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I Maestri del Socialismo

Formazione e informazione politica, storica e filosofica per un canale gestito da Alessandro Pascale.

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LA DISUGUAGLIANZA SOSTANZIALE (3° parte - sugli USA) Perfino negli USA, la maggiore potenza capitalistica mondiale, i dati sono allarmanti. Nel 2009 Laura Pennacchi scriveva che «i 25 milioni di americani più ricchi posseggono un reddito equivalente a quello di 2 miliardi di persone povere, il 5% più ricco della popolazione ha un reddito di 114 volte superiore a quello del 5% più povero, i 400 americani più ricchi hanno un reddito superiore a quello di 166 milioni di abitanti dell’Africa». Così invece Domenico Maceri, docente di lingue al college californiano Allan Hancock di Santa Maria: «nel 1992 i 400 cittadini statunitensi con il reddito più alto guadagnavano una media di 40 milioni all’anno. La cifra attuale è di 227 milioni. Durante questo periodo le tasse di questi ultraricchi sono diminuite dal 29% al 21%. Queste riduzioni delle tasse ai più abbienti coincidono con l’aumento della povertà negli Stati Uniti. Secondo dati pubblicati dall’US Census, il censimento statunitense, il 15% degli americani, ossia 46 milioni, sono classificati come poveri. Per quanto riguarda la classe media il reddito negli ultimi tempi è rimasto stagnante. […] Il crescente divario economico fra classe ricca e povera degli ultimi tempi è il più marcato del secolo scorso e di questo, eccetto per la Grande Depressione degli anni ‘30». Warren Buffett, da decenni stabilmente tra i primi 5 più ricchi del mondo, con un patrimonio personale attuale di oltre 100 miliardi di dollari, nel 2011 ha fatto notare candidamente come lui stesso pagasse all’erario il 17,4% sul suo reddito annuo (all’epoca di 40 milioni di dollari) da investimenti finanziari, mentre la sua segretaria e gli impiegati del suo ufficio versassero in media il 36% del proprio reddito da lavoro. Una situazione talmente eclatante da far confessare allo stesso Buffett che: «c’è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo». [Post completo sui nostri canali telegram https://t.me/intellettualecollettivo e Facebook. Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/]
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6) La gran parte degli errori precedenti dipende in ultima analisi dall'adesione ad un progressivo revisionismo ideologico che ha portato all'abbandono del marxismo-leninismo. Il dato è esplicitato nel XV Congresso del PCI del 1979, nel quale Berlinguer in persona propone e fa passare la modifica dello Statuto del Partito, eliminando i riferimenti all'ideologia marxista-leninista (articolo 5) per affermarne la “laicità”. 7) L'aver difeso senza riserve lo Stato borghese durante la stagione del “caso Moro”, diventandone di fatto il primo difensore, connivente con chi nella DC e nella CIA voleva Aldo Moro morto. Prima dell'attentato di via Fani le BR contano, secondo alcuni sondaggi, il 25% del consenso tra la classe operaia, che in una maniera o nell'altra simpatizza con le loro azioni tese a colpire il regime borghese guidato dai democristiani. Berlinguer non era certo obbligato a sostenerli, ma poteva cercare uno spazio diverso come fece Craxi (che chiedeva l'avvio delle trattative per salvare Moro e riconoscere politicamente l'organizzazione BR, sperando di trasformarla così in soggetto politico) oppure come fece il grande intellettuale Sciascia proclamando «né con lo Stato né con le BR». Particolarmente rilevante appare l'abbandono formale del marxismo-leninismo dallo Statuto. Su questo tema vale la pena riportare quanto scritto da Costanzo Preve: «Negli anni Ottanta il vecchio dinosauro PCI è come un bastimento alla deriva. Come tutti i dinosauri, ha ormai un corpo grande ma una testa minuscola. Il togliattismo progressista e storicista si era già squagliato come un mucchio di neve al sole. La sconfitta operaia alla FIAT aveva di fatto sancito, con questa battaglia difensiva di retroguardia, la fine della funzione di opposizione e di contestazione della classe operaia di fabbrica in Italia. Gli intellettuali, che lungi dall’essere individualisti come spesso stupidamente si dice da chi non li conosce bene, sono invece profondamente conformisti e gregari e si muovono tutti insieme come banchi di pesci, si mossero negli anni Ottanta in gruppo dal gramscismo al pensiero debole postmoderno. Ai posti di comando PCI non arrivarono i vecchi maneggioni togliattiani di destra (Napolitano, Chiaromonte, Macaluso, ecc.), ma i giovani nichilisti della FGCI che avevano consumato integralmente la morte di Dio diventando così dei nicciani “ultimi uomini” (Occhetto, D’Alema, Veltroni, ecc.). Un partito senza teoria è come un popolo civile senza metafisica, per usare l’espressione di Hegel. Il PCI degli anni Ottanta è un partito senza teoria, senza strategia e senza tattica. Un povero bestione barcollante, che trova inevitabilmente nella deriva identitaria il solo collante che possa ancora dare senso di appartenenza ai militanti ed agli elettori smarriti. Il partito si ammalò di “craxite”, cioè di personalizzazione polemica contro la figura del cinghialone e del ladrone, cui venivano contrapposti gli austeri ed onesti comunisti. La lettura delle riviste degli anni Ottanta (e di Linus in particolare, brodo di coltura di tutti i morettismi successivi) è in proposito ad un tempo agghiacciante ed esilarante. Non esiste più analisi strutturale delle classi e dei rapporti sociali, ma solo una insistita e maniacale polemica contro i ladroni socialisti. Ora, non nego che i socialisti fossero veramente dei ladroni, e lo erano appunto perché non disponevano delle collaudate idrovore di finanziamento strutturale DC e PCI (industria di stato, finanziamenti esteri, cooperative, ecc.), e dovevano supplire con una sorta di dilettantismo brigantesco. Ma questa non era che la superficie pittoresca del problema, così come lo è oggi la “berlusconite”, cui la “craxite” assomigliava come una goccia d’acqua. La personalizzazione mediatica del conflitto è il più evidente sintomo della avvenuta americanizzazione culturale. Tramonta Gramsci, ascende Fassino.
