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👩‍💻 Rachele Sagramoso MaternaMente

Scritti, appuntamenti, podcast sulla Femminile e la Maternità

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Pillola di Papitudine di Rachele Sagramoso Al netto del fatto che sia pur vero che l'uomo sia stato privato del proprio maturare paternità, va riconosciuto che talvolta sia stato l'uomo a liberarsi velocemente del giogo della virilità paterna. Non è un caso se, sotto i miei occhi, osservi maschi che hanno confuso la paternità con il possesso, con la trasmissione genetica, con il materialismo e il consumismo, con l'ossessione ideologica e/o religiosa, e altro. Ciò che fa del maschio un uomo e il padre è, per esempio, la responsabilità sul dove viene riversato il proprio liquido spermatico: la cosiddetta liberazione dal peso delle gravidanze indesiderate (magistralmente pilotata dell'ideologia femminista) è, in realtà, un mezzo maschilista di evitare conseguenze sull'uso improprio del proprio apparato riproduttivo. L'allora Ministro della Patologia Speranza lo sa benissimo, infatti chi ha usufruito dell'acquisto senza ricetta della pillola del giorno dopo e dei cinque giorni dopo, sono i maschietti, che se ne guardano bene dall'usare rispetto nel confronto delle femminette (che tra l'altro suppongono che essere libere voglia dire abusare del loro corpo). Il risultato sono l'esplosione di malattie veneree e l'abuso di levonorgestrel e di ulipristal acetato. Tra l'altro lo sappiamo bene che +contraccezione non vuole dire -aborti. In questo frangente vorrei far notare che l'irresponsabilità precedente descritta non è propria dell'adolescente gonfio di testosterone, ma anche dell'adultescente sposato/accompagnato e magari già con prole, che propone e/o impone l'aborto come mezzo anticoncezionale invece di annodarsi il fallo. Un altro tipo di paternità che tendo a sopportare maldestramente è quello del padre che non si sente protagonista della cura e dell'educazione dei figli insieme alla madre dei figli medesimi. Ciò avviene prettamente in occasioni specifiche: per esempio durante la primissima infanzia del neonato che, con la scusa del fatto che il piccino ha bisogno di mamma, vede l'essere umano di sesso maschile obnubilarsi con ogni tipo di scusa e ogni sorta di motivazione. Tre gettonate, a parte il lavoro (e qui addossiamo la colpa a politica eccetera) riguardano la frequenza di passatempi ed hobbies, la partecipazione ad attività formative e l'abnegazione religiosa. Se un bambino è un dono che è affidato a una coppia genitoriale, non è un obolo solo di mamma perché papà non sa come attivarsi con un piccino o, peggio, perché ha altro da fare: soprattutto oggi come oggi che le famiglie sono nucleari e spesso la puerpera/neomamma non ha genitori disponibili/presenti/capaci, ogni creatura che viene al mondo ha bisogno di mamma E papà. La diade formata da madre e bebé ha bisogno di essere protetta dalla stanchezza, dalle giuste esigenze di altri bambini, dalla confusione dell'organizzazione familiare, dagli intoppi dovuti ad allattamento e sonno, da consigli di sprovveduti esperti... Nessuna fede, soprattutto una fede che si basa sull'amore prossimale, sulla famiglia e sulla relazione, può giustificare il fatto che una mamma sia lasciata sola e stanca. Il neonato sino ai primi 24 mesi, è una creatura che va allevata con cura, con attenzione ed amore: non è un essere che va plasmato a delle caratteristiche pseudoadulte per il semplice fatto che non ne si conoscono ed accettano le peculiarità specifiche. La fondamentale figura del padre è chiamata in prima linea per conoscere tali caratteristiche, per essere attiva nella cura della casa e degli altri membri della famiglia, e per educare la prole. Nessuna partecipazione ad attività di qualunque genere esterne alla famiglia, può limitare l'adesione alle proprie responsabilità familiari. La fede, proprio essendo fondamentale, è al primo posto: mai come l'arrivo di un figlio deve richiamare al proprio ruolo paterno così descritto magistralmente dalle pagine del Vangelo che ci parlano di un Padre colmo di tenerezza e presente sino al dimostrare amore incondizionato verso le Sue creature.
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Essere uomini e padri richiama la donna al proprio ruolo quotidiano femminile, non privando la controparte maschile di alcuna caratteristica ma anzi valorizzandola, con lo scopo comune di fornire ad ogni figlio ed ogni figlia, degli esempi di gioia e serenità il cui scopo ultimo, in fondo, è lo stimolo verso la creazione di nuove generazioni di famiglie.
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29 Maggio 2024 - Silvana quotidiana - L'opinione giornaliera della dott.ssa Silvana De Mari.

