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I Maestri del Socialismo

Formazione e informazione politica, storica e filosofica per un canale gestito da Alessandro Pascale.

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SULLA VITA "SPIRITUALE" SOCIALE Da dove originano la corruzione delinquenziale e il degrado morale della società se non dalla società stessa? Quando vi sia una società borghese, capitalista, non c’è da stupirsi che entri in crisi la moralità pubblica, oltre che individuale. Spazio a Kelle e Kovalson: «Il marxismo studia appunto le vie e i mezzi per l’edificazione di una società, in cui i beni materiali vengano distribuiti secondo i bisogni di tutti i membri della società. Ma sarebbe ridicolo pensare che per i marxisti l’abbondanza dei beni materiali sarebbe un fine a se stante. Le cose stanno ben diversamente. l’esperienza storica dimostra che quando all’abbondanza dei beni materiali non si accompagna lo sviluppo spirituale della società: morale, estetico, ecc., senza l’apparizione di esigenze spirituali più elevate, senza il perfezionamento sotto tutti gli aspetti della persona umana, la società cade nello stato di sazietà e di degenerazione. Il marxismo considera l’abbondanza dei beni materiali soltanto come la condizione necessaria e la base dello sviluppo di ogni individuo, del manifestarsi di tutte le aspirazioni spirituali e delle facoltà creatrici dell’uomo. […] La vita spirituale della società non è solo produzione di idee, ma è anche il processo di funzionamento della coscienza sociale, cioè della sua interazione con la coscienza individuale. Essa comprende la lotta di idee dei diversi gruppi sociali e classi, lo scambio di opinioni, di idee, di teorie, la loro apparizione e il loro sviluppo. La vita spirituale della società è indissolubilmente legata alla vita sociale, riflettendo i processi sociali, le collisioni, i conflitti ed è in correlazione organica con le molteplici attività degli uomini». [Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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L’ORIGINE DELLA CORRUZIONE E DEL DEGRADO MORALE «Noi respingiamo ogni pretesa di imporci una qualsiasi dogmatica morale come legge etica eterna, definitiva, immutabile nell’avvenire, col pretesto che anche il mondo morale abbia i suoi princìpi permanenti, che stanno al di sopra della storia e delle differenze tra i popoli. Affermiamo per contro, che ogni teoria morale sinora esistita è, in ultima analisi, il risultato della condizione economica della società del tempo. E come la società si è mossa sinora sul piano degli antagonismi di classe, così la morale è sempre stata una morale di classe; o ha giustificato il dominio e gli interessi della classe dominante, o, divenuta la classe oppressa sufficientemente forte, ha rappresentato la rivolta contro questo dominio e gli interessi futuri degli oppressi. Che così all’ingrosso si sia avuto un progresso tanto per la morale quanto per tutti gli altri rami della conoscenza umana, è cosa su cui non è possibile nessun dubbio. Ma non abbiamo ancora superato la morale di classe. Una morale che superi gli antagonismi delle classi e le loro sopravvivenze nel pensiero, una morale veramente umana è possibile solo a un livello sociale in cui gli antagonismi delle classi non solo siano superati, ma siano anche dimenticati per la prassi della vita». (Friedrich Engels) [Ritratto di Friedrich Engels, 1868. Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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I governi bianchi di questi paesi rispondono sostenendo un movimento di ribelli mozambicani chiamato RENAMO, che causa gravi danni al paese distruggendo scuole, ospedali, linee ferroviarie e centrali idroelettriche. L'economia del Mozambico, messa a dura prova dai conflitti interni, diventa sempre più dipendente dal sostegno dell'Unione Sovietica. Nonostante questo contesto di crisi, Machel non perde il favore della popolazione, anche a causa delle atrocità commesse sovente dai guerriglieri della RENAMO ai danni della popolazione civile. Nel 1977 gli viene conferito il Premio Lenin per la pace. Il 19 ottobre 1986, Samora Machel è coinvolto in un incidente aereo mentre rimpatria da un meeting internazionale tenutosi in Zambia. Il velivolo su cui viaggia (un Tupolev Tu-134 di fabbricazione sovietica) precipita nei pressi del confine fra Mozambico, Swaziland e Sudafrica, sui monti Lebombo. Solo nove i sopravvissuti; tra le vittime, oltre a Machel, altre 24 persone, inclusi membri del governo. Diverse fonti sollevano il sospetto che il regime del Sudafrica sia coinvolto, ma le indagini, condotte congiuntamente da Sudafrica, Mozambico, l'Organizzazione Internazionale dell'Aviazione Civile e l'Unione Sovietica non hanno raggiunto prove definitive, anche se la delegazione sovietica ha sostenuto apertamente il coinvolgimento del Sudafrica. [Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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IL MOZAMBICO DI SAMORA MACHEL Il Mozambico presenta una storia simile a quella dell'Angola: «appena libero dalla dominazione portoghese, subì le devastazioni della guerra condotta dalle forze separatiste del RENAMO, finanziate e armate per sedici anni dal Sudafrica razzista e, ipocritamente, da certe grandi potenze occidentali, fra cui la Francia. Il processo di pace, laboriosamente iniziato dopo il 1994 (quando l'ANC di Mandela andò al potere in Sudafrica) diede una larga maggioranza al partito FRELIMO» a cui non restava «che ricostruire un paese devastato che aveva perduto centinaia di migliaia di cittadini e l'essenziale delle sue attrezzature industriali, e le cui terre coltivabili erano disseminate di mine antiuomo che avrebbero mietuto vite e arti ancora per decenni». Come per l'Angola, così per il Mozambico, il fazioso Stephen Courtois nel Libro nero del Comunismo ha attribuito tali morti al conto del comunismo, ignorando il ruolo delle grandi potenze e delle multinazionali interessate alle ricchezze del sottosuolo (diamanti e petrolio in particolare) presenti in questi paesi. Un esempio perfetto di rimozione sfrontata e vergognosa dei crimini dell'imperialismo. Come si comporta verso il Mozambico l'URSS? «Mosca inviò armi al Fronte Marxista per la Liberazione del Mozambico (FRELIMO) che faceva capo al presidente Samora Machel, salito al potere nell'estate del 1975. Il FRELIMO […] mandava ogni anno contingenti di ufficiali dei servizi d'informazione a Mosca per i corsi all'Istituto Andropov. […] i consiglieri della STASI della Germania orientale collaboravano all'istituzione di un servizio di sicurezza», lo SNASP. Pur non conoscendo la cifra precisa del sostegno finanziario e militare offerto, sappiamo che «nel quinquennio tra gennaio 1976 e dicembre 1980, le forniture di armi da parte sovietica all'Africa nera raggiunsero il valore complessivo di quattro miliardi di dollari». Il personaggio più rappresentativo della storia del paese è Samora Moisés Machel (Madragoa, 29 settembre 1933 – Mbuzini, 19 ottobre 1986), leader del Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO) e primo presidente del Mozambico indipendente. Machel nasce nel villaggio di Chilembene, in una famiglia povera di contadini. I suoi genitori sono costretti dai portoghesi a coltivare cotone e soffrono a lungo la fame. Pur passando gran parte del suo tempo a lavorare nei campi, il giovane Machel riesce a frequentare una scuola cattolica e in seguito studia per diventare infermiere, riuscendo a trovare un impiego in un ospedale. Negli anni Cinquanta il terreno della sua famiglia è confiscato e ceduto a coloni portoghesi; per sbarcare il lunario i suoi devono andare a lavorare nelle miniere del Sudafrica, dove il fratello di Samora perde la vita in un incidente. Machel incontra il marxismo e inizia la propria attività politica in ospedale, protestando per la diversa retribuzione degli infermieri bianchi e neri e per il modo in cui i neri poveri mozambicani vengono curati. In seguito avrebbe dichiarato a un reporter: “al cane di un uomo ricco vengono dispensati più vaccini, medicine e cure mediche che agli operai dal cui lavoro deriva il benessere dell'uomo ricco”. Nel 1962 Machel entra nel Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO). Nel 1963 viene addestrato militarmente e nel 1964 guida la prima azione di guerriglia del FRELIMO contro i portoghesi. Nel 1970 diventa il comandante in capo dell'esercito del FRELIMO. Il suo principale obiettivo è “capire come trasformare la lotta armata in una rivoluzione” e “creare una nuova mentalità su cui costruire una nuova società”. Quando il governo rivoluzionario di Machel prende il potere, è lui il primo presidente del Mozambico libero dal colonialismo portoghese. È il 25 giugno 1975. La sua azione politica è apertamente ispirata dal marxismo: le piantagioni sono nazionalizzate e vengono costruite scuole e ospedali per i contadini. Convinto internazionalista, Machel sostiene le forze rivoluzionarie anti-apartheid che operano in Rhodesia (odierno Zimbabwe) e Sudafrica.