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L'ottica è quella di costruire una democrazia “progressiva” che ponga l'Italia fuori dalle strutture imperialiste (NATO e CEE), ricostruendo politiche economiche progressive sulla base del nesso tra sovranità popolare e sovranità nazionale. A suo modo, la posizione di Togliatti è, considerato il contesto, ancora su posizioni di un “riformismo rivoluzionario” per un paese posto sotto l'egida degli USA. Il PCI di Berlinguer è invece un Partito che abbandona tutti gli aspetti progressivi ancora presenti sotto Togliatti, diventando di fatto e nella sostanza un Partito socialdemocratico moderno, cedendo non solo sul leninismo e sull'appartenenza internazionale al movimento comunista, ma addirittura su alcune categorie marxiste fondamentali, lasciando progressivamente campo aperto a ideologie alternative fondate su logiche corporative, aclassiste, morali e perfino cristiane. Perfino l'antimperialismo, ribadito nei discorsi e in molti atti concreti di solidarietà internazionale, si dissolve nella sciagurata idea di poter democraticizzare le istituzioni imperialiste europee, secondo una logica totalmente antileninista che sarà ancora il cardine del progetto de “L'Altra Europa con Tsipras” (elezioni europee del 2014), caratterizzando l'impostazione ideologico-politica della sinistra italiana per oltre 40 anni, facendole così dimenticare tutta l'avanzata elaborazione della storia precedente, iniziata come abbiamo visto con le polemiche poste da Lenin e Rosa Luxemburg al concetto degli “Stati Uniti d'Europa” già negli anni della prima guerra mondiale. La crisi successiva della sinistra italiana, se non è certamente ascrivibile al solo Berlinguer, non lo vede al contempo esente da enormi responsabilità, di cui sarebbe opportuno prendere atto, rifuggendo dalla consueta pantomima del ritratto agiografico che poco può servire al movimento operaio italiano. Per noi rimane un compagno in buona fede, che come tutti gli altri comunisti della Storia, ha saputo dare contributi utili e meno utili. Non dimentichiamo la sua lezione, nel bene e nel male. [Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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Se quest'ultimo la intende come un ridare valore alla democrazia liberale borghese e al pluripartitismo, il PCUS avrebbe dovuto coglierne il messaggio della necessità di una maggiore lotta contro la burocratizzazione, il verticismo gerarchico e le sempre maggiori diseguaglianze interne, cercando gli strumenti per un maggiore coinvolgimento degli strati popolari più coscienti e lavorando al miglioramento del livello politico e ideologico di quelli meno coscienti. 7) L'aver introdotto per primo il tema di uno sviluppo umano eco-sostenibile diverso dal mero aumento quantitativo di merci. Nei discorsi del 1977 la sua concezione dell'austerità non prevede di impoverire i lavoratori bensì di mettere in guardia dall'idea che la felicità individuale passi dal mero consumismo sfrenato, mettendo in guardia dalla corrispondenza tra progresso e accettazione di ogni bisogno indotto dalla società capitalistica. Quali sono stati però i suoi grandi errori? 1) Sotto la sua Segreteria sono avvenuti i maggiori cedimenti ideologici (anzitutto economici) non solo di una sua parte (il rafforzamento dell'ala migliorista guidata da Napolitano, che si sarebbe dovuta cacciare subito) ma dell'intero Partito. Diamo per assodato il punto di partenza della “via italiana al socialismo”. Come è stata articolata? L'ossessione della legittimazione governativa (riconducibile ad una degenerazione marxianamente nota come «cretinismo parlamentare») ha portato il PCI a trasformare la politica del compromesso storico (1973-76), che poteva avere un senso dal punto di vista meramente tattico, nella stagione dell'austerity condotta attraverso il periodo della solidarietà nazionale (1976-79), durante la quale il partito si è alienato le simpatie di milioni di lavoratori, perdendo il contatto con gran parte dei movimenti giovanili/studenteschi e iniziando un declino elettorale ininterrotto il decennio successivo. 2) Il primo compito di un dirigente deve essere preparare la sua successione. Emerge con nettezza l'incapacità di aver saputo crescere una nuova leva di dirigenti all'altezza della situazione. Fassino, D'Alema, Mussi, Vendola, Bassolino, Turco, Occhetto sono tutti stati “allevati” sotto la Segreteria Berlinguer. 3) Nel 1974 Berlinguer decide personalmente di smantellare l'impianto para-militare clandestino del PCI (celato sotto il nome di “Commissione Antifascismo”) rimasto in vita sottotraccia durante tutta l'epoca Togliatti, rendendo palese come la via democratica al socialismo sia non un passaggio tattico, ma una questione strategica e di sostanza. In questa maniera però ha subito la destabilizzazione interna e internazionale che preparava possibili colpi di Stato nel paese. Il passaggio assai delicato è infatti avvenuto proprio negli anni in cui esplodono le bombe neofasciste della “Strategia della Tensione” e in cui i generali organizzano progetti di golpe militari per ogni evenienza. Il tragico errore è lo stesso di quello compiuto da Allende in Cile, con l'aggravante che quest'ultimo non si era trovata già pronta ad uso difensivo una “Gladio rossa”. 4) La critica all'URSS e al socialismo reale si è spinta ad un livello inaccettabile, portando il PCI a rompere con i paesi e le relative organizzazioni operaie alleati. Berlinguer ha di fatto portato il Partito fuori dal movimento comunista internazionale preparando, se non in maniera volontaria, nei fatti, il suo ingresso nel campo della socialdemocrazia europea. 5) L'aver intrapreso la fallimentare politica dell'eurocomunismo, con cui ha per un certo periodo legittimato la NATO e avallato l'idea che si potesse costruire un'Europa dei popoli, invertendo una politica di netta ed esplicita contrarietà alle istituzioni europee che aveva caratterizzato il PCI come tutte le altre organizzazioni comuniste. Era infatti analisi condivisa la natura di classe borghese degli organismi europei che si stavano costruendo dall'inizio degli anni '50. Ciò dipende in primo luogo da un'inadeguata applicazione della categoria analitica leninista dell'antimperialismo.
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È questa la chiave del balzo in avanti elettorale del PCI dal 1968 al 1976. Il PCI garantiva alla piccola borghesia una stabile modernizzazione e liberalizzazione del costume contro i residui del tradizionalismo clericale, ed alla nuova classe operaia di recente emigrazione un processo graduale di integrazione nella società. In assenza di qualunque prospettiva rivoluzionaria […] era il massimo che si poteva ottenere, ed il PCI contribuì ad ottenerlo. Dunque, nessun tradimento sociale e politico. Il tradimento però ci fu lo stesso, e fu un tradimento culturale terribile. In una parola: il graduale processo di modernizzazione del costume e di integrazione sociale delle classi popolari nel capitalismo fu fatto passare per una sapiente “via italiana al socialismo” ed addirittura per “eurocomunismo”. In questo modo si contribuiva ad un vero e proprio “impazzimento ideologico” di cui continuiamo ancora oggi a pagare i prezzi». (Costanzo Preve) La figura di Berlinguer è ricordata con affetto da milioni di persone, tanto da essere considerato l'ultimo grande dirigente della sinistra italiana. Per certi versi è sicuramente vero, ma è necessario tracciare un quadro meno agiografico della sua pur imponente figura, segnalando non solo gli aspetti positivi, ma anche quelli negativi della sua guida politica. Quali sono stati i suoi meriti: 1) Con la politica del compromesso storico ha portato il PCI al 34% del consenso (nelle Politiche del '76, ad un passo dalla maggioranza relativa), garantendo al paese una forza progressista tale da consentire o sostenere conquiste fondamentali come lo Statuto dei Lavoratori, la Scala Mobile, il servizio sanitario nazionale, l'aborto, il divorzio, i salari più elevati d'Europa, ecc.; il fatto che la NATO avesse già pronti i piani di golpe evidenzia come il PCI costituisse ancora un pericolo per gli interessi dell'imperialismo internazionale. 2) Lo spessore politico, morale, umano dell'uomo, dotato di grande cultura e ideali, modesto, schivo, totalmente alieno dalla logica deleteria della “casta” e dei privilegi. Nonostante sia di origine borghese è un generale con l'animo ed uno stile di vita proletario non solo nei discorsi, ma anche nelle vicende private e nel modo di fare politica. 3) Aver saputo anticipare la questione morale almeno un decennio prima dello scandalo di Tangentopoli, denunciando quella partitocrazia che si fonda sul Pentapartito e che per decenni divora il paese. Di fronte alle avvisaglie del totalitarismo liberale odierno, ne trae la conclusione, negli anni '80, che il PCI non possa allearsi con nessuno, entrando in quello che è stato definito “lo splendido isolamento” del Partito; l'analisi non è propriamente marxista, ed avrà effetti deleteri negli anni, ma la conclusione politica nell'immediato porta ad un posizionamento conflittuale adeguato. 4) La capacità di saper riconoscere i propri errori e di invertire la rotta, come fatto nell'ultima fase della sua Segreteria (1979-84) abbandonando la politica della “solidarietà nazionale” e tornando a proporre un'alternativa di classe, sostenendo in prima persona le lotte degli operai come quelli della FIAT, sfociate nel referendum sulla scala mobile contro le abrogazioni del governo Craxi. 5) Il non aver mai voluto abbandonare l'idea che il PCI dovesse restare un partito comunista dotato della cultura marxista; Berlinguer rifiuta sempre la svolta verso un modello socialdemocratico, il cui campo può al più rappresentare un alleato ma non l'identità stessa del partito. 6) L'aver combattuto la staticizzazione del concetto di comunismo, cristallizzatosi nei paesi dell'Europa dell'Est in forme di socialismo non esenti da errori e contraddizioni. La questione posta da Berlinguer di tendere verso un sempre maggiore nesso tra democrazia e socialismo poteva e doveva essere accolta per tempo dall'URSS in termini però diversi da quelli posti dal segretario del PCI.
