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ATTENTATO A DONALD TRUMP Ieri Trump ha vinto le elezioni. Lo scarto di un centimetro, nella traiettoria del proiettile, poteva determinare la sua morte oppure la sua santificazione. Gli è andata bene, e ora Donald Trump, agli occhi dei suoi sostenitori, è santo a tutti gli effetti. E la sua preenza di spirito, nel sollevare subito il pugno e gridare “Fight! Fight! Fight!” mentre lo portavano via sanguinante, ha dimostrato come sia dotato di un istinto primordiale che gli permette di trasformare qualunque attacco alla sua persona in qualcosa che lo rende eroico agli occhi del suo pubblico. Che siano le accuse diffamanti di Stormy Daniels o un proiettile alla testa, Trump riesce sempre ad apparire come vittima eroica delle avversità che incontra sul suo cammino. E vedrete che nei prossimi giorni, quando avrà modo di articolare meglio quello che gli è successo, presenterà questo attentato come un gesto disperato da parte del Deep State che vuole farlo fuori perchè lui è un personaggio scomodo, controcorrente, e quindi sostanzialmente dalla parte del popolo. Per questo dico che Trump ieri ha vinto le elezioni: perchè da domani fino al 7 di novembre potrà recitare tranquillamente la parte della vittima di quel potere oscuro che lui naturalmente vuole combattere in nome di tutti gli americani. E beato chi ci crede. Massimo Mazzucco
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DANIMARCA: CARBON TAX SULLE MUCCHE Come annunciato dalla Associated Press https://apnews.com/article/denmark-cow-tax-greenhouse-gases-9a570518639e0a1990806fd1a05ac11a , la Danimarca sarà il primo paese al mondo ad imporre ai suoi allevatori una tassa per le “emissioni di metano” dei loro animali (peti e rutti di mucche, pecore e maiali, sostanzialmente). A partire dal 2030, gli allevatori danesi saranno tenuti a pagare una tassa di 300 corone (circa 40 euro) per tonnellata di anidride carbonica equivalente prodotta dai loro animali. La misura naturalmente viene fatta passare sotto l’ombrello della “lotta al cambiamento climatico”, nel nome della quale ormai si può autorizzare praticamente qualunque cosa. Poco importa che la discussione scientifica sulle vere cause dell’aumento di CO2 sia tutt’altro che conclusa. Il mainstream ha già deciso che la colpa è del metano prodotto dalle mucche, e quindi si mettono nel mirino gli allevatori del settore. Ufficialmente, i ricavati di questa tassa verranno usati “per favorire la transizione verde dell’industria agricola”, ma è evidente che il vero scopo non sia quello di salvare il pianeta, quanto piuttosto di penalizzare al massimo gli allevatori privati, in modo da prendere il controllo della catena alimentare e passarlo nelle mani delle grandi multinazionali. Insomma, anche in tempi di “cambiamento climatico”, niente di nuovo sotto il sole. Massimo Mazzucco
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Gassy cows and pigs will face a carbon tax in Denmark, a world first

Denmark will tax livestock farmers for the greenhouse gases emitted by their cows, sheep and pigs from 2030, the first country to do so as it targets a major source of methane emissions, one of the most potent gases contributing to global warming.