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COME L’ITALIA ENTRÒ NEL PATTO ATLANTICO [dai lavori preparatori del prossimo libro sugli USA] «Nell’ottobre del 1946 De Gasperi indirizzò a Truman un messaggio personale nel quale gli esponeva un piano per estromettere i comunisti dal governo. Questo piano venne concordato in occasione della visita di De Gasperi negli Stati Uniti nel periodo 5-20 gennaio 1947. L’esclusione dei comunisti dal governo era infatti la condizione posta dai circoli dirigenti americani per la concessione di aiuti economici all’Italia. In caso di successo il governo De Gasperi avrebbe ricevuto un prestito di 100 milioni di dollari. La crisi di governo fu accelerata dalla scissione del Partito socialista italiano avvenuta nel corso del XXV congresso straordinario (9-13 gennaio 1947). (il terzo) gabinetto De Gasperi, formato il 2 febbraio 1947, fu ancora una volta espressione di tutti i partiti della coalizione antifascista. In verità le posizioni dei democristiani nel nuovo governo erano più forti e il ministero delle finanze fu sottratto al controllo del PCI. Il 10 febbraio 1947 a Parigi veniva sottoscritto il trattato di pace con l’Italia. In vista dell’imminente partenza delle truppe di occupazione dall’Italia i circoli dirigenti americani sottoposero il governo a nuove pressioni. L’ambasciatore italiano a Washington comunicò al ministro degli esteri, Carlo Sforza, che il governo degli Stati Uniti poneva come condizione per l’invio di aiuti economici all’Italia l’esclusione dei comunisti e dei socialisti dal governo. Il paese fu percorso da una campagna propagandistica anticomunista. Si intensificò la violenza della mafia contro le forze di sinistra nel sud. Il Primo Maggio a Portella delle Ginestre, in Sicilia, i mafiosi aprirono il fuoco con le mitragliatrici sulla folla di manifestanti che festeggiavano la ricorrenza. 11 persone furono uccise e 56 ferite. In questa situazione De Gasperi provocò una nuova crisi di governo. Il 13 maggio egli annunziò all’Assemblea costituente le sue dimissioni da primo ministro e il 31 maggio formò un governo composto di soli democristiani, ottenendo il voto di fiducia della maggioranza dell’Assemblea costituente». Si tratta di una «svolta reazionaria e antipopolare». Il II congresso della DC di Napoli nel novembre 1947 conferma la linea di rottura con le forze social-comuniste e qualche mese dopo «la formazione del “governo nero” l’Assemblea costituente ratificava il trattato di pace che entrò in vigore il 15 settembre 1947». (S.U. pp. 272-274) Il piano Marshall e l’ingresso nella NATO vanno di pari passo: «Il “piano Marshall” aprì la strada alla penetrazione sempre più massiccia del capitale americano nell’economia italiana. Il 4 aprile 1949 l’Italia aderiva al Patto atlantico. I circoli dirigenti videro nel Patto atlantico una garanzia per il proprio potere politico. Per conservare il regime esistente essi accettarono limitazioni alla sovranità del paese. Nel 1949 i porti italiani di Napoli, Livorno, Taranto, Augusta divennero basi della 6a flotta statunitense». Gaja ha raccolto molto più materiale che gli storici borghesi tendono a dimenticare. «Va tenuta presente una considerazione: negli anni iniziali di questa guerra segreta, almeno fino al 1949, l’Italia è stata terra di conquista, priva di sovranità, un paese sconfitto in cui gli organismi spionistici dei vincitori hanno operato al di fuori di qualsiasi controllo, in condizioni di totale impunità. Anche i loro collaboratori di nazionalità italiana hanno goduto della stessa possibilità di arbitrio, coperta successivamente, da parte dell’autorità nazionale, con il “segreto di Stato”. Come conseguenza alla popolazione italiana è stato imposto uno sviluppo condizionato da una politica segreta che ha costituito per decenni la vera realtà profonda della vita italiana. L’altra realtà, quella riflessa dai titoli dei giornali, dalle cronache della radio e dal dialogo politico, è stata in gran parte una sovrastruttura superficiale, nella quale la classe politica italiana ha svolto sostanzialmente, nel suo insieme, un ruolo di figurante a contratto».
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Gaja parte dagli anni della Seconda guerra mondiale. Già «fra il dicembre 1943 e l'aprile 1945 l'OSS invia a Washington ben 30 rapporti sulla consistenza del partito comunista italiano». Si ricorda come nel progettino guidato da Allen Dulles gli “alleati” abbiano salvato e riciclato le SS naziste con l'ausilio di organizzazioni clericali e della polizia italiana, mettendo in salvo elementi fascisti, nazisti e ustascia già dalla fine di aprile 1945. Vengono salvati i più importanti generali italiani (tra cui ad esempio Mario Roatta, Giuseppe Pieche, Taddeo Orlando e Carlo Giovanni Re) e utilizzati per organizzare gruppi terroristici neofascisti da impiegare in missioni di provocazione, e per ripulire gli organici dell'esercito dagli ufficiali provenienti dalla resistenza partigiana. Trentadue giorni dopo la strage di Portella della Ginestra, il 2 giugno, «Alcide De Gasperi formò un governo senza ministri comunisti e socialisti. La strage e l’ordine impartito a De Gasperi da Washington di espellere comunisti e socialisti dal governo (nello stesso momento anche Paul Henry Spaak in Belgio e Paul Ramadier in Francia eliminavano le sinistre dalle rispettive compagini ministeriali) furono determinati da una svolta di principio intervenuta nell’atteggiamento dell’amministrazione americana relativamente all’offensiva contro i comunisti. Il 25 aprile 1947 il Congresso prese in esame un memorandum del Council on Foreign Relations stilato da Allen Dulles che ne era in quel momento il direttore esecutivo, che prevedeva un nuovo schema offensivo dei servizi segreti americani in Europa. Vi si leggeva: “Non possiamo ragionevolmente limitare la nostra reazione contro la strategia comunista ai casi in cui siamo invitati dai governi al potere. Dobbiamo essere noi a decidere quando, come e dove agire”. Il 19 dicembre il Consiglio per la Sicurezza Nazionale decise di impegnare la CIA nella guerra fredda, e il 22 dicembre successivo il capo dell’agenzia promosse la creazione del Gruppo per le Procedure Speciali, emanazione dell’Ufficio Operazioni Segrete OSO, destinato a operare in Italia. Il 16 gennaio 1948 il Consiglio per la Sicurezza Nazionale emise la famosa direttiva in cui si affermava testualmente: “Gli Stati Uniti devono fare uso completo di tutto il loro potere politico, economico e se necessario militare in modo da aiutare a prevenire che l’Italia possa cadere sotto la dominazione dell’URSS, sia attraverso un attacco militare esterno che attraverso il movimento comunista italiano dominato dai Sovietici”. George Kennan, che in quel momento era il direttore della sezione Previsioni Politiche del Dipartimento di Stato, riteneva che l’Italia fosse “il paese chiave del continente” e giunse a proporre esplicitamente il 15 marzo 1948 di “mettere fuori legge il partito comunista e adottare severe misure prima delle elezioni”. Pur di mantenere l’Italia sotto controllo americano Kennan chiedeva che si affrontassero anche i rischi maggiori, con una proposta di una eccezionalità talmente al di fuori di qualsiasi logica politica comprensibile da dover essere anch’essa forzatamente giustificata da ragioni superiori. Prevedeva infatti Kennan, come conseguenza della messa fuori legge: “I comunisti reagirebbero con ogni probabilità con la guerra civile, cosa che ci autorizzerebbe a rioccupare Foggia e tutte le altre basi che ci interessano. Tutto ciò, lo ammetto, condurrebbe alla violenza e probabilmente alla divisione militare dell'Italia; ma ci stiamo avvicinando alla méta e io penso che ciò sia preferibile a una vittoria elettorale senza sangue, che darebbe ai comunisti l’intero paese in un sol colpo e propagherebbe ondate di panico a tutti i paesi vicini”». Arriva il temibile 1948. Nel caso remoto in cui vincano i comunisti si prepara la guerra civile.
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«Gli Stati Uniti fornirono segretamente al partito di De Gasperi 10 milioni di dollari di armi e munizioni: 5.000 pistole, 20 mila fucili e mitra, 50 milioni di cartucce. Le ultime armi arrivarono a Pozzuoli il 17 aprile 1948, ventiquattro ore prima delle elezioni politiche generali. Se la Democrazia Cristiana avesse perduto le elezioni, si sarebbe trasformata in un corpo armato pronto a trascinare l’Italia in una guerra civile per impedire ai comunisti di governare. Questa fornitura di armi fu eseguita nell’ambito di un “Piano X”, predisposto dal Dipartimento di Stato e dal Pentagono per l’eliminazione forzata delle organizzazioni politiche comuniste dalla scena della politica nazionale italiana. A tutt’oggi del Piano X è conosciuta solo una versione censurata. Fu accettato da De Gasperi, primo ministro, e da Randolfo Pacciardi, ministro della Difesa, e messo in atto sotto la responsabilità del colonnello Antonio Musco e dell’agente CIA Carmel Offie. In una delle sue numerose esternazioni — esattamente il 12 gennaio 1992 — l’ex presidente Francesco Cossiga ha confermato l’esistenza di una democrazia cristiana armata clandestinamente». [Fonti: Storia Universale dell'Accademia delle Scienze dell'URSS e F. Gaja, Il secolo corto, pp. 163-171, 173. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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Persino sul piano della condotta militare vera e propria il Rapporto Segreto ha smarrito ogni credibilità. Secondo Chruščev, incurante degli “avvertimenti” che da più parte gli provenivano circa l'imminenza dell'invasione, Stalin va irresponsabilmente incontro allo sbaraglio. In realtà - chiariscono studi recenti - egli è costretto a districarsi tra due gigantesche manovre di diversione e di disinformazione. Il Terzo Reich si impegna massicciamente a far credere che l'ammassamento di truppe ad Est sia solo una copertura per l'invasione dell'Inghilterra, che appare tanto più credibile dopo la conquista dell'isola di Creta. “L'intero apparato statale e militare è mobilitato” - annota compiaciuto Goebbels sul suo diario (31 maggio 1941) - per inscenare “la prima grande ondata mimetizzatrice” dell'Operazione Barbarossa. Ecco allora che “14 divisioni sono trasportate ad Ovest”; per di più tutte le truppe schierate sul fronte occidentale sono messe in stato di massima allerta. Circa due settimane dopo l'edizione berlinese del Völkischer Beobachter pubblica un articolo che addita l'occupazione di Creta come modello per l'occupazione dell'Inghilterra: poche ore dopo il giornale è sequestrato per rafforzare l'impressione di un segreto di enorme importanza e maldestramente tradito. Il giorno dopo (14 giugno) Goebbels annota sul suo diario: “Le radio inglesi dichiarano già che il nostro spiegamento contro la Russia è solo un bluff, dietro il quale cercavamo di nascondere i nostri preparativi per l'invasione [dell'Inghilterra]”. Non bisogna sottovalutare neppure l'altra campagna di disinformazione. Se da un lato comunica a Mosca le informazioni relative all'Operazione Barbarossa, dall'altro la Gran Bretagna diffonde voci su un imminente attacco dell'URSS contro la Polonia e in ultima analisi contro la Germania. È evidente l'interesse a rendere inevitabile o far precipitare il più rapidamente possibile il conflitto tedesco-sovietico. Ben si comprendono la cautela e la diffidenza di Stalin. Tanto più che il 10 maggio 1941 c'era stato il misterioso volo in Inghilterra di Rudolf Hess, chiaramente animato dalla speranza di ricostituire l'unità dell'Occidente nella lotta contro il bolscevismo: era in agguato il pericolo di una riedizione di Monaco su scala ben più larga e ben più tragica. Pur muovendosi con circospezione in una situazione assai aggrovigliata, Stalin procede ad una “accelerazione dei suoi preparativi di guerra”. In effetti, “tra maggio e giugno sono richiamati 800.000 riservisti, a metà maggio 28 divisioni sono dislocate nei distretti occidentali dell'Unione Sovietica”, mentre procedono a ritmo serrato i lavori di fortificazione delle frontiere e di camuffamento