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Non a caso, quando alla fine del 1989 si sgretolò il baraccone tarlato dell’Est, Fassino dichiarò che il PCI non aveva potuto seguire bene il fenomeno perché impegnato nelle elezioni comunali romane del 1989. Trovo questa dichiarazione inconsapevole da teatro dell’assurdo assolutamente sublime, come le discussioni sul sesso degli angeli degli ultimi bizantini mentre i turchi entrano in città (anche se penso si tratti di una leggenda metropolitana, perché non mi risulta)». Vediamo ora il lucido punto di vista di Domenico Moro: «Sul PCI ci sono due questioni da affrontare: una è quella della strategia della cosiddetta “via italiana al socialismo” e l’altra quella del lento degradamento del PCI a partire dagli anni ’70. La via italiana al socialismo, basata su un percorso progressivo pensato attorno alle riforme di struttura e all’attuazione della Costituzione, si fondava sull’esistenza di un forte campo socialista, guidato da una rispettata Unione Sovietica, su una fase espansiva dell’economia, con una forte presenza dello Stato nell’economia, e soprattutto su una forma ancora prevalentemente nazionale del capitalismo e parlamentare di governo. Tutti aspetti questi che sono venuti a modificarsi tra la metà degli anni ’70 e la fine del secolo scorso. Inoltre, nel corso dei decisivi anni ’70 ci sono stati importanti errori politici e cedimenti di carattere ideologico da parte del PCI. Le vicende cilene furono interpretate come la dimostrazione dell’impossibilità di governare con il 51% e della necessità di costruire un “compromesso storico” con la DC, passando così dalla strategia dell’“alternativa di sinistra” a quella dell’“alternativa democratica”. Il PCI, incoraggiato dai successi elettorali e nel tentativo di dimostrarsi forza matura di governo, fece importanti concessioni, dalla linea dell’“austerità” (la politica dei due tempi, ovvero l’accettazione dei sacrifici per tirare fuori il paese dalle difficoltà), che spinse la CGIL al contenimento rivendicativo, fino al riconoscimento della NATO. In questo modo, il PCI rinunciava all’opposizione senza che fossero cadute le riserve nei suoi confronti e, pur essendo entrato nella maggioranza di governo durante la “solidarietà nazionale”, fu costretto ad uscirne subito dopo. In sostanza il PCI fallì la sua strategia governista, alienandosi nello stesso tempo molte simpatie, soprattutto tra i giovani, e perdendo alle elezioni del ’79 tutti i guadagni realizzati nel ’76. La maggioranza del gruppo dirigente comunista non capì fino in fondo la natura di classe della DC né le caratteristiche dell’offensiva del capitale in atto, basata proprio sull’austerità, illudendosi sulla natura neutrale delle istituzioni statali e della democrazia borghese. Dopo la sconfitta, Berlinguer tento di rettificare la linea politica del PCI, ma la morte gli impedì di proseguire. Successivamente, il PCI, privo di una leadership autorevole e sempre più permeabile all’offensiva politico-culturale avversaria e all’eclettismo ideologico, si trasformò in un partito sempre più lontano, soprattutto nel nuovo gruppo dirigente che si stava formando, dalle sue radici comuniste. Il suo scioglimento e la trasformazione in PDS furono, dunque, il risultato di errori di strategia e soprattutto di una lunga operazione di svuotamento ideologico dall’interno». In definitiva: bisogna riconoscere a Berlinguer uno spessore ed uno statuto politico importanti, ben superiori alla media dei dirigenti politici comunisti a lui successivi. Ciononostante occorre affermare che la netta degenerazione del PCI ha subito un'accelerazione decisiva durante gli anni della sua Segreteria. Il PCI di Togliatti è un Partito che si pone ancora su una linea di netta alternatività di classe, in senso antimperialista e che si propone di costruire il socialismo secondo una via pacifista (ma tutelandosi con un apparato paramilitare alle spalle): quest'ultima modalità, pur risultando revisionista rispetto al leninismo, è pur tuttavia legittimata ormai dallo stesso movimento comunista internazionale dell'epoca.
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UN BILANCIO POLITICO DELLA SEGRETERIA BERLINGUER «In Italia […] l'anticomunismo contribuì, in modo determinante, all'affermazione dell'atlantismo. Furono, infatti, la paura e l'avversione al comunismo a rimuovere le pregiudiziali neutraliste e anticapitaliste, presenti tanto nel mondo cattolico quanto nella destra storica e in quella neofascista, favorendo l'inserimento dell'Italia nel mondo occidentale e nell'alleanza atlantica. A sua volta, l'atlantismo condizionò gli equilibri politici tracciando un confine invalicabile che nessun compromesso e nessuna convergenza politica o parlamentare avrebbe potuto superare. Questo confine fu avvertito e denunciato dal PCI come una ingiusta discriminazione nei suoi confronti, addirittura la ragione ultima della mancata conquista della maggioranza elettorale. Anche da parte della DC la scelta atlantica del 1949 fu sofferta politicamente, tanto che una latente opposizione sopravvisse per qualche tempo in alcune frange della sua sinistra interna. L'atlantismo finì per essere adottato anche dalle forze politiche che l'avevano avversato nel 1949. Per primo lo adottò il MSI, nel 1952, attraverso l'anticomunismo; e dieci anni dopo, nel 1963, anche il PSI. Nel 1975-77 perfino il PCI si espresse per l'accettazione della NATO, sia pure con forti ambiguità nel gruppo dirigente e marcate resistenze nella base, che si manifestarono poi nella mobilitazione pacifista contro l'installazione degli Euromissili e contro la guerra nei confronti dell'IRAQ (e quest'ultima proprio in occasione del congresso che sancì la trasformazione del PCI in PDS)». (Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 2001) «Nel decennio decisivo 1964-1973 il PCI diventa uno strumento diretto per l’integrazione di grandi masse studentesche ed operaie nel sistema capitalistico. Non si tratta a mio avviso di un “tradimento”, ma di una funzione fisiologica tipica di ogni normale socialdemocrazia europea moderna. […] Io ripeto fino alla nausea: non ci fu tradimento. Tutti coloro che fantasticano di una situazione rivoluzionaria causata dalla sinergia delle lotte studentesche del 1968 e delle lotte operaie del 1969, con un “autunno caldo” che sembrò protrarsi fino al 1973, costruiscono a mio parere un mito storiografico estremamente diseducativo per le nuove generazioni. Bisogna distinguere in proposito fra due livelli storici distinti, il livello della dinamica superficiale ed il livello della dinamica profonda. La dinamica superficiale era quella della formazione di gruppi rivoluzionari (Lotta Continua, Potere Operaio, Servire il Popolo in una prima fase, e poi i gruppi armati in una seconda fase) che mettevano all’ordine del giorno una rivoluzione di tipo socialista. In termini marxiani, si trattò della falsa coscienza necessaria, ma illusoria, di un’intera generazione. La dinamica profonda era invece quella della integrazione in un capitalismo dei consumi, una dinamica che ovviamente avvenne in modo diverso per gli studenti e per gli operai. Gli studenti confusero un processo di modernizzazione del costume per un processo anticapitalistico, e questa confusione fu propiziata da una ideologia invecchiata che identificava la borghesia con il capitalismo, e non capiva che il capitalismo maturo per poter allargare il proprio spazio di mercificazione universale deve far fuori lui stesso i vecchi residui moralistici borghesi tradizionali. I posteriori esiti innocui di tipo pacifista, ecologista e femminista erano già dialetticamente contenuti in potenza dall’impossibilità di qualunque rivoluzione socialista in Italia. Un discorso diverso deve essere fatto per gli operai. Nella loro stragrande maggioranza (e chi vive a Torino lo ha chiaro come il cristallo, mentre solo chi vive a Teramo o a Benevento può non capirlo) gli operai sanno perfettamente di non potere “dirigere tutto”, e di aver bisogno per difendere i loro interessi di una classe politica e sindacale istituzionalizzata e professionalizzata.
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I fatti gravissimi avvenuti in questi giorni a Milano e Roma, dove militanti di Lotta Comunista sono venuti alle mani con i gruppi che supportano la giusta resistenza palestinese hanno riesumato questo testo: un documento politico del 1971 del movimento studentesco milanese su Lotta Comunista. Per chi ritiene che il discorso del trockijsmo e della centralità dell'analisi sulle questioni internazionali siano questioni oggi prive di importanza.
