensabile. Netanyahu ha annunciato che l’intesa per la liberazione di alcuni dei sequestrati “è una scelta ardua, tuttavia necessaria”, e la necessità di pervenire ad un accordo in tempi brevi è chiara, vista l’inefficacia delle azioni manu militari. È essenziale per lo Stato ebraico negoziare una sospensione delle ostilità di lunga durata, non solo per placare l’inquietudine di una vasta porzione dell’opinione pubblica preoccupata per la sorte dei sequestrati, ma anche per rispondere alle pressioni internazionali visto che tra gli ostaggi figurano anche cittadini stranieri. Si può presumere che Hamas tenterà di capitalizzare la liberazione parziale per ottenere ulteriori vantaggi, possibilmente tramite interruzioni temporanee delle battaglie. La fazione palestinese, conscia dei propri limiti bellici, appare incline a una tattica dilatoria, contando sulla pressione globale, aggravata dalle preoccupazioni per le vittime civili, per forzare la mano a Israele affinché cessi gli scontri.
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L'organizzazione Hezbollah minaccia implicitamente di infiltrarsi nelle postazioni dell'IDF al confine: Poco fa ha pubblicato un video con una citazione di uno degli ultimi discorsi di Nasrallah, secondo il quale se gli agenti di Hezbollah avessero voluto entrare nelle posizioni dell'IDF, lo avrebbero fatto
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IDF: L'IDF ha completato un'esercitazione dello stato maggiore generale per aumentare la prontezza nell confine settentrionale Questa settimana, l'IDF ha condotto un'esercitazione nei centri di comando dello Stato Maggiore Generale come parte della preparazione dell'IDF per una campagna nell'area settentrionale. Soldati regolari e riservisti hanno partecipato all'esercitazione presso il quartier generale del Comando Nord e in tutte le filiali e direzioni dell'IDF. L'esercitazione prevedeva scenari che simulavano una guerra estesa nell'area settentrionale, nonché una guerra in più luoghi. Come parte dell'esercitazione, la 36a Divisione ha condotto un'ampia simulazione a livello di divisione che includeva scenari di combattimento nell'area settentrionale. Durante l'esercitazione, il Capo di Stato Maggiore Generale, LTG Herzi Halevi, ha visitato il Centro Operativo del Comando Nord, i centri di comando nella regione e il Centro Operativo dell'Aeronautica Militare israeliana a Kirya con il Comandante del Comando Nord, MG Ori Gordin , l'ufficiale in comando dell'aeronautica israeliana, Magg. Gen. Tomer Bar, il capo della direzione dell'intelligence (J2), MG Aharon Haliva, il capo della direzione delle operazioni (J3), MG Oded Basiuk e altri comandanti. L’IDF continua a rafforzare la sua prontezza in ogni momento e ad imparare lezioni durante il corso della guerra. In allegato il filmato della visita del Capo di Stato Maggiore Generale al Comando Nord e al Centro Operativo dell'Aeronautica Militare israeliana: https://bit.ly/455rU3R In allegato sono riportate le foto della visita del Capo di Stato Maggiore Generale al Comando Nord e al Centro Operativo IAF: https://IDFANC.activetrail.biz/ANC65250855 In allegato c'è un video correlato: https://bit.ly/3Kq3GrC In allegato sono riportate le foto correlate: https://IDFANC.activetrail.biz/ANC645468
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