degli obiettivi militari più sensibili. “Nella notte tra 21 e il 22 giugno questa vasta forza fu messa in allarme e chiamata a prepararsi per un attacco di sorpresa da parte dei tedeschi”». [Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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Un dato è particolarmente eloquente: se nel 1940 l'Unione Sovietica produceva 358 carri armati del tipo più avanzato, nettamente superiori a quelli disponibili dagli altri eserciti, nel primo semestre dell'anno successivo ne produceva 15.035. D'altro canto, già un decennio fa una storica statunitense fieramente anticomunista ha inferto un duro colpo al mito del crollo e della fuga dalle sue responsabilità da parte del dirigente sovietico subito dopo l'inizio dell'invasione nazista: “per quanto scosso, il giorno dell'attacco Stalin indisse una riunione di undici ore con capi di partito, di governo e militari, e nei giorni successivi fece lo stesso”. Ma ora abbiamo a disposizione il registro dei visitatori dell'ufficio di Stalin al Cremlino, scoperto agli inizi degli anni novanta: risulta che sin dalle ore immediatamente successive all'aggressione il leader sovietico si impegna in una fittissima rete di incontri e iniziative per organizzare la resistenza. Sono giorni e notti caratterizzati da un'“attività […] estenuante”, ma ordinata. In ogni caso, “l'intero episodio [raccontato da Chruščev] è totalmente inventato”, questa “storia è falsa”. L'Operazione Barbarossa non provoca né panico né isteria. Leggiamo la nota di diario e la testimonianza di Dimitrov: “Alle 7 di mattina mi hanno chiamato con urgenza al Cremlino. La Germania ha attaccato l'URSS. È iniziata la guerra […] Sorprendente calma, fermezza, sicurezza in Stalin e in tutti gli altri”. Ancora di più colpisce la chiarezza di idee. Non si tratta solo di procedere alla “mobilitazione generale delle nostre forze”. È necessario anche definire il quadro politico: Sì, “solo i comunisti possono vincere i fascisti”, ponendo fine all'ascesa apparentemente irresistibile del Terzo Reich, ma non bisogna perdere di vista la reale natura del conflitto: “I partiti sviluppano sul posto un movimento in difesa dell'URSS. Non porre la questione della rivoluzione socialista. Il popolo sovietico combatte una guerra patriottica contro la Germania fascista. Il problema è la disfatta del fascismo, che ha asservito una serie di popoli e tenta di asservire anche altri popoli”. La strategia politica che avrebbe presieduto alla Grande Guerra Patriottica è già ben delineata. D'altro canto, a coloro che scolasticamente contrapponevano patriottismo e internazionalismo, Stalin e il gruppo dirigente sovietico avevano provveduto a rispondere già prima dell'aggressione hitleriana, come risulta sempre dalla testimonianza di Dimitrov: “Bisogna sviluppare l'idea che coniuga un sano nazionalismo, correttamente inteso, con l'internazionalismo proletario. L'internazionalismo proletario deve poggiare su questo nazionalismo nei singoli paesi […] Tra il nazionalismo correttamente inteso e l'internazionalismo proletario non c'è e non può esserci contraddizione. Il cosmopolitismo senza patria, che nega il sentimento nazionale e l'idea di patria, non ha nulla da spartire con l'internazionalismo proletario”. L'internazionalismo e la causa internazionale dell'emancipazione dei popoli avanzavano concretamente sull'onda delle guerre di liberazione nazionale, rese necessarie dalla pretesa di Hitler di riprendere e radicalizzare la tradizione coloniale, assoggettando e schiavizzando in primo luogo le presunte razze servili dell'Europa orientale. Sono i motivi ripresi nei discorsi e nelle dichiarazioni pronunciati da Stalin nel corso della guerra: essi costituirono “significative pietre miliari nella chiarificazione della strategia militare sovietica e dei suoi obiettivi politici e giocarono un ruolo importante nel rafforzare il morale popolare”; ed essi assumono un rilievo anche internazionale, come osserva contrariato Goebbels a proposito dell'appello radio del 3 luglio 1941, che “suscita enorme ammirazione in Inghilterra e negli Usa”.
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L'OPERAZIONE BARBAROSSA E LA GRANDE GUERRA PATRIOTTICA [nell'immagine Manifesto Sovietico, 1938: «Se la guerra arriva domani»] «Fu una guerra subito diversa perché di sterminio. Obiettivo dell'Operazione Barbarossa non era solo la distruzione dello stato bolscevico, ma anche del “giudeo-bolscevismo” che secondo il nazismo lo ispirava e quindi la preventiva liquidazione fisica di comunisti, commissari ed ebrei, bersagli di un ordine di liquidazione preventiva. […] E fu proclamato che gli slavi erano una razza inferiore, che come tale andava trattata. I sovietici reagirono. […] Stalin annunciò che se i tedeschi volevano “una guerra di sterminio, l'avrebbero avuta”.» (Andrea Graziosi) «Alle quattro del mattino del 22 giugno 1941, senza dichiarazione di guerra, i carri armati di Hitler, le forze aeree, l'artiglieria da campagna, le unità motorizzate e le fanterie venivano scagliati oltre i confini dell'Unione Sovietica, su un fronte estendentesi dal Baltico al Mar Nero. Quella stessa mattina Goebbels trasmise la dichiarazione di guerra di Hitler, che diceva: “Popolo tedesco! In questo momento è in corso una marcia paragonabile per estensione alle più grandi viste finora dal mondo. Insieme ai nostri compagni finlandesi, i combattenti della vittoria di Narvik sono pronti nell'Artico. Le divisioni tedesche comandante dal conquistatore di Norvegia, in cooperazione con i combattenti della libertà finlandesi, sotto la guida del loro maresciallo, proteggono il suolo della Finlandia. Formazioni del fronte orientale tedesco dalla Prussia dell'est ai Carpazi. Soldati tedeschi e romeni sono uniti sotto la guida del capo di stato Antonescu dalle rive del Prut alle sponde inferiori del Danubio fino alle spiagge del Mar Nero. L'obiettivo di questo fronte non è più la protezione dei singoli paesi, ma la salvaguardia dell'Europa e quindi la salvaguardia di tutti”. L'Italia, la Romania, l'Ungheria e la Finlandia si unirono alla guerra contro l'Unione Sovietica. Speciali contingenti fascisti vennero raccolti in Francia e in Spagna e gli eserciti uniti dell'Europa controrivoluzionaria furono lanciati in una guerra santa contro i Soviet. Il piano del generale Max Hoffmann stava per esser messo alla prova». (M. Sayers & A. E. Kahn) ALLA VIGILIA DELL'OPERAZIONE BARBAROSSA «Sul tema della guerra oggi si assiste ad un vero e proprio ribaltamento. Sia chiaro, Stalin continua a mostrare tratti satanici, ma non già per aver creduto alla solidità o all'eternità del patto di non aggressione, ma al contrario per aver programmato con largo anticipo lo scontro col Terzo Reich e l'invasione della Germania, tempestivamente prevenuta da Hitler mediante lo scatenamento dell'Operazione Barbarossa. Si cita a questo proposito il discorso di Stalin ai diplomati delle accademie militari e che qui, per ragioni di brevità, riporto nella sintesi contenuta nel diario di Dimitrov: “La nostra politica di pace e di sicurezza è allo stesso tempo una politica di preparazione alla guerra. Non c'è difesa senza attacco. Bisogna educare l'esercito nello spirito dell'attacco. Bisogna prepararsi alla guerra”. È il 5 maggio 1941, il giorno stesso in cui Stalin riunisce nella sua persona le massime cariche del partito e dello Stato, in previsione, evidentemente, dello scontro frontale col Terzo Reich. Abbiamo visto il Rapporto Chruščev descrivere in termini catastrofici l'impreparazione militare dell'Unione Sovietica, il cui esercito, in alcuni casi, sarebbe stato sprovvisto persino di fucili. Direttamente contrapposto è il quadro emergente da uno studio che sembra pervenire dagli ambienti della Bundeswehr e che comunque fa largo uso dei suoi archivi militari. Vi si parla della “molteplice superiorità dell'Armata Rossa in carri armati, aerei e pezzi d'artiglieria”; d'altro canto, “la capacità industriale dell'Unione Sovietica aveva raggiunto dimensioni tali da poter procurare alle forze armate sovietiche un armamento pressoché inimmaginabile”. Esso cresce a ritmi sempre più serrati man mano che ci si avvicina all'Operazione Barbarossa.
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evolute, oppresse, ignoranti. Finché voi non siete in grado di sciogliere il Parlamento borghese e le istituzioni reazionarie di ogni tipo, voi avete l’obbligo di lavorare nel seno di tali istituzioni appunto perché là vi sono ancora degli operai ingannati dai preti e dall’ambiente dei piccoli centri sperduti; altrimenti rischiate di essere soltanto dei chiacchieroni». Lo scopo della partecipazione è chiaro, e non implica che i comunisti debbano svendere la propria identità o il proprio programma per entrare nei parlamenti borghesi: «è dimostrato che ancora alcune settimane prima della vittoria della Repubblica dei Soviet, e anche dopo questa vittoria, la partecipazione a un Parlamento democratico borghese, non solo non nuoce al proletariato rivoluzionario, ma gli rende più facile dimostrare alle masse arretrate perché tali Parlamenti meritano di essere sciolti con la forza, rende più facile scioglierli con successo, rende più facile il “superamento politico” del parlamentarismo borghese». Lenin non esita a dichiarare sprezzante che «la potenza del capitale è tutto, la Borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un gioco da marionette, di pupazzi» , al quale pure occorre partecipare, ma unicamente come mezzo, mai come fine ultimo, che resta sempre l’obiettivo rivoluzionario della presa del potere; la qual cosa non si identifica necessariamente con la conquista della maggioranza elettorale, ma con il consolidamento di uno stadio di consenso sociale, politico e culturale tale da riuscire a trascinare, guidandole, le masse verso l’abbattimento delle istituzioni borghesi. Non è importante convincere tutti, ma servono quelli più svegli e attivi. Così Lenin rispondeva al compagno Bordiga, noto per la sua teoria astensionistica – di non partecipare cioè alle elezioni per eleggere i membri delle istituzioni borghesi – portata tutt’oggi avanti da anarchici e gruppi minoritari della sinistra comunista: «Il parlamento è un prodotto dello sviluppo storico, che non potremo eliminare dalla vita, fin quando non saremo tanto forti da sciogliere il parlamento borghese. Solo quando si fa parte del parlamento borghese si può combattere – partendo dalle condizioni storiche date – la società borghese e il parlamentarismo. Lo stesso mezzo di cui la borghesia si serve nella lotta deve essere utilizzato dal proletariato, naturalmente, per fini radicalmente diversi. Non potete affermare che le cose non stiano così, ma, se voleste contestare quello che ho detto, dovreste cancellare l’esperienza di tutti gli avvenimenti rivoluzionari del mondo. […] Bisogna sapere in che modo si può distruggere il parlamento. Se riuscite a distruggerlo in tutti i paesi mediante l’insurrezione armata, benissimo. Come sapete, in Russia abbiamo dimostrato, non soltanto in teoria ma anche in pratica, la nostra volontà di distruggere il parlamento borghese. Ma voi dimenticate che ciò è impossibile senza una preparazione abbastanza lunga e che, nella maggior parte dei paesi, è ancora impossibile distruggere il parlamento con un colpo solo. Siamo costretti a condurre in parlamento la lotta per distruggere il parlamento. Voi sostituite la vostra volontà rivoluzionaria alle condizioni che determinano la linea politica di tutte le classi della società contemporanea, e quindi dimenticate che noi, per poter distruggere il parlamento borghese in Russia, abbiamo dovuto convocare l’Assemblea Costituente pur dopo la nostra vittoria. […] In tutti i paesi capitalistici esistono elementi arretrati della classe operaia i quali sono convinti che il parlamento è la vera rappresentanza del popolo e non vedono che nei parlamenti si fa uso di mezzi poco puliti. Si dice che il parlamento è un mezzo di cui si serve la borghesia per ingannare le masse. Ma quest’argomento dev’essere ritorto contro di voi, e in realtà si ritorce contro le vostre tesi.