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LA DISUGUAGLIANZA SOSTANZIALE (2° parte) Molti altri numeri, dettagliati e approfonditi, si trovano in svariata pubblicistica. Alcuni tratti da La lotta di classe dopo la lotta di classe (2012) di Luciano Gallino: «Il reddito del mondo supera ormai i 65 trilioni di dollari (65.000 miliardi). Il rapporto 2003 sullo Sviluppo umano dell’ONU stimava che per sradicare la povertà estrema e la fame ci sarebbero voluti 76 miliardi di dollari l’anno. Si può supporre che ai nostri giorni l’importo sia salito, a dire molto, a 100 miliardi. Ora, c’è da chiedersi che razza di mondo sia quello che produce valore per 65.000 miliardi di dollari l’anno e non ne trova un centinaio – pari a un seicentocinquantesimo del totale – per sconfiggere la povertà estrema e la fame. […] Anche questo si deve a una politica dei governi attenta a non disturbare coloro che hanno un reddito elevato: in qualche misura, infatti, se si decide di versare qualche miliardo per combattere la povertà e la fame, o esso viene ulteriormente tolto ai sistemi di protezione sociale che già si trovano sotto il tiro micidiale delle politiche di austerità, oppure deve essere richiesto sotto forma di imposizione fiscale alle classi più ricche. In un paese come l’Italia ciò equivarrebbe a qualche centinaio di euro all’anno per redditi al di sopra dei 200.000 euro circa. Un prelievo di certo non punitivo per nessuno, che però appare impossibile da realizzare. Per tre motivi: perché è una meta a cui non viene attribuito alcun peso; perché coloro che denunciano un reddito del genere sono una frazione minima di quelli che lo percepiscono davvero; e non da ultimo perché i rappresentanti degli interessi della classe dominante sono la maggioranza in parlamento». E ancora: «facendo riferimento ai dati della Banca mondiale per l’anno 2002 […] il decimo o decile più povero della popolazione mondiale – si trattava all’epoca di circa 620 milioni di individui – percepiva lo 0,61% del reddito globale, mentre il decimo più ricco percepiva il 57,5% del reddito globale. Detto altrimenti, il decimo più benestante percepiva un reddito pari a poco meno di 95 volte il reddito del decimo più povero. Si può aggiungere che i 5 decimi più poveri della popolazione mondiale, ossia la metà di essa, non arrivano a percepire nemmeno il 7% del reddito globale, mentre i 2 decimi più ricchi incamerano il 77% del reddito globale. Inoltre, se prendiamo i 3 decimi che stanno in mezzo come rappresentanti delle classi medie – parliamo di quasi due miliardi di persone –, se ne ricava che il terzo centrale della popolazione mondiale percepisce in totale un reddito che si aggira su un sesto del reddito globale (per la precisione il 16%). […] Se passiamo a considerare la ricchezza piuttosto che il reddito, la sua distribuzione nel mondo come nei singoli paesi risulta ancora più disuguale. Secondo uno studio dell’Istituto di ricerca del Credit Suisse, nel 2010 lo 0,5% della popolazione mondiale adulta, pari a poco più di 24 milioni di persone, deteneva una ricchezza di oltre 69 trilioni di dollari. Tale cifra, corrispondente a 2.875.000 dollari a testa – il valore, grosso modo, di 4-5 belle case unifamiliari con giardino –, rappresenta più del 35% della ricchezza totale del mondo. Al fondo della piramide, più di 3 miliardi di persone, il 68% della popolazione mondiale, detengono in tutto poco più di 8 trilioni di dollari, corrispondenti al 4,2% del totale. La ricchezza di cui dispongono in media queste persone […] ammonta in tutto e per tutto a 2667 dollari – il valore di un’auto usata. Ciascuno dei componenti dello 0,5% della popolazione al vertice della piramide possiede dunque in media una ricchezza pari a 1077 […] volte la ricchezza di ciascuno dei tre miliardi che costituiscono oltre i due terzi della base di essa».
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Perfino in Italia, uno dei paesi più ricchi del mondo, il capitalismo presenta il conto delle diseguaglianze e della conseguenza inevitabile di una miseria diffusa: «in Italia, i 5 decimi della parte inferiore della scala, cioè la metà della popolazione, posseggono in tutto soltanto il 10% della ricchezza nazionale, mentre il decimo più ricco detiene, da solo, circa il 50% di essa. Il nostro paese si distingue inoltre per il numero insolitamente elevato dei milionari in dollari, quelli al vertice della piramide. Essi rappresentano ben il 6% del totale mondo, un punto in più a paragone di Francia e Germania. Tale quota corrisponde a 1,5 milioni d’individui sui 24,2 al vertice. Il che induce a far qualche rozzo calcolo. Se il patrimonio di questi individui “ad alto valore netto”, di cui 1 milione di dollari è il limite inferiore ma l’entità media è considerevolmente più alta, fosse stato assoggettato a una risibile patrimoniale permanente di 3000 euro in media, si sarebbero raccolti 4,5 miliardi l’anno. Una cifra grosso modo equivalente ai tagli della pensione dei lavoratori dipendenti decisi dal neo governo Monti nel dicembre 2011». [Post completo sui nostri canali telegram https://t.me/intellettualecollettivo e Facebook. Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/]
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Certo, è facile perdere al gioco quando le carte sono truccate, e non è un caso che molti, vedendo cadere tutte le opzioni disponibili e su cui avevano creduto, lancino la tessera elettorale in soffitta. I marxisti sanno bene che il gioco borghese è fondato sull’apparenza della democrazia, ma Lenin ci ha spiegato pure i vantaggi che offre la partecipazione anche a questo fronte della lotta politica. Le elezioni hanno chiaramente solo una funzione tattica, nel caso in cui ci sia una organizzazione politica in grado di essere realmente espressione degli interessi delle classi popolari. Nessun vero cambiamento può affermarsi per via esclusiva elettorale. La natura del totalitarismo “liberale” e la storia dell’ultimo secolo mostrano abbastanza bene il fallimento dell’idea utopistica della costruzione riformista e pacifica del socialismo a colpi di maggioranza parlamentare rimanendo nel quadro della democrazia borghese. Ciò non toglie la necessità dei comunisti di entrare nel Parlamento, e in ogni altro luogo che pretenda di rappresentare il popolo, usandoli come tribuna per denunciare i limiti del sistema e dei suoi protagonisti. Se il sistema è truccato ed è capace di controllare la maggior parte dei burattini presenti in Parlamento, rimangono quindi comunque il dovere e la necessità di prendere coscienza della situazione attuale e di mettersi all’ascolto, in cerca di spiegazioni e proposte alternative rispetto a quelle della casta attuale. Non è però accettabile pensare di rispondere al crescente scontento popolare offrendo soluzioni di bassa lega. Bisogna mettersi al servizio di un faticoso progetto di lotta che possa però offrire una spiegazione del mondo, una proposta alternativa e uno stimolo di vita. Quando bisogna costruire dalle fondamenta contro un regime potente bisogna capire chi sono coloro di cui puoi fidarti. Il M5S ha oggettivamente tradito la causa per la quale è stato incaricato dalla parte più cosciente del popolo italiano nel 2018. Non ha mai minimamente messo in discussione la NATO e l’UE. Ha governato elargendo soldi al popolo più povero (reddito di cittadinanza) e ai “ceti medi” (con il superbonus), comprendenti anche la grande borghesia più o meno mafiosa. La gestione pandemica è stata disastrosa. Sono stati al governo fino all’ultimo momento che hanno potuto e hanno votato tutti i peggiori provvedimenti: dal green pass ai rifinanziamenti delle armi all’Ucraina. È troppo comodo prendere posizioni diverse una volta passati all’opposizione. Il suo momento l’ha avuto. Il democristianesimo di sinistra di Conte non è credibile e nemmeno accettabile, dato che continua a pensare l’Italia come interna al blocco imperialista occidentale. Nonostante alcuni fermenti interessanti di alcune componenti interne e di area, il M5S non è una forza antimperialista, per quanto sia sempre meglio del PD sulla gran parte delle questioni. Il problema vero è proprio però l’abbraccio mortale con il PD, da anni uno dei principali perni con cui agisce l’imperialismo occidentale per controllare il nostro Paese. Democrazia sovrana popolare è per molti invotabile anzitutto perché è presente nella sola circoscrizione del centro Italia, ma soprattutto per la deriva rossobruna con l’alleanza organica con Alemanno e la condizione ormai subalterna del Partito Comunista. La speranza è che i compagni rimasti capiscano presto che non si possono costruire non tanto rivoluzioni, ma nemmeno mobilitazioni vittoriose, affiancandosi a fascisti ex picchiatori e pregiudicati. Il ‘900 dovrebbe averci insegnato non solo che in politica “il fine giustifica i mezzi”, ma anche che per chi vuole costruire un altro mondo, “i mezzi giustificano il fine”, e talvolta i mezzi sono semplicemente esperimenti fallimentari che vanificano il fine, creando un danno collettivo all’idea stessa che si sbandiera.