Pillole di Mammitudine di Rachele Sagramoso Siamo davvero tutti certi incontrovertibilmente che le persone non facciano figli per problemi economici? Sono sicura del fatto che un aiuto nel detrarre le tasse o per sostenere le donne che abortirebbero potrebbe essere uno stimolo, ma mi chiedo cosa ci sia dietro. A mio modestissimo avviso c'è da attribuire un po' la colpa all'adultocentrismo che poggia le sue solide basi su un profondissimo disprezzo verso i bambini. Tale disprezzo è in parte dovuto al fatto che quando si è bambini non si viene rispettati per ciò che si è, ma si è solamente apprezzati per ciò che si dimostra di essere. Mi spiego. Quando si cresce bambini in un nucleo familiare dove è fondamentale imparare a cavarsela da soli e dove sin dalla più tenera età si viene sballottati a destra e sinistra tra attività ludiche/scolastiche (ovvero condivisione del proprio IO - emozioni, sentimenti - con coetanei e con adulti senza specifici legami affettivi) e attività pomeridiane performanti (tutti gli sport che terminano con saggi o dimostrazioni di aver aqcuisito una specifica abilità), si acquisisce un dato importante: essere infanti non è poi 'sto granché. Essere bambini è assolutamente un grogiuolo di caratteristiche fastidiose e irricevibili, e l'infanzia è una fase della vita - come l'anzianità, ma per altri motivi - che bisognerebbe passare velocemente. Tutte quelle tappe evolutive lentissime e meravigliose che caratterizzano il bambino dalla nascita alla pre-pubertà (0-9 anni circa), sono per lo più fastidiose e vanno superate con agilità quasi olimpionica dai genitori che vengono forniti di ogni motivazione specifica per poter "sbrigare fuori" questa fase della vita del figlio: si va dall'acquisizione del dormire/mangiare eccetera da soli (lo scopo è disturbare il meno possibile gli adulti), all'acquisire il concetto che ci sono degli obbiettivi da dimostrare di aver acquisito per la soddisfazione della famiglia. Quando un bambino piange, a qualunque età, è elemento d'imbarazzo per il genitore. Il bambino è bravo se sta zitto e dimostra felicità, se non corrisponde a questa immagine viene classificato con sindromi e demandato ad esperti (alcuni approfittandone bellamente: il bambino-pre-adolescente che ripone fiducia in un adulto è strumento per qualunque ideologia). Il tutto è condito con la delega al professionista che è investito della genitorialità di un figlio non proprio: stessa situazione la vivono educatrici, insegnanti, docenti, allenatori che talvolta sono chiamati a sostituire i genitori. Questi ultimi, impegnati tra vite affettive complicate e affannamento economico/organizzativi, si lamentano quotidianemente del loro ruolo di genitori (i figli costano, i figli richiedono, i figli impegnano, i figli rompono). Ma è ovvio: sono stati educati così e crescono i figli così. Nessuna colpa. Il nòcciolo della questione è il seguente: la denatalità non si smuoverà di un millimetro se continuiamo a usare i bambini per qualunque scopo artificiale adultocentrico. Mettere al mondo i bambini vuole dire costruire una realtà dove i bambini, con tutte le loro caratteristiche infantili che debbono poter giungere alla pubertà pressochè intatte (creatività, curiosità, allegria), hanno il diritto di vivere esprimendosi: se continuiamo a dire che il bene di un bambino è assolutamente quello di essere desiderato; che un neonato deve piangere nella culletta per il suo bene; che il bambino di due anni è capriccioso; che il cinquenne deve essere bilingue; che il settenne deve suonare lo strumento e dimostrare gratitudine perchè la famiglia paga per tre sport; che il novenne deve muoversi rapidamente e proiettarsi verso la pubertà senza troppo disturbare (basta dargli uno smartphone perchè gli amici non lo isolino); che il pre-adolescente è il caso che prenda lezioni di educazione al preservativo così non si mette nei guai e che l'adolescente è pregato di pensare quello che gli viene detto di pensare (le ideologie trangenderiste ed abortiste vanno benissimo)...
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allora noi esprimiamo il logico pensiero che l'infanzia serve agli adulti. Parlare di promuovere la natalità, invece, vuole dire accendere i riflettori sul fatto che tutte le caratteristiche infantili siano da accogliere e da far maturare attraverso il processo educativo rispettoso di ogni singola tappa evolutiva, trasmettendo al bambino un semplice messaggio: vai bene così, ti vogliamo bene perchè sei fatto così, ti aiuteremo a maturare con affetto e rispetto. E' assolutamente inutile parlare di natalità quando il pianto di un bambino è considerato un disturbo e un fastidio. «Il pianto del bambino è la voce di Dio» Papa Francesco
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Stamattina! ☝️☝️☝️☝️☝️☝️☝️
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