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Come mostrerete alle masse arretrate, ingannate dalla borghesia, il vero carattere del parlamento? Se non parteciperete al parlamento, se resterete fuori di esso, come denuncerete questa o quella manovra parlamentare, la posizione di questo o quel partito? Se siete dei marxisti, dovete riconoscere che i rapporti di classe nella società capitalistica e i rapporti tra i partiti sono strettamente connessi. Lo ripeto, come dimostrerete tutto questo, se non fate parte del parlamento, se vi rifiutate di svolgere un’azione parlamentare? La storia della Rivoluzione russa ha dimostrato chiaramente che nessun argomento può convincere le grandi masse della classe operaia, dei contadini, dei piccoli impiegati, se queste masse non si convincono per esperienza diretta. Si è detto qui che, nel partecipare alla battaglia parlamentare, perdiamo molto tempo. Si può immaginare un’altra istituzione alla quale tutte le classi siano interessate come sono interessate al parlamento? Una tale istituzione non può essere creata artificialmente. Se tutte le classi sono spinte a partecipare alla lotta parlamentare, questo avviene perché i loro interessi e conflitti trovano un riflesso in parlamento. Se si potesse organizzare subito e dappertutto, poniamo, uno sciopero generale per abbattere di colpo il capitalismo, la rivoluzione sarebbe già esplosa in diversi paesi. Ma bisogna fare i conti con i fatti, e il parlamento è un’arena della lotta di classe». [Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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COME USARE IL PARLAMENTO «La sinistra dell’Assemblea – che si considerava l’élite e l’orgoglio della Germania rivoluzionaria – era completamente ubriacata dei pochi, meschini successi ottenuti per il buon volere, o piuttosto per il mal volere di un pugno di politicanti austriaci che agivano per istigazione e nell’interesse del dispotismo austriaco. Ogni volta che la più piccola approssimazione ai loro princìpi non molto ben definiti riceveva, in dose omeopatica diluita, una specie di sanzione dell’Assemblea di Francoforte, questi democratici proclamavano di aver salvato la patria e il popolo. Questi disgraziati poveri di spirito per tutto il corso delle loro esistenze generalmente molto oscure erano stati così poco abituati a qualcosa che assomigliasse un successo, che ora credevano veramente che i loro emendamenti meschini, approvati con due o tre voti di maggioranza, avrebbero cambiato la faccia dell’Europa. Dal principio della loro carriera legislativa erano stati più di qualsiasi altra frazione dell’Assemblea contaminati dall’incurabile malattia del cretinismo parlamentare, infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime, della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l’onore di annoverarli tra i suoi membri e che qualsiasi cosa accada fuori delle pareti di questo edificio, – guerre, rivoluzioni, costruzioni di ferrovie, colonizzazione di intieri nuovi continenti, scoperta dell’oro di California, canali dell’America centrale, eserciti russi, e tutto quanto può in qualsiasi modo pretendere di esercitare una influenza sui destini dell’umanità – non conta nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all’importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l’attenzione dell’onorevole loro assemblea». (Friedrich Engels) Marx ed Engels hanno messo giustamente in ridicolo il «cretinismo parlamentare», che però non significa rifiuto aprioristico dell’utilizzo delle istituzioni politiche borghesi. I comunisti rifiutano una “verginità” moral-politica che non desterebbe problemi alla borghesia (ma che sembra convenire più ai preti e ai moralisti) per calarsi nei meandri spesso sporchi e malsani della politica borghese, se c’è da trarne profitto per la causa proletaria. Così Lenin: «Come dunque si può dire che “il parlamentarismo è politicamente superato”, se “milioni” e “legioni” di proletari non soltanto sono per il parlamentarismo in genere, ma sono addirittura “controrivoluzionari”!? È evidente che in Germania il parlamentarismo non è ancora politicamente superato. È chiaro che i “sinistri” in Germania hanno scambiato il loro desiderio, la loro posizione ideologica e politica, per una realtà obiettiva. Questo è l’errore più pericoloso per dei rivoluzionari. […] Voi siete in dovere di non scendere al livello delle masse, al livello degli strati arretrati della classe. Questo è incontestabile. Voi avete il dovere di dir loro l’amara verità. Voi avete il dovere di chiamare pregiudizi i loro pregiudizi democratici borghesi e parlamentari. Ma nello stesso tempo avete il dovere di considerare ponderatamente lo stato effettivo della coscienza e della maturità della classe tutta intera (e non soltanto della sua avanguardia comunista), di tutte quante le masse lavoratrici (e non soltanto di singoli elementi avanzati). Anche se non “milioni” e “legioni”, ma semplicemente una minoranza abbastanza importante degli operai industriali segue i preti cattolici, e una minoranza importante dei lavoratori agricoli segue i proprietari terrieri e i contadini ricchi, ne consegue già in modo indubitabile che il parlamentarismo […] non è ancora superato politicamente, che la partecipazione alle elezioni parlamentari e alla lotta dalla tribuna parlamentare è obbligatoria per il partito del proletariato rivoluzionario, precisamente al fine di educare gli stati arretrati della propria classe, precisamente al fine di risvegliare e di illuminare le masse rurali, non
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Questo è un corollario di quanto scoperto da Marx, ossia che sono i detentori dei mezzi di produzione a scegliere in che modo creare ed utilizzare questi mezzi per modificare la società nella direzione da loro voluta per massimizzare il vantaggio egemonico e soddisfare la necessità di modificare la struttura sociale in funzione delle loro esigenze produttive. Quindi nell'Occidente Collettivo: L'IA non viene usata dal Popolo per emancipare l'Uomo dal Lavoro, ma dalle Élite per emancipare il Lavoro dall'Uomo.
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SCIENZA DELL'OFFENSIVA E DELLA RITIRATA (LENIN) Lenin, da L’estremismo, malattia infantile del comunismo: «in ogni classe, anche la più progredita e dotata di un poderoso slancio, anche nel paese più colto, finché vi saranno le classi, vi saranno inevitabilmente rappresentanti della classe stessa che non pensano e non sono capaci di pensare. Se non fosse così il capitalismo non sarebbe un capitalismo oppressore delle masse». «bisogna comprendere la necessità di completare questa scienza con la scienza della ritirata in buon ordine. Bisogna comprendere – e la classe rivoluzionaria impara a comprendere dalla propria amara esperienza – che non si può vincere senza avere appreso la scienza dell’offensiva e la scienza della ritirata. Fra tutti i partiti d’opposizione e rivoluzionari battuti, il partito dei bolscevichi si ritirò con maggiore ordine, con le minori perdite per il suo “esercito”, conservandone meglio il nucleo, con le scissioni minori (per profondità e insanabilità), con la minor demoralizzazione e con la maggiore capacità di riprendere il lavoro nel modo più ampio, giusto ed energico. E i bolscevichi ottennero questo soltanto perché smascherarono e scacciarono spietatamente tutti i rivoluzionari a parole, i quali non volevano capire che bisognava ritirarsi, che bisognava sapersi ritirare, che bisognava imparare a qualunque costo a lavorare legalmente nei parlamenti più reazionari, nelle più reazionarie organizzazioni sindacali, cooperative, di assicurazioni e simili». «tutta la storia del bolscevismo, prima e dopo la Rivoluzione di Ottobre, è piena di casi di destreggiamenti, di accordi, di compromessi con altri partiti, compresi i partiti borghesi! Condurre la guerra per il rovesciamento della borghesia internazionale, guerra cento volte più difficile, più lunga e più complicata della più accanita delle guerre abituali tra gli Stati, e rinunciare in anticipo e destreggiarsi, a sfruttare gli antagonismi di interessi (sia pure temporanei) tra i propri nemici, rinunciare agli accordi e ai compromessi con dei possibili alleati (sia pure temporanei, poco sicuri, esitanti, condizionati), non è cosa infinitamente ridicola? Non è come se nell’ardua scalata di un monte ancora inesplorato e inaccessibile, si rinunciasse preventivamente a far talora degli zigzag, a ritornare qualche volta sui propri passi, a lasciare la direzione presa all’inizio per tentare direzioni diverse? […] Si può vincere un nemico più potente soltanto con la massima tensione delle forze e alla condizione necessaria di utilizzare nella maniera più diligente, accurata, attenta, abile, ogni benché minima “incrinatura” tra i nemici, ogni contrasto di interessi tra la borghesia dei diversi paesi, tra i vari gruppi e le varie specie di borghesia nell’interno di ogni singolo paese, e anche ogni minima possibilità di guadagnarsi un alleato numericamente forte, sia pure temporaneo, incerto, incostante, instabile, infido, non incondizionato. Chi non ha capito questo, non ha capito un’acca né del marxismo, né del moderno socialismo scientifico in generale. Chi non ha praticamente dimostrato, durante un periodo di tempo abbastanza lungo e in situazioni politiche abbastanza varie, di essere capace di applicare nella pratica questa verità, non ha ancora imparato ad aiutare la classe rivoluzionaria nella sua lotta per liberare tutta l’umanità lavoratrice dagli sfruttatori. E ciò che si è detto si riferisce egualmente al periodo anteriore e al periodo successivo alla conquista del potere politico da parte del proletariato». [Testo tratto da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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19 giugno 1986 l’eccidio dei compagni in Perù.   Il 19 giugno 1986, in Perù, nelle prigioni di El Fronton, di Lurigancho e di El Callao, le forze armate del governo socialdemocratico di Alan Garcia, sostenuto dalle forze imperialiste occidentali, reprimevano con bombardamenti ed esecuzioni sommarie la rivolta dei detenuti politici del Partito Comunista del Perù, che avevano dato vita ad una rivolta per richiedere condizioni carcerarie più umane, conformi ai trattati internazionali.  Da allora, i quasi 300 caduti del 19 giugno 1986 fanno parte della memoria del movimento comunista internazionale, che ogni anno si rinnova nella celebrazione della Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero (GIRP). Ricordare quei martiri oggi significa valorizzare e non dimenticare mai tutti coloro che col sacrificio della propria vita si sono battuti per una società migliore.