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Terra, Pace, Dignità è l’ennesima lista di una sinistra radicale, che fa perno nel PRC, che ama il movimentismo e promuove in continuazione la creazione e il disfacimento (Ingroia, lista Tsipras, ecc.). Dopo aver distrutto l’ultima sigla, Unione Popolare, durata addirittura qualche anno, si cade in preda dei giochi di prestigio di Santoro, che dopo aver snobbato i referendum contro l’invio delle armi all’Ucraina (che hanno pur raccolto oltre 300 mila firme), pensa bene di presentare una lista che ha come obiettivo caratteristico, guarda un po’, l’opposizione all’invio delle armi all’Ucraina. Che cosa dice sulla causa della “terza guerra mondiale” la lista? “Noi consideriamo la guerra la manifestazione più estrema del potere patriarcale fondato sulla logica di potenza, sulla sopraffazione, sulla violenza”. E cosa si dice invece sull’UE? La chimera: “Noi vogliamo un’Europa che sia un insieme di comunità pacifiche e aperte al mondo, indipendente, amica ma non succube degli Stati Uniti e di alcuna altra potenza, rispettosa delle diversità, protagonista in un mondo multipolare, non sottoposta al dominio di un sovrano assoluto che si arroghi la missione del guardiano universale”. Siamo praticamente ancora all’Altra Europa, con l’incomprensione di fondo della profonda complementarietà tra NATO e UE, legate a stretto filo dagli accordi presi fin dalla fine degli anni ’40 dalle aristocrazie europee e quelle americane. Pensare di scindere il rapporto di subalternità da Washington tentando di spostare l’Europa intera su posizioni socialdemocratiche e antimperialiste è puro e sterile utopismo liberal, stante gli attuali rapporti di forza europei. La fine che hanno fatto il governo Tsipras e con esso la Grecia non hanno insegnato davvero nulla? Con quale credibilità si presenta ora Santoro, l’ennesimo personaggio mediatico improvvisatosi leader politico? Come ha potuto il PRC fare l’errore così clamoroso di ricadere in questa trappola? Riguardo a Libertà, è comprensibile e apprezzabile l’esigenza di raccogliere variegate realtà politiche dal basso, ma il Programma è per molti versi inaccettabile: il federalismo spinto, con un’ottica municipalistica, è in linea con il progetto del governo Meloni che rischierebbe di aggravare notevolmente le già ampie diseguaglianze tra Sud e Nord, aggravando la “questione meridionale”. In generale sui 20 punti proposti non ce n’è uno per i lavoratori nel loro complesso ma solo per determinati interessi corporativi (pensionati, agricoltori, pescatori), anagrafici (giovani), e soprattutto provvedimenti a favore delle piccole-medie imprese e dei “ceti medi”. In sostanza una lista espressione della piccola borghesia arrabbiata per le conseguenze economiche pagate a causa dell’imperialismo occidentale. Un imperialismo occidentale che peraltro non viene messo chiaramente in discussione. Se questo è il livello delle opposizioni “antisistema” si capisce allora la necessità primaria di lavorare alla ricostruzione di una vera alternativa rivoluzionaria per il Paese, determinando una prospettiva concreta e coerente che traghetti l’Italia nel giro di pochi anni al socialismo, dopo la riacquisizione della sovranità nazionale e popolare. Mi recherò alle urne per non disonorare il rispetto che si deve al diritto di voto, ma sono consapevole di non poter contribuire al rafforzamento di opposizioni politiche che reputo inadeguate. Il vero voto va dato oggi alla militanza politica, contribuendo a costruire il partito comunista che ci serve. Il mio voto va alla militanza comunista. Il mio voto utile è l’iscrizione a Resistenza Popolare. Alessandro Pascale [Fonte: https://intellettualecollettivo.it/chi-votare-alle-prossime-elezioni-europee/. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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CHI VOTARE ALLE PROSSIME ELEZIONI EUROPEE? Le elezioni Europee del prossimo giugno si svolgono nel contesto inedito della terza guerra mondiale. Nelle ristrette élite occidentali non sono ammesse turbolenze nell’UE sulla leadership politica, che deve rimanere salda ai doveri di intervento in continuità all’azione intrapresa dalla NATO in Ucraina. Tutti devono allinearsi, pena minaccia di scomunica internazionale. L’attentato al presidente slovacco Robert Fico è un chiaro messaggio che la dissidenza, sia pur minima, e i tentativi di sganciamento dal blocco occidentale, verranno puniti con il sangue. La morte del presidente e del ministro degli esteri iraniani a poche settimane di distanza dal lancio missilistico su Israele sono ulteriori segnali della rapida precipitazione degli eventi. La guerra imperialista agisce quotidianamente da anni nel Donbass, in Palestina e in molte altre aree di “frontiera”, ma ha raggiunto oggi un apice dello scontro con la Russia, che è oggi in prima fila nella lotta oggettivamente antimperialista di costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare, caratterizzato dal rispetto del diritto internazionale e dalla cooperazione economica pacifica. Lo scontro attuale è epocale, e comprende la gran parte dell’umanità che si va raccogliendosi nell’organizzazione dei BRICS. Lentamente ma inesorabilmente interi continenti si ribellano contro il dominio coloniale e neocoloniale e rivendicano il proprio diritto a non soccombere allo sfruttamento delle “nostre” multinazionali. Tutto il ceto politico connivente con l’imperialismo occidentale queste cose le sa bene e ha scelto di legare il nostro popolo a Washington, Bruxelles e alle cricche di miliardari che fanno girare la ruota del loro benessere. I comunisti non possono aver dubbi sul compito della fase. L’inadeguatezza attuale delle opposizioni politiche presenti nel paese impone che tutto l’impegno sia teso a ricostruire al più presto un partito comunista consapevole e di lotta, radicato sul territorio e nelle organizzazioni di massa. Il mio voto oggi come domani è determinato a questo scopo. Guardando alle opzioni a disposizione, posso trovare una forza politica che faccia queste analisi e rappresenti queste istanze? No, nessuna, tranne forse alcune aree sparse tra Democrazia sovrana popolare, Pace terra dignità (Santoro), Libertà e M5S. La maggior parte dei compagni di base ormai è delusa per le troppe battaglie perse e ripiega verso l’astensionismo o l’inevitabile voto alla “meno peggio”. Qualcuno darà un voto alla buona spulciando la lista dei candidati, altri hanno già scelto con cura il candidato, partecipando così al fenomeno deleterio della personalizzazione della politica, dimenticando che questo campo è sempre stato strumentalizzato ad arte dagli stregoni borghesi della comunicazione. Da quando sono maggiorenne ho sempre votato, dapprima a sinistra, poi per i comunisti, o quantomeno per le progettualità da loro costruite sperimentando. Oggi non esiste nessuna proposta elettorale di questo tipo. La questione si pone nei termini di astenersi dall’andare, andare e scribacchiare qualcosa di protesta per far ridere qualche scrutatore e soddisfare la coscienza artistica interiore, oppure votare il meno peggio. Il diritto di voto è una cosa importante. È stata una conquista della classe operaia, che è costata tanto sudore e tanto sangue. La perdita di senso attuale del diritto di voto è figlia della perdita del dovere sociale di partecipare attivamente alle vicende della comunità di appartenenza. Il giorno delle elezioni tutti gli aventi diritto dovrebbero sentire come un’istanza primordiale di andare a votare per dare il proprio contributo coscientemente. Molti ormai ritengono che votare non serva più a niente. È vera l’intuizione che nessun voto infliggerà il colpo mortale al regime, ma la vittoria di una rivoluzione passa da infinite procedure di voto, interne ed esterne dalle istituzioni borghesi, che rafforzano e accrescono il livello di consapevolezza di chi esercita questo esercizio.