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10 chilometri - Domanda ai direttori di giornale
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IL MATTARELLA DOUBLE-FACE Ieri a Trieste il capo dello stato ha tenuto un discorso “importante” sullo stato della democrazia. Nel sottotesto si legge una evidente paura per “l’onda nera” che avanza in Europa. Il problema è che Mattarella, nel cercare di appellarsi ai più sani principi costituzionali, ha talmente stiracchiato i suoi ragionamenti da andare a smentire quello che lui stesso aveva detto un paio di anni fa, durante il covid. Citando Norberto Bobbio, infatti, Mattarella ci ha ricordato che la democrazia deve porre “dei limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze.” Mattarella dice anche che “non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”. Una democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà.” E poi, alla domanda “a cosa serve la democrazia?”, Mattarella risponde: “Serve a riconoscere – perché preesistono, come indica l’art. 2 della nostra Costituzione - e a rendere effettive le libertà delle persone e delle comunità.” Ohibò! Ma non era lui che aveva detto “Non si invochi la libertà per sottrarsi alla vaccinazione”? Non era lui che ci diceva che la maggioranza ha diritto di imporre la propria volontà a tutti, nel nome dell’interesse collettivo? Certo che era lui. Ma ora tutto è cambiato. Ora il babau è diventato “l’onda nera che avanza”, e quindi di colpo il nostro presidente si ricorda il diritto delle minoranze a non essere schiacciate dalla maggioranza, e i diritti del singolo cittadino che vanno protetti "come dice la costituzione". Avete visto come è facile “interpretare” a proprio piacimento un testo che dovrebbe essere universale e scolpito nella pietra? Se serve imporre la vaccinazione a tutti, allora “non si invochi la libertà” e si ubbidisca ai diktat del governo. Se serve difendersi dall’ ”onda nera che avanza”, allora i diritti dell’individuo ritornano in primo piano e vengono invocati a gran voce dal Presidente della Repubblica. Non dico parolacce, solo perchè compirei un reato di offesa al capo dello stato. Massimo Mazzucco
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COME IN ALTO, COSI' IN BASSO In queste ore sta prendendo piede sui social una curiosa analogia: Spalletti come Biden. Esattamente come al presidente USA, dopo una performance deludente, viene chiesto a gran voce di dimettersi, così oggi a Luciano Spalletti, dopo la figura pietosa fatta agli europei dalla nostra nazionale, viene chiesto di andarsene a casa. Ed esattamente come Biden, che ha detto “no, io rimango”, ora anche Spalletti dice "responsabilità mia, ma vado avanti". Non lo trovate fantastico? Da una parte un presidente degli Stati Uniti, ormai bollito e chiaramente incapace di comandare, che si interstardisce a restare comunque allla guida della nazione, dall’altra un tecnico che riesce ad ammettere, nella stessa frase, che la responsabilità della figuraccia è sua, ma che lui resta comunque a guidare la nazionale. Ovviamente la riflessione qui non è di tipo calcistico (doveva giocare Georginho al posto di Fagioli) ma riguarda l’attaccamento al potere degli esseri umani. Individui che arrivano ai vertici con grande fatica, e che una volta arrivati non vogliono più mollare, anche se la realtà ti dice in faccia che dovresti umilmente tornartene a casa. Proprio nel momento di rappresentare un’intera nazione – sia a livello politico che a semplice livello sportivo – l’egocentrismo e l’amore per i privilegi del singolo prevalgono sull’interesse collettivo. Eppure ci dicono che quella occidentale sia la migliore società possibile. Mah, sarà. Massimo Mazzucco