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Traduzione integrale del discorso tenuto da Putin lo scorso 14 giugno agli alti funzionari del Ministero degli Esteri russo.
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🤡 I ridicoli e patetici pennivendoli servi di regime corrono in soccorso del padrone agonizzante, tentando di far passare il messaggio, falso come la moneta da tre euro, che l'accordo sui petrodollari non sia mai esistito e che quindi gli Stati Uniti non hanno subito nessuno "sgarro" da parte dell'Arabia Saudita, bollando addirittura la notizia come fake news Quando gli unici a mentire, sempre e comunque, e a dire balle sono proprio loro L'accordo sul petrodollaro, infatti, è noto dal giorno in cui Nixon e Kissinger, svincolarono il dollaro dall'oro, per vincolarlo appunto al nuovo accordo con l'Arabia Saudita, battezzato poi petrodollaro Citiamo da Wikipedia prima che qualcuno corra a cancellare o modificare la pagina Then in 1973, Nixon and secretary of state Henry Kissinger made a secret deal with Saudi Arabia to trade oil only in US dollars, thus pegging the US dollar to oil and giving rise to the petrodollar  Peraltro su questo accordo, ci hanno scritto letteralmente decine di libri e pure Wikipedia ci dedica una pagina Questo invece è un breve estratto da "Oil, Petrodollars and Gold" dell'economista americano Tim McMahon, tradotto in italiano per comodità L'alba dei petrodollari La mancanza di convertibilità in oro e gli elevati tassi di inflazione hanno provocato una mancanza di fiducia, un calo della domanda di dollari USA sul mercato mondiale e un calo del tasso di cambio. Nel tentativo di sostenere la domanda di dollaro, nel 1973 Nixon stipulò un accordo con l’Arabia Saudita secondo cui tutte le vendite di petrolio sarebbero state denominate in dollari e in cambio gli Stati Uniti avrebbero fornito armi e protezione ai sauditi. Questo sistema che richiedeva che le vendite di petrolio fossero effettuate in dollari aumentò la domanda di dollari (poiché tutti hanno bisogno di petrolio) e divenne noto come il “petrodollaro”. Questi petrodollari non solo hanno aumentato la domanda del dollaro USA, ma hanno anche permesso agli Stati Uniti di esportare la propria inflazione poiché questi dollari non ritornano mai negli Stati Uniti ma vengono invece utilizzati esclusivamente per il commercio estero Potremmo andare avanti con decine, per non dire centinaia, di link, articoli di giornali, libri, pubblicazioni, conferenze, ecc... Che dimostrano l'esistenza di questo accordo... Ma non vale la pena perdere tempo prezioso per smentire queste "prestitute" dei media occidentali... Tanto la verità è sotto gli occhi di tutti. Chi deve sapere sa. Ma soprattutto, i loro padroni, al netto degli articoli falsi, per tentare di mettere una pezza agli occhi dell'opinione pubblica e nascondere la verità, stanno schiumando di rabbia per il non rinnovo dell'accordo sui petrodollari... E a noi tanto basta per goderci la scena... Qui la nostra analisi fatta tre giorni fa sul mancato rinnovo dell'accordo sui petrodollari Manakel 🪽 ☑️Seguici su LombardiaRussia Geopolitica e News
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È qui che i veri rivoluzionari si sono più spesso rotti l’osso del collo, quando si son messi a scrivere la parola “rivoluzione” con la maiuscola, a fare della “rivoluzione” qualcosa di quasi divino, a perdere la testa e perdere la facoltà di riflettere col massimo sangue freddo e a mente chiara, di pesare, di verificare in quale momento, in quali circostanze, in quale campo d’azione bisogna saper passare all’azione riformista. I veri rivoluzionari periranno (non perché subiranno una disfatta dall’esterno, ma perché crolleranno all’interno) soltanto nel caso – ma allora periranno immancabilmente – in cui perdessero la facoltà di ragionare freddamente e s’immaginassero che la “rivoluzione”, “grande, vittoriosa, mondiale”, possa e debba assolutamente risolvere per via rivoluzionaria ogni sorta di problemi, in qualsiasi circostanza, e in tutti i campi dell’azione». «Il marxismo esige da noi una valutazione esatta e oggettivamente controllabile dei rapporti tra le classi e delle particolarità specifiche di ogni momento storico. Noi bolscevichi ci siamo sempre sforzati di rimanere fedeli a questa istanza che è assolutamente indispensabile per ogni politica scientificamente fondata. “La nostra dottrina non è un dogma, ma una guida per l’azione”, hanno sempre sostenuto Marx ed Engels, burlandosi a ragione delle “formule” imparate a memoria e ripetute meccanicamente, le quali, nel migliore dei casi, possono tutt’al più indicare i compiti generali che vengono di necessità modificati dalla situazione economica e politica concreta di ciascuna fase particolare del processo storico». Infine una serie di illuminanti considerazioni dall’opera L’estremismo malattia infantile del comunismo (1920) , un testo che sulle questioni di tattica si può tuttora consigliare come una lettura integrale indispensabile: «negare “per principio” i compromessi, negare in generale ogni ammissibilità di compromessi, di qualunque genere essi siano, è una puerilità, che è perfino difficile prendere sul serio. Un uomo politico, che desideri essere utile al proletariato rivoluzionario, deve saper distinguere i casi concreti appunto di quei compromessi che sono inammissibili, nei quali si esprimono opportunismo e tradimento, e indirizzare tutta la forza della critica, tutta l’acutezza di uno spietato smascheramento e di una guerra implacabile contro questi compromessi concreti, e non permettere agli espertissimi socialisti “affaristi” e ai gesuiti parlamentari di evitare e sfuggire la responsabilità con disquisizioni sui “compromessi in generale”. […] Vi sono compromessi e compromessi. Si deve essere capaci di analizzare le circostanze e le condizioni concrete di ogni compromesso e di ogni specie di compromesso. Si deve imparare a distinguere l’uomo che ha dato denaro e armi ai banditi per ridurre il male che i banditi commettono e facilitarne l’arresto e la fucilazione, dall’uomo che dà denaro e armi ai banditi per spartire con essi la refurtiva. Nella politica, questo non è sempre così facile come nel piccolo esempio che ho citato e che un bambino può comprendere. Ma chi volesse escogitare una ricetta per gli operai, che offrisse loro decisioni preparate in anticipo per tutti i casi della vita, o promettesse loro che nella politica del proletariato rivoluzionario non ci saranno mai difficoltà e situazioni complicate, sarebbe semplicemente un ciarlatano». «Fabbricare una ricetta o una regola generale (“nessun compromesso”!) che serva per tutti i casi, è una scempiaggine. Bisogna che ognuno abbia la testa sulle spalle, per sapersi orientare in ogni singolo caso. L’importanza dell’organizzazione di partito e dei capi di partito che meritano questo appellativo, consiste per l’appunto, tra l’altro, nell’elaborare – mediante un lavoro lungo, tenace, vario, multiforme di tutti i rappresentanti pesanti di una data classe – le cognizioni necessarie, la necessaria esperienza e – oltre le cognizioni e l’esperienza – il fiuto politico necessario per risolvere rapidamente e giustamente le questioni politiche complicate».
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[Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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L’ARTE DEL COMPROMESSO INSEGNATA DA LENIN «I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo ma si tratta di trasformarlo». (Karl Marx) Un aspetto fondamentale nel bolscevismo è la capacità di non improvvisare la direzione politica, grazie ad un adeguato e meditato sviluppo della teoria marxista. Nella scelta di realizzare il compromesso del “patto Molotov-Von Ribbentrop” del 23 agosto 1939, ossia il Patto di non Aggressione tra la Germania nazista e l’URSS, Stalin si è mostrato in tutto e per tutto figlio della cultura “leninista”. Lenin ha teorizzato e giustificato in maniera precisa come l’unica cosa che conti sia non l’atto morale in sé, ma l’avanzamento del livello di potenza dell’organizzazione della classe operaia. Così si spiegava ad esempio il patto di Brest-Litovsk del 1918 fatto con gli imperialisti tedeschi, per raggiungere la tanto necessaria pace che sola poteva garantire in quel momento la salvezza della Rivoluzione russa e delle sue conquiste popolari. Viene qui a cadere un’altra delle motivazioni strategiche su cui battono coloro che sostengono la non-continuità ideologica tra Lenin e Stalin, dato che uno dei motivi più abusati con cui si è inteso parlare di «degenerazione stalinista» è stato proprio il riferimento al patto Molotov-Von Ribbentrop. Qui sono raccolte alcune indicazioni utili date da Lenin sulla necessità di non essere dogmatici ma di sapersi districare nella realpolitik pur tenendo ferma la guida di una teoria rivoluzionaria: «“Il dogmatismo, il dottrinarismo”, “la fossilizzazione del partito sono il castigo inevitabile della violenta compressione del pensiero”: ecco i nemici contro i quali scendono in campo i campioni della “libertà di critica” [...]. Siamo felicissimi che tale questione sia stata posta all’ordine del giorno; ma proporremmo di completarla con la seguente: chi sono i giudici? [...] le grandi frasi contro la fossilizzazione del pensiero, ecc. dissimulano in realtà l’indifferenza e l’impotenza nei riguardi dello sviluppo del pensiero teorico. […] La famosa libertà di critica non significa sostituzione della teoria con un’altra, ma significa libertà da ogni teoria coerente e ponderata, eclettismo e mancanza di princìpi. Chiunque abbia una conoscenza anche limitata della situazione di fatto del nostro movimento non può non vedere che la grande diffusione del marxismo è stata accompagnata da un certo abbassamento del livello teorico. Molta gente, la cui preparazione teorica era infima e persino inesistente, ha aderito al movimento grazie alla sua importanza pratica e ai suoi progressi pratici. Ognuno può dunque vedere quanto manchi di tatto il Raboceie Dielo quando agita trionfalmente la frase di Marx: “Ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di programmi”. Ripetere queste parole in un momento di sbandamento teorico, è come “fare dello spirito a un funerale”. Queste parole, d’altra parte, sono estratte dalla lettera sul programma di Gotha, nella quale Marx condanna categoricamente l’eclettismo nell’enunciazione dei princípi. Se è necessario unirsi – scriveva Marx ai capi del partito – fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei princípi e non fate “concessioni” teoriche. Questo era il pensiero di Marx, e fra noi si trova della gente che nel suo nome tenta di sminuire l’importanza della teoria! Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda è accompagnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica». «Per un vero rivoluzionario il pericolo più grande, fors’anche l’unico, è l’esagerazione rivoluzionaria, l’oblio dei limiti e delle condizioni che rendono opportuna ed efficace l’applicazione dei metodi rivoluzionari.