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CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA. FUORI L'ITALIA DA NATO E UE Prima manifestazione nazionale contro il governo Meloni, responsabile di aver proseguito le politiche guerrafondaie e antipopolari del governo Draghi, impelagandoci sempre più nella terza guerra mondiale, a traino di un imperialismo occidentale decadente. Giù le armi, su i salari! E soprattutto fuori l'Italia dall'UE e dalla NATO. Riconquistiamo sovranità nazionale e popolare. Lavoriamo per ricostruire un partito comunista inserito in un più ampio fronte antimperialista e antifascista. Ricostruiamo un'opposizione anticapitalista di classe che indichi chiaramente la necessità di una direttrice socialista per il Paese. Il 1° giugno 2024 tutti a Roma. Per chi vorrà il gestore della pagina sarà presente nello spezzone unitario a cui stanno lavorando Resistenza Popolare, Patria Socialista, il Movimento per la Rinascita Comunista e varie forze dietro il seguente striscione: "Contro la guerra imperialista Fuori l'Italia da NATO e UE"
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Il video della presentazione di Genova pubblicato sul canale YouTube di Resistenza Popolare, che invito a seguire. https://youtu.be/8ho-bAfrHks?feature=shared
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Nonostante la condanna in primo grado all'ergastolo per aver fornito l'esplosivo utilizzato nella Strage del Rapido 904 del 1984, venne ricandidato ed eletto alla Camera nell'aprile 1992. Il 18 febbraio 1994 Abbatangelo fu assolto dalla Corte di Assise di Appello di Firenze per il reato di strage, ma venne mantenuta la condanna a sei anni di reclusione per la detenzione dell'esplosivo. Molte discussioni generò anche la sua espressione di solidarietà col golpe militare di Augusto Pinochet in Cile dell'11 settembre 1973, per la quale ricevette dei ringraziamenti dallo stesso Pinochet. Il 18 marzo 2009 l'ex deputato missino Giulio Caradonna, anch'egli iscritto alla P2 e per questo sottoposto sospeso dal MSI ma ricandidato nel 1983, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera ha sostenuto che Licio Gelli, maestro venerabile della Loggia P2, iniziò a finanziare il MSI proprio su sollecitazione di Almirante: «Gelli è una bravissima persona. [...] Da lui mi aveva mandato Almirante: "vedi un po' di parlare con questo signore, perché senza il suo assenso i soldi ai partiti non arrivano". La missione ebbe successo, e Gelli aiutò Almirante. [...] Giorgio mi espresse la sua eterna gratitudine.» Gelli confermò ai magistrati già nel 1995 di aver incontrato Almirante, "ma di avergli negato l'aiuto" [fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Almirante, http://it.wikiquote.org/wiki/Giorgio_Almirante, https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2014/06/26/napolitano-da-almirante-senso-stato_17f60749-a8b6-49a5-9bcd-41a8321b3ee5.html] [nella foto un'immagine di Fratelli d'Italia diffusa da Giorgia Meloni nel 2021 e nell'angolo in alto a sinistra il "superiore senso dello Stato mentre fa il saluto romano". Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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esaltazione dell'infausto ventennio fascista e di propaganda di principi sovvertitori delle istituzioni democratiche ai quali informa la sua attività, tendente a far rivivere istituzioni deleterie alle pubbliche libertà e alla dignità del paese.» Il 6 maggio 1972 a Genova, Almirante durante un comizio affermò: «Se altri popoli si sono salvati con la forza, anche il popolo italiano deve saper esprimere qualcuno che sia disposto all'uso della forza, per battere la minaccia comunista.» Nello stesso anno l'allora Procuratore generale di Milano, Luigi Bianchi D'Espinosa decise di chiedere alla Camera l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti con l'accusa di tentata ricostituzione del Partito Fascista. Nel documento redato dal Procuratore generale si legge: «Le numerose note a me pervenute in risposta alle mie richieste elencano un gran numero di fatti che testimoniano dell'uso della violenza nei confronti degli avversari politici e delle forze dell'ordine, della denigrazione della democrazia e della resistenza, dell'esaltazione di esponenti e principi del regime fascista, nonché di manifestazioni esteriori di carattere fascista da parte di esponenti di varie organizzazioni dell'estrema destra. [...] è poi risultato che una parte preponderante di tali comportamenti trae origine dal Movimento sociale italiano (MSI), come si ricava dalla stampa di tale partito di cui in atti, sia dal particolare che molti dei fatti riferiti nelle varie note ufficiali allegate sono stati consumati da appartenenti alle varie organizzazioni di detto movimento, talvolta isolatamente, più spesso uniti fra loro [...].» Il Parlamento, nel maggio 1973, concesse l'autorizzazione a procedere ma tutto si arenò poco dopo e non proseguì oltre. Numerose accuse di contiguità col terrorismo nero vennero mosse ad Almirante, così come al MSI in generale, sin dagli albori della Strategia della tensione, a partire dalla fine degli anni Sessanta. I sospetti sugli appoggi ai tentativi di colpi di stato degli anni '60 e '70 acquisirono ulteriore rilevanza in seguito alla scelta di inserire tra le file del partito alcuni generali dei servizi segreti militari come Giovanni De Lorenzo (eletto nel 1968 con il PDIUM che aderì nel 1971 al gruppo missino) che ebbe un ruolo nel Piano Solo del 1964, e Vito Miceli, iscritto alla P2 di Licio Gelli e all'epoca indagato per favoreggiamento al Golpe Borghese, reato per cui verrà successivamente assolto nel 1978. Questo tipo di circostanza è stata recentemente confermata dalla testimonianza di Ernesto De Marzio, all'epoca capogruppo del MSI alla Camera; De Marzio ha sostenuto di aver presenziato, nel 1970, ad un incontro tra Junio Valerio Borghese ed Almirante nel corso del quale quest'ultimo, alle richieste di adesione all'imminente colpo di stato avanzate da Borghese, avrebbe risposto: «Comandante, se parliamo di politica e tu sei dei nostri devi seguire le mie direttive: ma se il terreno si sposta sul campo militare allora saremo noi ad attenerci alle tue indicazioni». L'ammiraglio Gino Birindelli, presidente del MSI dal 1972 al 1974, precedentemente in contatto con Ordine Nero, esternò a più riprese insofferenza per l'atteggiamento di ambiguità e doppiezza tenuto dal partito nei confronti degli ambienti eversivi e del terrorismo nero, arrivando in seguito al punto di lasciare il partito e la politica; in un'intervista del 2005 Birindelli ha ribadito il suo malumore per lo stato di cose che caratterizzava il MSI, additando l'atteggiamento di copertura tenuto dal partito nei confronti degli assassini dell'agente di polizia Antonio Marino tra le cause del suo abbandono. Le accuse continuarono anche negli anni anni ottanta con il caso del parlamentare Massimo Abbatangelo: deputato alla Camera nel 1979 e nel 1983 per il Movimento Sociale Italiano, fu accusato di detenzione illegale di materiale esplosivo, e arrestato nel 1984; primo dei non eletti nel 1987 e di nuovo deputato nel 1989.
