#MILANO *Ilaria Salis* : 𝗣𝗮𝗿𝗹𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗮𝘀𝗲 𝗽𝗼𝗽𝗼𝗹𝗮𝗿𝗶, 𝗼𝗰𝗰𝘂𝗽𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶, 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗮𝗯𝗶𝘁𝗮𝘁𝗶𝘃𝗮.
Come promesso, veniamo alla situazione milanese e lasciamo parlare subito alcuni dati, che sono di per sé sufficientemente eloquenti.
A Milano le case popolari sfitte sono più di 12mila, di cui oltre 5mila appartengono a ERP (gestite da MM) e più di 7mila ad ALER - in tutta la Città Metropolitana arrivano a quota 15mila.
Gli alloggi non allocati di ERP rappresentano il 19,5% delle circa 27mila case popolari gestite dall’ente comunale, mentre quelli di ALER il 21,7% delle 32.022 in capo all’ente regionale (dati Confedilizia, sett. 2023).
Dunque, un quinto (!) delle case popolari non è assegnato.
Eppure non sono affatto poche le persone che hanno bisogno di una casa popolare, in Italia ci sono quasi un milione di persone che non riescono a pagare l'affitto. Per quanto riguarda Milano, dalla somma delle graduatorie di ALER e ERP risulta che a fine 2023 erano in lista d’attesa oltre 10mila famiglie (Sole 24 ore, giugno 2024).
Di queste, sono in tante ad attendere a lungo – spesso invano – l’assegnazione, che potrebbe non arrivare mai pur soddisfacendo tutti i requisiti. Nell'ultimo triennio, di fronte a 5.894 assegnazioni di alloggi permanenti previste dalle due aziende, le abitazioni effettivamente assegnate sono state meno della metà, ovvero 2.818. (dati SICET, aprile 2024)
Davvero è tutta colpa degli occupanti?
Innanzitutto, si sappia che le case occupate – circa tremila (dati Confedilizia, sett. 2023) – rappresentano solo una piccola parte delle case sfitte, un numero di gran lunga inferiore a quello di abitazioni lasciate vuote. L'abbandono è letteralmente ovunque. Tutti abbiamo gli occhi per vedere, ma non tutti hanno l’onestà intellettuale di ammettere questa verità, triste e scomoda per chi è incaricato di gestire l'edilizia pubblica.
Quando viene occupata una casa non assegnata, che generalmente si trova in condizioni fatiscenti ed è abbandonata da anni, l’accusa di sottrarre il posto ad una persona in lista d’attesa semplicemente non regge. Chi entra in una casa disabitata prende senza togliere a nessuno, se non al degrado, al racket o ai palazzinari. Affermare il contrario, è bassa retorica politica volta a mettere gli uni contro gli altri, affinché nulla cambi.
Qualsiasi abitante di un quartiere popolare di Milano sa benissimo che a seguito di uno sgombero non avviene mai una riassegnazione. Le case vengono chiuse, murate e lamierate, alle volte sono anche distrutte dagli addetti agli sgomberi. Di regola, fanno il deserto e lo chiamano legalità.
Dunque, incolpare gli occupanti per il dissesto dell'edilizia popolare pubblica sottolinea o la malafede di chi ben conosce il vuoto pneumatico delle politiche sull'abitare, l’incompetenza degli enti gestori e la speculazione sul mattone, o l'ignoranza abissale di chi non ha mai messo i piedi fuori dalla circonvallazione.
Delle due, francamente non so quale sia peggio.
Vivere in una casa occupata non è una svolta, non è qualcosa da "furbetti".
E' logorante. Ti fa vivere quotidianamente nella paura che ti vengano a svegliare e ti buttino fuori di casa, o di ritrovare tutte le tue cose sul marciapiede al ritorno dal lavoro, sempre che le ritrovi. Occupare vuol dire entrare in una casa abbandonata, murata, coi sanitari rotti e i buchi nelle pareti, lasciata al degrado anziché essere assegnata. Essere occupante vuol dire abitare questo spazio precario e faticosamente trasformarlo in un luogo che si possa chiamare casa, cercando di sistemarlo coi pochi mezzi a disposizione che si hanno.
Con l'introduzione dell' art.5 del decreto Lupi (2014), un occupante non può più avere né l'allaccio alle utenze (acqua, luce, gas), né la residenza e i diritti ad essa legati - ad es. il medico di base, l'accesso a un nido pubblico vicino a casa per i bimbi, l'iscrizione ai centri per l'impiego.