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JULIAN ASSANGE ESCE DI PRIGIONE Julian Assange è stato liberato e sta viaggiando verso l’Australia, la sua nazione di origine. Ma dovrà fare ancora una fermata importante, alle Isole Marianne, prima di essere completamente libero. Le Marianne sono infatti un territorio americano del Pacifico, e qui Assange dovrebbe firmare con il giudice locale l’accordo patteggiato con il governo USA, che prevede la rinuncia da parte degli Stati Uniti di ulteriori persecuzioni penali contro di lui, in cambio di una sua parziale ammissione di colpa. Dopodichè gli Stati Uniti chiederanno una condanna pari o inferiore al periodo già scontato in prigione da Assange, il quale potrà ritenersi un uomo libero a tutti gli effetti. Tutto questo ovviamente è solo il teatrino esteriore, che permetterà agli Stati Uniti di dire che “Assange ha riconosciuto di essere colpevole, e ha già espiato la sua colpa in prigione”. Ma la sostanza del problema non cambia di una virgola: Assange è stato perseguitato per quindici anni semplicemente per aver fatto il suo mestiere di giornalista. Ovvero, ha reso pubblici dei documenti che aveva ricevuto dall’analista-whistleblower Bradley Manning (oggi Chelsea Manning, dopo il cambio di sesso). Proprio per capire la reale valenza di questa persecuzione, basterà pensare che Chelsea Manning ha fatto solo sette anni di prigione, per avere trafugato dei documenti secretati, mentre Assange ne ha fatti praticamente il doppio (se calcoliamo anche i sette anni di clausura nella ambasciata ecuadoriana a Londra) solo per averli resi pubblici. Il messaggio degli USA quindi è stato chiaro, ed è diretto a tutti gli altri giornalisti del mondo occidentale: “Anche se vi capitassero fra le mani dei documenti scottanti, non provateci nemmeno lontanamente a pubblicarli. Altrimenti farete la stessa fine che ha fatto Assange.” Né peraltro dobbiamo illuderci che la liberazione di Assange sia in qualche modo legata ad un remoto principio di giustizia, che avrebbe finalmente prevalso sulla palese ingiustizia perpetrata fino ad oggi contro di lui. Questa liberazione è stata chiaramente voluta dall’amministrazione Biden in questo momento politico, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali. Biden infatti sta già subendo una emorragia di voti nella sua base democratica, a causa della sua posizione spudoratamente a favore di Israele, e non poteva certo permettersi ulteriori attacchi da parte dei suoi elettori nel caso di una estradizione di Assange negli Stati Uniti. È stata quindi una scelta politica quella di perseguitarlo per 15 anni, così come è stata una scelta politica quella di ridargli la libertà proprio in questo momento. I valori per cui tutti noi combattiamo - libertà, giustizia e democrazia - in questo caso non c’entrano nulla. E’ questo purtroppo il vero messaggio che possiamo trarre da questa triste storia: viviamo in un’epoca di pragmatismo assoluto, dove i valori più importanti possono essere tranquillamente calpestati a seconda del fine politico più urgente in quel momento. Certamente, la liberazione di Assange ci fa un enorme piacere per la sua persona, ma dal punto di vista della dittatura travestita da democrazia nella quale viviamo, non cambia assolutamente nulla. Massimo Mazzucco
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ISRAELE NON VUOLE SAPERE In Israele hanno deciso che è meglio non guardare sotto il tappeto. Dopo lunghe contestazioni, la suprema Corte di Giustiza di Israele ha ordinato al supervisore nazionale (una specie di commissario d’inchiesta), Matanyahu Englman, “di sospendere qualunque aspetto della sua indagine sui fallimenti relativi agli attacchi di Hamas del 7 ottobre che riguardano l’IDF e lo Shin Bet, l’agenzia di intelligence nazionale”. In altre parole, Israele non vuole sapere come abbia potuto Hamas attraversare così facilmente le barriere che circondano Gaza, arrivando indisturbati fino ai kibbutz indifesi, senza incontrare alcuna resistenza da parte dell’esercito israeliano. Come tutti sanno infatti, se c’è una zona iperprotetta e impenetrabile al mondo è proprio la barriera di Gaza. E se c’è un esercito al mondo che eccelle nell’utilizzo dei più sofisticati sistemi di sorveglianza esistenti, quello è certamente Israele. La domanda resta quindi in sospeso, e di certo in questo momento non c’è una gran voglia di trovarle una risposta. Per capire quanto sarebbe imbarazzante questa risposta, basta guardare le puerili giustificazioni che sono state addotte dall’esercito e dagli stessi servizi israeliani per voler bloccare l’inchiesta: “Questa iniziativa danneggerebbe le capacità operative dell’IDF, mentre si teme che l’indagine possa ignorare le responsabilità politiche per la devastante invasione e per i massacri”. Come a dire “non venite da