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VE LO RICORDATE QUANDO APPLAUDIVANO "IL SUPERIORE SENSO DELLO STATO" DEL FASCISTA GIORGIO ALMIRANTE? Il 26 giugno 2014 il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano ha ricordato Giorgio Almirante segnalando il suo "superiore senso dello Stato che ancora oggi rappresenta un esempio". Napolitano si conferma per quello che è: il peggior presidente della Repubblica italiana mai avuto. Reazionario come pochi, in grado di revisionare la storia al punto da rivalutare perfino quel porco fascista di Giorgio Almirante. Ricordiamo chi era costui: nato a Salsomaggiore Terme il 27 giugno 1914, muore a Roma il 22 maggio 1988 (probabilmente l'unica cosa buona che abbia fatto: crepare). E' stato lo storico segretario del Movimento Sociale Italiano, partito politico di destra, di cui è stato uno dei fondatori nel dicembre 1946 insieme ad altri reduci della Repubblica Sociale Italiana (come Pino Romualdi) ed ex esponenti del regime fascista. Iniziò la sua carriera come cronista presso il quotidiano fascista Il Tevere. Fu, nel mondo culturale ed accademico italiano, tra i firmatari nel 1938 del Manifesto della razza e dal 1938 al 1942 collaborò alla rivista La difesa della razza come segretario di redazione. Scrisse ad esempio nel 1938 che "il razzismo è il più vasto e coraggioso riconoscimento di sé che l'Italia abbia mai tentato". E ancora nel 1942: "Noi vogliamo essere, e ci vantiamo di essere, cattolici e buoni cattolici. Ma la nostra intransigenza non tollera confusioni di sorta […] Nel nostro operare di italiani, di cittadini, di combattenti – nel nostro credere, obbedire, combattere – noi siamo esclusivamente e gelosamente fascisti. Esclusivamente e gelosamente fascisti noi siamo nella teoria e nella pratica del razzismo." E: "Non c'è che un attestato col quale si possa imporre l'altolà al meticciato e all'ebraismo: l'attestato del sangue." Alla costituzione della Repubblica Sociale Italiana Giorgio Almirante vi aderì, arruolandosi nella Guardia Nazionale Repubblicana con il grado di capomanipolo. Il 30 aprile 1944 Almirante fu nominato capo gabinetto del ministero della Cultura Popolare presieduto da Fernando Mezzasoma. Successivamente passò al ruolo di tenente della brigata nera, dipendente sempre dal Minculpop. In questa veste fu saltuariamente impiegato nella lotta contro i partigiani, in particolare nella Val d'Ossola e nel grossetano. Qui, il 10 aprile 1944, apparve un manifesto firmato da Almirante in cui si decretava la pena della fucilazione per tutti i partigiani (definiti "sbandati", all'interno del manifesto) che non avessero deposto le armi e non si fossero prontamente arresi. Ad Almirante fu inoltre affidato il "Nucleo di propaganda" con il non semplice compito di procurare anche la carta da destinare alla stampa della RSI. Nell'autunno del 1946 Giorgio Almirante partecipò alla fondazione dei Fasci di Azione Rivoluzionaria insieme a Pino Romualdi e Clemente Graziani. Iniziò inoltre a scrivere sul settimanale Rivolta Ideale, una delle maggiori riviste della politica di destra di quegli anni e insieme a Cesco Giulio Baghino si avvicinò al Movimento italiano di unità sociale. Il 26 dicembre 1946 Almirante partecipò a Roma alla riunione costitutiva del partito politico di destra Movimento Sociale Italiano (MSI). Di questo nuovo partito ne divenne il 15 giugno 1947 segretario nazionale e la mantenne fino al gennaio 1950. In occasione delle elezioni comunali del 1947 ci furono disordini e violenze. Di seguito un comunicato della Questura di Roma che riguardava Almirante: «Il dr. Giorgio Almirante, segretario della giunta esecutiva del Movimento Sociale italiano, già redattore capo di ‘Il Tevere' e di ‘Difesa della razza, capo Gabinetto del ministero della Cultura popolare della pseudo Repubblica di Salò, è stato deferito alla Commissione Provinciale per il confino quale elemento pericoloso all'esercizio delle libertà democratiche, non solo per l'acceso fanatismo fascista dimostrato sotto il passato regime e particolarmente in periodo repubblichino, ma più ancora per le sue recenti manifestazioni politiche di
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CINA E RUSSIA: PAESI IMPERIALISTI? La sezione milanese di Resistenza Popolare, assieme a Miracolo a Milano e alle sezioni locali di Patria Socialista e del Partito dei CARC, organizza un dibattito pubblico sulle questioni internazionali invitando gli organizzatori e una serie di ospiti scelti, tra cui il giornalista Evgeny Utkin, a rispondere alla domanda chiave: "Russia e Cina sono Paesi imperialisti?" Il tema è dirimente: nella fase attuale in cui molti hanno acquisito consapevolezza dell'inciviltà capitalistica occidentale, si tratta di capire se Russia e Cina, perni essenziali dei BRICS, corrispondano a quelle dittature terrificanti ritratte dai media "liberali" oppure se non siano addirittura modelli alternativi al nostro da cui imparare e da appoggiare, ed eventualmente con quali prospettive e limiti. L'assemblea è aperta liberamente e gratuitamente alla cittadinanza. L'appuntamento è a Milano alla Sala 1° Maggio (via Sebenico 21) il 27 maggio dalle ore 20.00.
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I monopoli portano eccessivi guadagni nelle tasche di proprietari e azionisti, a tutto discapito del resto dell’economia. Il potere monopolistico genera estrema ricchezza: lo dimostra Carlos Slim, il sesto uomo più ricco al mondo. Le sue fortune sono frutto di un monopolio quasi totale che è riuscito a stabilire in Messico nel settore delle comunicazioni (telefonia fissa, mobile e banda larga). L’OCSE ha riscontrato che tale monopolio ha avuto notevoli effetti negativi sui consumatori e sull’economia». [Post completo sui nostri canali telegram https://t.me/intellettualecollettivo e Facebook. Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/]
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LA DISUGUAGLIANZA SOSTANZIALE (1° parte) «Homo sum, humani nihil a me alienum puto». (Publio Terenzio Afro) «“La mia sventura con la tua servitù / io, sappilo chiaro, non la cambierei. / Preferibile infatti mi sembra esser schiavo di questa rupe, / che fungere da fedele nunzio del padre Zeus”. Prometeo è il più grande santo e martire del calendario filosofico». (Karl Marx) Alcuni numeri utili per evidenziare l’attualità della violenza capitalistica. Partiamo dai dati offerti da un’indagine dell’Oxfam , «una confederazione internazionale di 20 organizzazioni che lavorano insieme in oltre 90 Paesi nel quadro di un movimento globale per il cambiamento, per costruire un futuro libero dall’ingiustizia della povertà»: «nel 2016 il quarto uomo più ricco al mondo, Amancio Ortega, ha ricevuto dalla casa madre della catena di abbigliamento Zara dividendi annui per un valore di circa 1,3 miliardi di euro. Stefan Persson, figlio del fondatore di H&M, si colloca al 43° posto nella lista Forbes delle persone più ricche al mondo e l’anno scorso ha ricevuto dividendi azionari per 658 milioni di euro. Anju è una lavoratrice del Bangladesh, cuce abiti destinati all’esportazione. Spesso lavora 12 ore al giorno, fino a tarda sera; talvolta deve saltare i pasti perché non ha guadagnato a sufficienza. Il suo salario annuo è di soli 900 dollari. Nel corso dell’ultimo anno il numero dei miliardari è aumentato come mai prima: uno in più ogni due giorni. Attualmente vi sono nel mondo 2.043 miliardari (valore in dollari), e nove su dieci sono uomini. La loro ricchezza ha registrato un incremento enorme che, a titolo comparativo, rappresenta 7 volte l’ammontare delle risorse necessario per far uscire dallo stato di povertà estrema 789 milioni di persone. Di tutta la ricchezza globale creata nell’ultimo anno, l’82% è andato all’1% della popolazione mentre il 50% meno abbiente non ha beneficiato di alcun aumento». I dati della disuguaglianza sono abbastanza netti: «nel periodo 2006-2015 il reddito dei lavoratori comuni è aumentato in media del 2% all’anno mentre la ricchezza dei miliardari ha goduto di un incremento annuo di quasi il 13%, cioè 6 volte di più. […] In base a nuovi dati forniti da Credit Suisse, attualmente 42 persone possiedono la stessa ricchezza dei 3,7 miliardi di persone meno abbienti; il numero di persone che possiedono la stessa ricchezza del 50% più povero è stato aggiornato per l’anno scorso da 8 dell’anno scorso a 61. L’1% più ricco continua a possedere più ricchezze di tutto il resto dell’umanità». Le problematiche maggiori non si trovano solo nel “Terzo Mondo”, ma anche al centro della “civiltà” occidentale: «In Nigeria, gli interessi sul patrimonio percepiti in un anno dall’uomo più ricco sarebbero sufficienti a liberare dalla povertà estrema due milioni di persone. Nonostante quasi un decennio di crescita economica sostenuta, la povertà nello stesso periodo è aumentata. In Indonesia i quattro uomini più ricchi possiedono più dei 100 milioni più poveri. Negli Stati Uniti le tre persone più ricche possiedono lo stesso patrimonio della metà più povera della popolazione (circa 160 milioni di persone). In Brasile un cittadino che percepisce il salario minimo dovrebbe lavorare 19 anni per guadagnare la stessa cifra che un componente dello 0,1% più ricco della popolazione riceve in un mese». La sorpresa è che il problema viene identificato nell’imperialismo stesso, seppur non chiamato con tale termine: «È sempre più ampiamente dimostrato che gli attuali livelli di disuguaglianza estrema vanno ben al di là di quanto possa essere giustificato dal talento, dall’impegno e dalla propensione al rischio; molto spesso sono piuttosto frutto di eredità, monopolio o legami clientelari con i governi. Circa un terzo dei patrimoni dei miliardari sono ereditati. Nel corso dei prossimi 20 anni 500 tra le persone più ricche al mondo trasferiranno ai propri eredi oltre 2.400 miliardi di dollari, vale a dire più del PIL dell’India con i suoi 1,3 miliardi di abitanti.