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Il 18 giugno 2009 moriva l’economista e sociologo Giovanni Arrighi. Arrighi è un pensatore relativamente poco valorizzato nel panorama italiano e non sono molti i luoghi che dedicano spazio alle sue riflessioni. Eppure, Arrighi gioca un ruolo importante nel dibattito internazionale a proposito del capitalismo e della sua storia e le sue opere più note - “Il lungo ventesimo secolo”, “Caos e governo del mondo” e “Adam Smith a Pechino” - restano cruciali per comprendere il sistema-mondo attuale e anche per coglierne le mutazioni in corso. Il volume di Giulio Azzolini “Capitale, egemonia, sistema. Studio su Giovanni Arrighi”, edito da Quodlibet, ha il pregio di affrontarne l’opera nella sua interezza, cogliendone i punti salienti e ponendo con chiarezza gli elementi di contatto con altri autori, scuole e correnti di pensiero e collocando Arrighi nel suo tempo storico. Azzolini offre così la ricostruzione critica dello sviluppo di un pensiero di largo respiro sul presente, in grado di cogliere - nel quadro di una teoria generale - fenomeni come il ruolo del capitalismo finanziario e l’ascesa globale della Cina. La recensione è a cura di Paolo Missiroli. https://www.pandorarivista.it/articoli/giovanni-arrighi-giulio-azzolini/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR39MRQYzil3aXq9ty7Q9PuylIaj-wfYd22zBrP9nmY_QCNzhKOsbHNDr_s_aem_o2kdiaQrq-tPcHFqIDVNPw
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LA DIGNITÀ DELL'ANTIFASCISMO 18 giugno 1973: Giorgio Almirante, allora segretario del Movimento Sociale Italiano, non viene servito da personale particolarmente antifascista alla stazione di servizio autostradale di Cantagallo (BO) nel giugno 1973. All'episodio sono state dedicate due canzoni (peraltro praticamente sconosciute). Ricordiamo "Al Cantagallo" (Canzoniere delle Lame): https://www.youtube.com/watch?v=MNKBJXBU274 Per ricordare che in questo Paese c'è stata una coscienza antifascista forte. E dobbiamo riuscire in ogni modo a rinnovarla ogni giorno contro ogni revisionismo, compromesso e strumentalizzazione, ricordando che non c'è antifascismo senza anticapitalismo e antimperialismo! [Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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L’Unità, l’organo del Partito Comunista Italiano, il 19 giugno 1953, dopo l’intervento dei carri armati sovietici a Berlino Est, approva senza riserve la repressione, definendo la rivolta un «complotto a opera degli statunitensi e di Adenauer». Tale giudizio, pur avendo un fondo di verità e risultando aderente alla logica di non cedere di un millimetro di fronte alla propaganda nemica, sia impreciso. Che ci siano stati interventi e strumentalizzazioni dell'imperialismo occidentale è fuor di dubbio, ma causa altrettanto importante è stata l'erroneità delle decisioni prese dalla SED, probabilmente suggerita male (volutamente?) da organismi politici non adeguati a Mosca. Secondo lo storico Gossweiler, l'erroneità della modalità di procedere è dovuta alla crisi in cui era piombata la direzione del PCUS dopo la morte di Stalin (5 marzo 1953), con la lotta interna iniziata tra i revisionisti Chruščev e Mikojan da una parte e quelli (Molotov, Malenkov, Berija, Bulganin, ecc.) che verranno da questi bollati come “stalinisti” (in realtà marxisti-leninisti) dall'altra. Gossweiler non esclude che tale gestione, evidentemente inadeguata, sia stata volutamente favorita e suggerita da Mosca da esponenti interessati ad ottenere un cambio al vertice della SED, riuscendo così a sostituire il marxista-leninista Walter Ulbricht con una dirigenza più affine al “nuovo corso” chruščeviano. Si ricordi infine la posizione di Bertolt Brecht sulla questione. In una lunga lettera indirizzata all’editore Peter Suhrkamp, Brecht spiegò quanto i lavoratori fossero giustamente amareggiati. «Eppure – egli scrive – anche nelle prime ore del 17 giugno le strade presentavano un grottesco insieme di lavoratori non solo uniti alla gioventù più degradata… ma anche a figure rozze e grossolane appartenenti all’era nazista, il prodotto locale, gente che per anni mancava di una banda, ma che era rimasta lì tutto quel tempo». Quando la rivolta operaia di Berlino fu repressa dai carri armati sovietici, Brecht scrisse al presidente della Germania Orientale Ulbricht per congratularsi e per rinnovargli il suo apprezzamento al regime comunista tedesco: «Elementi fascisti sobillati dall’Occidente – annotò l’intellettuale – hanno cercato di sfruttare l’insoddisfazione del popolo tedesco (lapsus che indurrebbe a pensare che proprio il popolo tedesco orientale non dovesse spassarsela troppo sotto il regime comunista) per perseguire i loro subdoli e sanguinari propositi... Ma grazie al rapido e puntuale intervento delle truppe sovietiche questo tentativo è stato vanificato... Ovviamente, le forze armate russe non se la sono presa con gli operai, ma contro la marmaglia fascista e guerrafondaia composta da giovani diseredati di ogni risma che aveva invaso Berlino». Brecht conosceva bene la differenza tra ribelle e rivoluzionario e che non ogni rivolta fosse da appoggiare ma solo quelle che fossero utili all'avanzamento sociale complessivo per la costruzione del socialismo. Giudicò evidentemente quelle rivolte infiltrate e sobillate da elementi reazionari, e come tali da condannare. Ben fatto compagno Brecht! [Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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IL TENTATO GOLPE DEL 17 GIUGNO 1953 Sui moti di Berlino del 1953 leggiamo quanto scrivono Aldo Bernardini e Adriana Chiaia: «I moti di protesta e gli scioperi che ebbero luogo il 17 giugno 1953 a Berlino e in altre località della RDT (tra i primi lo sciopero degli operai e dei cantieri di costruzione della Stalinallee) furono la risposta ai provvedimenti, decisi dalla SED (Partito di Unità Socialista di Germania) e dal governo, che comportavano l'aumento generalizzato dei prezzi dei beni di consumo indispensabili, l'esclusione di ampie categorie di cittadini dalla possibilità di approvvigionarsi a prezzi contenuti di beni alimentari ed inoltre il peggioramento delle norme e dei tempi di lavoro per gli operai. Nelle manifestazioni spontanee, volte ad ottenere il ritiro di simili provvedimenti, si insinuò l'attacco sovversivo delle potenze imperialiste occidentali allo scopo di abbattere il governo del primo Stato socialista in Germania. Risultarono subito evidenti l'intento di trasformare ogni sciopero rivendicativo ed ogni manifestazione sindacale operaia in insurrezione contro il governo e il carattere organizzato e premeditato dell'intervento pilotato dall'esterno. La presenza attiva di noti nazisti e di provocatori mercenari provenienti da Berlino Ovest, che mettevano in bocca ai dimostranti parole d'ordine come: “elezioni libere, libertà per tutti i partiti, liberazione dei prigionieri politici (nazisti condannati per crimini di guerra)” e slogan antisovietici, è ampiamente provata perfino dalle testimonianze insospettabili di giornali occidentali (compresi quelli anticomunisti). La rivolta fu repressa in breve tempo dall'intervento militare delle forze sovietiche ed in alcune situazioni dagli stessi operai che si opposero alle devastazioni istigate dai provocatori. Per individuare la causa primaria delle misure peggiorative delle condizioni di vita e di lavoro della popolazione, che il partito ed il governo della RDT erano stati costretti ad emanare, bisogna risalire al netto rifiuto delle potenze occidentali di accettare la soluzione, proposta da Stalin alla fine della seconda guerra mondiale, dell'unificazione di una Germania neutrale e smilitarizzata. Il successivo riarmo della Germania occidentale e la sua integrazione nel sistema militare europeo, avevano imposto alla classe dirigente della RDT la decisione di accelerare il processo di socializzazione dell'economia e di far fronte alle spese militari che la nuova situazione comportava. Tuttavia la congiuntura non giustificava la pessima e contraddittoria gestione dall'alto delle pur necessarie misure economiche che ne derivavano. Esse, emanate non senza l'obbligata consultazione con la Commissione di controllo sovietica, presente sul territorio della Germania Est, furono successivamente bruscamente revocate dopo la rivolta (tranne quelle concernenti le condizioni e i ritmi di lavoro nelle fabbriche) per espresso ordine di Mosca. In entrambi i casi furono decisioni imposte senza una adeguata consultazione e discussione nelle istanze di base del partito, del sindacato e delle organizzazioni di massa. Questo stile di lavoro, non poteva che minare la fiducia della classe operaia e di vasti strati della popolazione nei confronti del partito e fomentare il rifiuto di qualsiasi provvedimento, anche se giustificato. I dirigenti della SED affrontarono la situazione critica con una riflessione e un dibattito interno sulle cause degli eventi, ma resistettero alle pressioni interne (minoritarie) ed esterne (sovietiche) non aprendo a soluzioni revisionistiche, come sarebbe accaduto in Polonia e in Ungheria nel 1956, bensì riaffermando i principi e la prassi della politica e dell'economia socialiste».