noi, sono stati quelli del governo che ci hanno obbligato ad abbassare la guardia”. A sua volta, il capo di Stato maggiore dell’esercito, il generale Herzi Halevi, ha detto che questa indagine “potrebbe distrarre l’attenzione dei comandanti dalla battaglia, danneggerebbe le loro capacità operative di indagine, e non permetterebbe di trarre lezioni utili ai fini della guerra in corso”. Come dicevamo, la inconsistenza delle scuse denuncia il pieno imbarazzo per quanto potrebbe emergere, a tutti i livelli, da una indagine approfondita sulle vere responsabilità del 7 ottobre. Un pò come per l’11 settembre, ma con una differenza: per gli attentati alle Torri Gemelle gli americani sono riusciti ad imporre una narrativa nella quale “loro sapevano, ma le informazioni erano confuse e non sono riusciti a connettere i puntini”. L’hanno chiamata “incompetence theory”, e gli americani se la sono bevuta. Israele deve invece ancora trovare il modo di spiegare alla sua popolazione come sia stato possibile subire un attacco che era in preparazione da più di un anno sotto gli occhi di tutti, e del quale tutti sapevano assolutamente tutto fin dall’inizio. Non sarà certo facile. Massimo Mazzucco
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DONALD TRUMPO E IL FUTURO DEI PALESTINESI Una vittoria di Donald Trump alle elezioni di novembre rappresenterebbe di sicuro un forte cambiamento nella situazione geopolitica mondiale, con una probabile riduzione del supporto americano per la guerra in Ucraina - e per tutte le guerre in generale. Nella scorsa presidenza (2016-2020) Trump ha dimostrato di non essere un guerrafondaio al servizio del Deep State, e nulla fa pensare che dovrebbe comportarsi in modo diverso nella nuova presidenza. Ma c’è qualcuno che rischia di pagare a carissimo prezzo questa nuova, eventuale presidenza di Donald Trump, ed è il popolo palestinese. Pare infatti che Donald Trump sia disponibile ad appoggiare la definitiva annessione della Cisgiordania allo Stato di Israele. CHI SONO GLI ADELSON Come riporta la testata ebraica “Forward”, la miliardaria Miriam Adelson è pronta a finanziare generosamente la campagna elettorale di Donald Trump. Miriam Adelson è la vedova di Sheldon Adelson, il magnate ebreo dei casinò che nel 2016 fu il maggior contribuente alla campagna elettorale di Donald Trump. Sheldon Adelson era anche uno dei più entusiasti sostenitori del trasferimento della capitale d’Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. E curiosamente, un anno dopo la sua elezione, Donald Trump riconobbe Gerusalemme come nuova capitale di Israele. Sheldon Adelson compariva raggiante, in prima fila, durante le celebrazioni dell’evento. Nel corso della sua presidenza, Trump si è anche ricordato di conferire alla moglie Miriam la Medaglia Presidenziale alla Libertà nel 2018 (vedi foto del titolo). Ora la situazione sembra ripetersi, ma la posta in gioco è molto più alta: Sheldon Adelson non c’è più, ma la vedova – che è una convinta sostenitrice dell’annessione della Cisgiordania allo Stato di Israele - è pronta a finanziare la campagna elettorale di Trump con una donazione di 100 milioni di dollari. Si presume che prima di staccare quell’assegno voglia assicurarsi che Trump sia favorevole ad appoggiare il piano di annessione della Cisgiordania. Ma la Adelson non dovrebbe trovare grossi ostacoli nel candidato repubblicano, visto che già nel piano di pace messo a punto da Trump nel 2020 si prevedeva l’annessione di una parte dei territori occupati (le famose “colonie ebraiche” in Cisgiordania, che al momento sono considerate illegali a livello internazionale). Sionista dichiarata, in una intervista al New York Magazine la Adelson – che è l’ottava donna più ricca al mondo, e la più ricca di Israele – ha definito la questione della Cisgiordania come “unfinished business”, ovvero “lavoro da completare”. Vedremo quindi il facchino Trump all’opera – se vincerà le elezioni – e vedremo quali acrobazie verbali riuscirà ad inventarsi per giustificare questo definitivo tradimento del popolo e della storia palestinesi. Massimo Mazzucco
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Joriy rejangiz faqat 5 ta kanal uchun analitika imkoniyatini beradi. Ko'proq olish uchun, iltimos, boshqa reja tanlang.