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«Il fattore Malvinas prevede l’incombere di una gravissima crisi economico-sociale all’interno degli Stati Uniti, collegata a un’evidente inefficacia nel contrastarla persino da parte della rete di protezione offerta dallo Stato e dalla parastatale Federal Reserve, che conduca come sua (evitabile) conseguenza alla vittoria dell’ala più oltranzista e reazionaria dell’imperialismo americano con il suo mantra: “Non abbiamo più niente da perdere. Meglio tentare di vincere ad Armageddon che avere le masse in rivolta armata a Los Angeles, Washington e in giro per tutto il Paese”. O tutto, o niente». Una recensione del lavoro di Sidoli, Burgio e Leoni a cura di Pietro Terzan. https://intellettualecollettivo.it/il-fattore-malvinas/
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«Il fattore Malvinas prevede l’incombere di una gravissima crisi economico-sociale all’interno degli Stati Uniti, collegata a un’evidente inefficacia nel contrastarla persino da parte della rete di protezione offerta dallo Stato e dalla parastatale Federal Reserve, che conduca come sua (evitabile) conseguenza alla vittoria dell’ala più oltranzista e reazionaria dell’imperialismo americano con il suo mantra: “Non abbiamo più niente da perdere. Meglio tentare di vincere ad Armageddon che avere le masse in rivolta armata a Los Angeles, Washington e in giro per tutto il Paese”. O tutto, o niente». Una recensione del lavoro di Sidoli, Burgio e Leoni a cura di Pietro Terzan. https://intellettualecollettivo.it/il-fattore-malvinas/
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Per lo storico e partigiano Marc Bloch, nome di battaglia "Narbonne" (6 luglio 1886 - 16 giugno 1944) "Ma adesso il compito più urgente è di raccogliere i materiali. È tempo di aprire un'inchiesta seria sulle false notizie di guerra, perché i quattro anni terribili già si allontanano verso il passato e, prima di quanto si creda, le generazioni che li hanno vissuti cominceranno lentamente a sparire. Chiunque ha potuto e saputo vedere deve sin da ora raccogliere i suoi appunti o mettere per iscritto i suoi ricordi. Soprattutto non lasciamo il compito di svolgere queste ricerche a uomini del tutto impreparati al lavoro storico. In questa materia, le osservazioni veramente preziose sono quelle che vengono da persone abituate ai metodi critici e a studiare problemi sociali. La guerra, come ho detto sopra, è stato un immenso esperimento di psicologia sociale. Consolarsi dei suoi orrori rallegrandosi del suo interesse sperimentale significherebbe mostrare un dilettantismo di cattivo gusto. Ma, poiché essa ha avuto luogo, è opportuno utilizzarne gli insegnamenti al meglio della nostra scienza. Affrettiamoci a trarre profitto da un'occasione, che dobbiamo sperare unica". (M. Bloch, Riflessioni di uno storico sulle false notizie di guerra, 1921)
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SULLA VITA "SPIRITUALE" SOCIALE Da dove originano la corruzione delinquenziale e il degrado morale della società se non dalla società stessa? Quando vi sia una società borghese, capitalista, non c’è da stupirsi che entri in crisi la moralità pubblica, oltre che individuale. Spazio a Kelle e Kovalson: «Il marxismo studia appunto le vie e i mezzi per l’edificazione di una società, in cui i beni materiali vengano distribuiti secondo i bisogni di tutti i membri della società. Ma sarebbe ridicolo pensare che per i marxisti l’abbondanza dei beni materiali sarebbe un fine a se stante. Le cose stanno ben diversamente. l’esperienza storica dimostra che quando all’abbondanza dei beni materiali non si accompagna lo sviluppo spirituale della società: morale, estetico, ecc., senza l’apparizione di esigenze spirituali più elevate, senza il perfezionamento sotto tutti gli aspetti della persona umana, la società cade nello stato di sazietà e di degenerazione. Il marxismo considera l’abbondanza dei beni materiali soltanto come la condizione necessaria e la base dello sviluppo di ogni individuo, del manifestarsi di tutte le aspirazioni spirituali e delle facoltà creatrici dell’uomo. […] La vita spirituale della società non è solo produzione di idee, ma è anche il processo di funzionamento della coscienza sociale, cioè della sua interazione con la coscienza individuale. Essa comprende la lotta di idee dei diversi gruppi sociali e classi, lo scambio di opinioni, di idee, di teorie, la loro apparizione e il loro sviluppo. La vita spirituale della società è indissolubilmente legata alla vita sociale, riflettendo i processi sociali, le collisioni, i conflitti ed è in correlazione organica con le molteplici attività degli uomini». [Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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L’ORIGINE DELLA CORRUZIONE E DEL DEGRADO MORALE «Noi respingiamo ogni pretesa di imporci una qualsiasi dogmatica morale come legge etica eterna, definitiva, immutabile nell’avvenire, col pretesto che anche il mondo morale abbia i suoi princìpi permanenti, che stanno al di sopra della storia e delle differenze tra i popoli. Affermiamo per contro, che ogni teoria morale sinora esistita è, in ultima analisi, il risultato della condizione economica della società del tempo. E come la società si è mossa sinora sul piano degli antagonismi di classe, così la morale è sempre stata una morale di classe; o ha giustificato il dominio e gli interessi della classe dominante, o, divenuta la classe oppressa sufficientemente forte, ha rappresentato la rivolta contro questo dominio e gli interessi futuri degli oppressi. Che così all’ingrosso si sia avuto un progresso tanto per la morale quanto per tutti gli altri rami della conoscenza umana, è cosa su cui non è possibile nessun dubbio. Ma non abbiamo ancora superato la morale di classe. Una morale che superi gli antagonismi delle classi e le loro sopravvivenze nel pensiero, una morale veramente umana è possibile solo a un livello sociale in cui gli antagonismi delle classi non solo siano superati, ma siano anche dimenticati per la prassi della vita». (Friedrich Engels) [Ritratto di Friedrich Engels, 1868. Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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I governi bianchi di questi paesi rispondono sostenendo un movimento di ribelli mozambicani chiamato RENAMO, che causa gravi danni al paese distruggendo scuole, ospedali, linee ferroviarie e centrali idroelettriche. L'economia del Mozambico, messa a dura prova dai conflitti interni, diventa sempre più dipendente dal sostegno dell'Unione Sovietica. Nonostante questo contesto di crisi, Machel non perde il favore della popolazione, anche a causa delle atrocità commesse sovente dai guerriglieri della RENAMO ai danni della popolazione civile. Nel 1977 gli viene conferito il Premio Lenin per la pace. Il 19 ottobre 1986, Samora Machel è coinvolto in un incidente aereo mentre rimpatria da un meeting internazionale tenutosi in Zambia. Il velivolo su cui viaggia (un Tupolev Tu-134 di fabbricazione sovietica) precipita nei pressi del confine fra Mozambico, Swaziland e Sudafrica, sui monti Lebombo. Solo nove i sopravvissuti; tra le vittime, oltre a Machel, altre 24 persone, inclusi membri del governo. Diverse fonti sollevano il sospetto che il regime del Sudafrica sia coinvolto, ma le indagini, condotte congiuntamente da Sudafrica, Mozambico, l'Organizzazione Internazionale dell'Aviazione Civile e l'Unione Sovietica non hanno raggiunto prove definitive, anche se la delegazione sovietica ha sostenuto apertamente il coinvolgimento del Sudafrica. [Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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IL MOZAMBICO DI SAMORA MACHEL Il Mozambico presenta una storia simile a quella dell'Angola: «appena libero dalla dominazione portoghese, subì le devastazioni della guerra condotta dalle forze separatiste del RENAMO, finanziate e armate per sedici anni dal Sudafrica razzista e, ipocritamente, da certe grandi potenze occidentali, fra cui la Francia. Il processo di pace, laboriosamente iniziato dopo il 1994 (quando l'ANC di Mandela andò al potere in Sudafrica) diede una larga maggioranza al partito FRELIMO» a cui non restava «che ricostruire un paese devastato che aveva perduto centinaia di migliaia di cittadini e l'essenziale delle sue attrezzature industriali, e le cui terre coltivabili erano disseminate di mine antiuomo che avrebbero mietuto vite e arti ancora per decenni». Come per l'Angola, così per il Mozambico, il fazioso Stephen Courtois nel Libro nero del Comunismo ha attribuito tali morti al conto del comunismo, ignorando il ruolo delle grandi potenze e delle multinazionali interessate alle ricchezze del sottosuolo (diamanti e petrolio in particolare) presenti in questi paesi. Un esempio perfetto di rimozione sfrontata e vergognosa dei crimini dell'imperialismo. Come si comporta verso il Mozambico l'URSS? «Mosca inviò armi al Fronte Marxista per la Liberazione del Mozambico (FRELIMO) che faceva capo al presidente Samora Machel, salito al potere nell'estate del 1975. Il FRELIMO […] mandava ogni anno contingenti di ufficiali dei servizi d'informazione a Mosca per i corsi all'Istituto Andropov. […] i consiglieri della STASI della Germania orientale collaboravano all'istituzione di un servizio di sicurezza», lo SNASP. Pur non conoscendo la cifra precisa del sostegno finanziario e militare offerto, sappiamo che «nel quinquennio tra gennaio 1976 e dicembre 1980, le forniture di armi da parte sovietica all'Africa nera raggiunsero il valore complessivo di quattro miliardi di dollari». Il personaggio più rappresentativo della storia del paese è Samora Moisés Machel (Madragoa, 29 settembre 1933 – Mbuzini, 19 ottobre 1986), leader del Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO) e primo presidente del Mozambico indipendente. Machel nasce nel villaggio di Chilembene, in una famiglia povera di contadini. I suoi genitori sono costretti dai portoghesi a coltivare cotone e soffrono a lungo la fame. Pur passando gran parte del suo tempo a lavorare nei campi, il giovane Machel riesce a frequentare una scuola cattolica e in seguito studia per diventare infermiere, riuscendo a trovare un impiego in un ospedale. Negli anni Cinquanta il terreno della sua famiglia è confiscato e ceduto a coloni portoghesi; per sbarcare il lunario i suoi devono andare a lavorare nelle miniere del Sudafrica, dove il fratello di Samora perde la vita in un incidente. Machel incontra il marxismo e inizia la propria attività politica in ospedale, protestando per la diversa retribuzione degli infermieri bianchi e neri e per il modo in cui i neri poveri mozambicani vengono curati. In seguito avrebbe dichiarato a un reporter: “al cane di un uomo ricco vengono dispensati più vaccini, medicine e cure mediche che agli operai dal cui lavoro deriva il benessere dell'uomo ricco”. Nel 1962 Machel entra nel Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO). Nel 1963 viene addestrato militarmente e nel 1964 guida la prima azione di guerriglia del FRELIMO contro i portoghesi. Nel 1970 diventa il comandante in capo dell'esercito del FRELIMO. Il suo principale obiettivo è “capire come trasformare la lotta armata in una rivoluzione” e “creare una nuova mentalità su cui costruire una nuova società”. Quando il governo rivoluzionario di Machel prende il potere, è lui il primo presidente del Mozambico libero dal colonialismo portoghese. È il 25 giugno 1975. La sua azione politica è apertamente ispirata dal marxismo: le piantagioni sono nazionalizzate e vengono costruite scuole e ospedali per i contadini. Convinto internazionalista, Machel sostiene le forze rivoluzionarie anti-apartheid che operano in Rhodesia (odierno Zimbabwe) e Sudafrica.
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COME L’ITALIA ENTRÒ NEL PATTO ATLANTICO [dai lavori preparatori del prossimo libro sugli USA] «Nell’ottobre del 1946 De Gasperi indirizzò a Truman un messaggio personale nel quale gli esponeva un piano per estromettere i comunisti dal governo. Questo piano venne concordato in occasione della visita di De Gasperi negli Stati Uniti nel periodo 5-20 gennaio 1947. L’esclusione dei comunisti dal governo era infatti la condizione posta dai circoli dirigenti americani per la concessione di aiuti economici all’Italia. In caso di successo il governo De Gasperi avrebbe ricevuto un prestito di 100 milioni di dollari. La crisi di governo fu accelerata dalla scissione del Partito socialista italiano avvenuta nel corso del XXV congresso straordinario (9-13 gennaio 1947). (il terzo) gabinetto De Gasperi, formato il 2 febbraio 1947, fu ancora una volta espressione di tutti i partiti della coalizione antifascista. In verità le posizioni dei democristiani nel nuovo governo erano più forti e il ministero delle finanze fu sottratto al controllo del PCI. Il 10 febbraio 1947 a Parigi veniva sottoscritto il trattato di pace con l’Italia. In vista dell’imminente partenza delle truppe di occupazione dall’Italia i circoli dirigenti americani sottoposero il governo a nuove pressioni. L’ambasciatore italiano a Washington comunicò al ministro degli esteri, Carlo Sforza, che il governo degli Stati Uniti poneva come condizione per l’invio di aiuti economici all’Italia l’esclusione dei comunisti e dei socialisti dal governo. Il paese fu percorso da una campagna propagandistica anticomunista. Si intensificò la violenza della mafia contro le forze di sinistra nel sud. Il Primo Maggio a Portella delle Ginestre, in Sicilia, i mafiosi aprirono il fuoco con le mitragliatrici sulla folla di manifestanti che festeggiavano la ricorrenza. 11 persone furono uccise e 56 ferite. In questa situazione De Gasperi provocò una nuova crisi di governo. Il 13 maggio egli annunziò all’Assemblea costituente le sue dimissioni da primo ministro e il 31 maggio formò un governo composto di soli democristiani, ottenendo il voto di fiducia della maggioranza dell’Assemblea costituente». Si tratta di una «svolta reazionaria e antipopolare». Il II congresso della DC di Napoli nel novembre 1947 conferma la linea di rottura con le forze social-comuniste e qualche mese dopo «la formazione del “governo nero” l’Assemblea costituente ratificava il trattato di pace che entrò in vigore il 15 settembre 1947». (S.U. pp. 272-274) Il piano Marshall e l’ingresso nella NATO vanno di pari passo: «Il “piano Marshall” aprì la strada alla penetrazione sempre più massiccia del capitale americano nell’economia italiana. Il 4 aprile 1949 l’Italia aderiva al Patto atlantico. I circoli dirigenti videro nel Patto atlantico una garanzia per il proprio potere politico. Per conservare il regime esistente essi accettarono limitazioni alla sovranità del paese. Nel 1949 i porti italiani di Napoli, Livorno, Taranto, Augusta divennero basi della 6a flotta statunitense». Gaja ha raccolto molto più materiale che gli storici borghesi tendono a dimenticare. «Va tenuta presente una considerazione: negli anni iniziali di questa guerra segreta, almeno fino al 1949, l’Italia è stata terra di conquista, priva di sovranità, un paese sconfitto in cui gli organismi spionistici dei vincitori hanno operato al di fuori di qualsiasi controllo, in condizioni di totale impunità. Anche i loro collaboratori di nazionalità italiana hanno goduto della stessa possibilità di arbitrio, coperta successivamente, da parte dell’autorità nazionale, con il “segreto di Stato”. Come conseguenza alla popolazione italiana è stato imposto uno sviluppo condizionato da una politica segreta che ha costituito per decenni la vera realtà profonda della vita italiana. L’altra realtà, quella riflessa dai titoli dei giornali, dalle cronache della radio e dal dialogo politico, è stata in gran parte una sovrastruttura superficiale, nella quale la classe politica italiana ha svolto sostanzialmente, nel suo insieme, un ruolo di figurante a contratto».
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Gaja parte dagli anni della Seconda guerra mondiale. Già «fra il dicembre 1943 e l'aprile 1945 l'OSS invia a Washington ben 30 rapporti sulla consistenza del partito comunista italiano». Si ricorda come nel progettino guidato da Allen Dulles gli “alleati” abbiano salvato e riciclato le SS naziste con l'ausilio di organizzazioni clericali e della polizia italiana, mettendo in salvo elementi fascisti, nazisti e ustascia già dalla fine di aprile 1945. Vengono salvati i più importanti generali italiani (tra cui ad esempio Mario Roatta, Giuseppe Pieche, Taddeo Orlando e Carlo Giovanni Re) e utilizzati per organizzare gruppi terroristici neofascisti da impiegare in missioni di provocazione, e per ripulire gli organici dell'esercito dagli ufficiali provenienti dalla resistenza partigiana. Trentadue giorni dopo la strage di Portella della Ginestra, il 2 giugno, «Alcide De Gasperi formò un governo senza ministri comunisti e socialisti. La strage e l’ordine impartito a De Gasperi da Washington di espellere comunisti e socialisti dal governo (nello stesso momento anche Paul Henry Spaak in Belgio e Paul Ramadier in Francia eliminavano le sinistre dalle rispettive compagini ministeriali) furono determinati da una svolta di principio intervenuta nell’atteggiamento dell’amministrazione americana relativamente all’offensiva contro i comunisti. Il 25 aprile 1947 il Congresso prese in esame un memorandum del Council on Foreign Relations stilato da Allen Dulles che ne era in quel momento il direttore esecutivo, che prevedeva un nuovo schema offensivo dei servizi segreti americani in Europa. Vi si leggeva: “Non possiamo ragionevolmente limitare la nostra reazione contro la strategia comunista ai casi in cui siamo invitati dai governi al potere. Dobbiamo essere noi a decidere quando, come e dove agire”. Il 19 dicembre il Consiglio per la Sicurezza Nazionale decise di impegnare la CIA nella guerra fredda, e il 22 dicembre successivo il capo dell’agenzia promosse la creazione del Gruppo per le Procedure Speciali, emanazione dell’Ufficio Operazioni Segrete OSO, destinato a operare in Italia. Il 16 gennaio 1948 il Consiglio per la Sicurezza Nazionale emise la famosa direttiva in cui si affermava testualmente: “Gli Stati Uniti devono fare uso completo di tutto il loro potere politico, economico e se necessario militare in modo da aiutare a prevenire che l’Italia possa cadere sotto la dominazione dell’URSS, sia attraverso un attacco militare esterno che attraverso il movimento comunista italiano dominato dai Sovietici”. George Kennan, che in quel momento era il direttore della sezione Previsioni Politiche del Dipartimento di Stato, riteneva che l’Italia fosse “il paese chiave del continente” e giunse a proporre esplicitamente il 15 marzo 1948 di “mettere fuori legge il partito comunista e adottare severe misure prima delle elezioni”. Pur di mantenere l’Italia sotto controllo americano Kennan chiedeva che si affrontassero anche i rischi maggiori, con una proposta di una eccezionalità talmente al di fuori di qualsiasi logica politica comprensibile da dover essere anch’essa forzatamente giustificata da ragioni superiori. Prevedeva infatti Kennan, come conseguenza della messa fuori legge: “I comunisti reagirebbero con ogni probabilità con la guerra civile, cosa che ci autorizzerebbe a rioccupare Foggia e tutte le altre basi che ci interessano. Tutto ciò, lo ammetto, condurrebbe alla violenza e probabilmente alla divisione militare dell'Italia; ma ci stiamo avvicinando alla méta e io penso che ciò sia preferibile a una vittoria elettorale senza sangue, che darebbe ai comunisti l’intero paese in un sol colpo e propagherebbe ondate di panico a tutti i paesi vicini”». Arriva il temibile 1948. Nel caso remoto in cui vincano i comunisti si prepara la guerra civile.
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«Gli Stati Uniti fornirono segretamente al partito di De Gasperi 10 milioni di dollari di armi e munizioni: 5.000 pistole, 20 mila fucili e mitra, 50 milioni di cartucce. Le ultime armi arrivarono a Pozzuoli il 17 aprile 1948, ventiquattro ore prima delle elezioni politiche generali. Se la Democrazia Cristiana avesse perduto le elezioni, si sarebbe trasformata in un corpo armato pronto a trascinare l’Italia in una guerra civile per impedire ai comunisti di governare. Questa fornitura di armi fu eseguita nell’ambito di un “Piano X”, predisposto dal Dipartimento di Stato e dal Pentagono per l’eliminazione forzata delle organizzazioni politiche comuniste dalla scena della politica nazionale italiana. A tutt’oggi del Piano X è conosciuta solo una versione censurata. Fu accettato da De Gasperi, primo ministro, e da Randolfo Pacciardi, ministro della Difesa, e messo in atto sotto la responsabilità del colonnello Antonio Musco e dell’agente CIA Carmel Offie. In una delle sue numerose esternazioni — esattamente il 12 gennaio 1992 — l’ex presidente Francesco Cossiga ha confermato l’esistenza di una democrazia cristiana armata clandestinamente». [Fonti: Storia Universale dell'Accademia delle Scienze dell'URSS e F. Gaja, Il secolo corto, pp. 163-171, 173. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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