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📢—Ecco il video dell'incontro con Alessandro Pascale dello scorso sabato. https://youtube.com/watch?v=A5M-Xaz3EiA&si=sjeGdGzsz_OIKjqQ https://t.me/contronarrazione
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🇨🇦 GIRO DI VITE DEFINITIVO IN CANADA 🔴Justin Trudeau ha deciso di impegnarsi al massimo per mantenere i suoi liberali al potere. Sta portando avanti riforme draconiane sulla censura online, il tutto con il pretesto di “proteggere i bambini”. Ma in realtà, le sue misure servono a combattere il malcontento popolare. 🔴Stiamo parlando della creazione del cosiddetto sistema di informazione reciproca. Qualsiasi cittadino in Canada può ricevere fino a 20mila dollari per aver denunciato un altro cittadino, qualora venga comprovato che quest'ultimo abbia commesso “crimini d’odio”. Questi crimini possono includere qualsiasi cosa, come ad esempio le critiche alle persone LGBT. ⚫️L'imputato è tenuto a pagare una multa fino a 50 mila dollari, così il sistema delle spie si autofinanzierà. Quelli giudicati colpevoli rischiano condanne fino all'ergastolo, oppure fino a un anno di prigione, qualora si tratti di un crimine non ancora commesso, se c'è il sospetto che possa essere messo a segno. La legge ha anche effetto retroattivo in relazione ai post “politicamente scorretti” apparsi su Internet prima della sua promulgazione. 🕯 Se ora viene creato un simile campo di concentramento digitale, c'è un motivo. Nel 2025 ci saranno le elezioni; attualmente il rating di Trudeau è sceso al 30%. La situazione in Canada si sta rapidamente deteriorando, con un afflusso di migranti, alloggi inaccessibili a causa dei prezzi elevati, una crisi sanitaria con liste di attesa di 30 settimane. ✅ E la polizia reale canadese prevede che durante la prossima crisi economica il Paese potrebbe trovarsi sull'orlo di una guerra civile. Due anni fa l’intero Canada era già paralizzato da una rivolta di camionisti. E questi erano solo giochini da ragazzi. Tuttavia, l’attuale giro di vite probabilmente non farà altro che peggiorare la situazione e avvicinerà la destabilizzazione del Canada con una rivolta contro Trudeau. Fonte Seguite 📱 InfoDefenseITALIA 📱 InfoDefense
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Totalitarismo morbido, o totalitarismo "liberale". In ogni caso benvenuto al Prof. D'Orsi tra i "complottisti".
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Dalla post-democrazia al totalitarismo morbido. 5 illuminanti minuti in cui il Prof. Angelo d'Orsi vi offre il quadro preciso di dove sta andando l'occidente con una sintesi e maestria mirabile. https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-prof_angelo_dorsi_siamo_oltre_la_postdemocrazia_in_occidente_siamo_al_totalitarismo_morbido/39602_54729/
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LIBERALISMO O COMUNISMO? LA PAROLA A JOHN STUART MILL John Stuart Mill (Londra, 20 maggio 1806 – Avignone, 8 maggio 1873) è stato un filosofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del liberalismo e dell'utilitarismo. Definito da molti come un liberale classico, la sua collocazione in questa tradizione economica è controversa per il discostarsi di alcune sue posizioni dalla dottrina classica favorevole al libero mercato. J. S. Mill infatti, riteneva che solo le leggi di produzione fossero leggi naturali, e quindi immutabili, mentre considerava le leggi di distribuzione come una fenomenologia etico - politica, determinate da ragioni sociali e, quindi, modificabili. Di conseguenza, è favorevole alle imposte, quando giustificate da argomenti utilitaristi. Inoltre Stuart Mill ammette un uso strumentale del protezionismo, quando questo sia funzionale a consentire ad una "industria bambina" di svilupparsi fino al punto da poter competere con le industrie estere, momento in cui le protezioni vanno rimosse. Tali tesi lo portavano a respingere il socialismo anche se c'è da chiedersi quale sarebbe stato il suo giudizio se avesse letto gli scritti di Marx, da lui ignorati, al contrario del filosofo di Treviri, che ne aveva letto gli scritti di logica ed economica politica e li aveva aspramente criticati. In ogni caso anche un liberale progressista come Mill, aveva già tracciato la via di come a livello filosofico non ci potesse essere libertà in assenza di diritti sociali, e che quindi si rendesse inevitabile la necessità, al fine utilitaristico di garantire a tutti la libertà, servisse il comunismo: "Se dunque la scelta si dovesse fare tra il comunismo con tutte le sue possibilità ancora da esplicare, e lo stato presente della società con tutte le sue sofferenze e le sue ingiustizie; se l’istituto della proprietà privata dovesse portare con sè, come conseguenza necessaria, che il prodotto del lavoro fosse distribuito come noi vediamo che avviene attualmente, cioè praticamente in proporzione inversa al lavoro – le quote maggiori a favore di quelli che non hanno mai lavorato del tutto, quelle appena un po’ più piccole a coloro il cui lavoro è puramente nominale, e così avanti in progressione discendente, con la remunerazione che diminuisce sempre di più via via che il lavoro diventa più gravoso e sgradevole, finchè il lavoro più massacrante e distruttivo non dà la sicurezza di poter guadagnare neppure il necessario per sopravvivere; se l’alternativa fosse tra questo e il comunismo, allora tutte le difficoltà, grandi o piccole, del comunismo, peserebbero sulla bilancia come polvere." (John Stuart Mill, "Principi di economia politica", Vol. II) [Per saperne di più sulle relazioni tra Marx e Mill, si consiglia il seguente ottimo lavoro: M. Duichin, "Marx lettore e critico di John Stuart Mill", p.89. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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LA LEGGENDA DI HO CHI MINH Alcune brevi citazioni per introdurre il mito di Ho Chi Minh (Hoang Tru, 19 maggio 1890 – Hanoi, 2 settembre 1969): «Piuttosto morire / che vivere servi!» «Al principio, il patriottismo e non il comunismo mi condussero ad aver fiducia in Lenin e nella Terza Internazionale. Passo dopo passo, attraverso la lotta, studiando il marxismo-leninismo partecipando alle attività pratiche, gradualmente giunsi alla conclusione che solo il socialismo e il comunismo potevano liberare le nazioni oppresse dalla schiavitù». «Ricordate che la tempesta è una buona opportunità per il pino e il cipresso per mostrare la loro forza e la loro stabilità». «Gli antichi si dilettavano / a cantar la natura: / fiumi, montagne, nebbia, / fiori, neve, vento, luna. / Bisogna armare d'acciaio / i canti del nostro tempo. / Anche i poeti / imparino a combattere!» Rivolto a Henry Kissinger: «Potete uccidere dieci miei uomini per ognuno dei vostri che io uccido. Ma anche così, voi perderete e io vincerò». Qui invece un ricordo affettuoso di Võ Nguyên Giáp: «Quando ritornavamo in servizio dopo una missione, rivedendo lo zio Ho Chi Minh, avevamo la sensazione di rientrare a casa da un padre che sapeva tutto ciò che la rivoluzione esigeva in pazienza davanti alle difficoltà. “Il partito deve essere la nostra ragione di vivere e di agire”, ci diceva, “è la nostra famiglia”. La sua calma e il suo sangue freddo furono per noi la migliore scuola. Il suo caloroso affetto, le sue cure costanti ci hanno dato una fiducia incrollabile nell'avvenire della rivoluzione, una fiducia che penetrò fin nel più profondo noi per tradursi nelle nostre parole ed azioni». Un ottimo modo per capire come Ho Chi Minh sia diventato un simbolo, sta nella chiusura dell'intervento del Partito Comunista dell'India (marxista) al 18° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai tenutosi nel 2016: «Ho Chi Minh identificava “capitalismo e imperialismo” come nemici “molto pericolosi” che devono essere combattuti e sconfitti. Questo è il compito che può essere intrapreso solo dai comunisti. Ovviamente, né sconfiggere il capitalismo, né costruire il socialismo, saranno compiti facili. La Grande Rivoluzione Socialista dell'Ottobre, il cui centenario sarà tra poco, ha mostrato questa verità storica. La Storia ci insegna che se non prendiamo noi in mano questo compito, la destra e le forze della divisione che sono sempre all'opera, coglieranno l'opportunità di sviare lo scontento crescente verso canali settari. Questo causerà un danno incommensurabile al movimento rivoluzionario e caricherà altri pesi sulle spalle della classe lavoratrice e della gente comune. Come comunisti dovremmo alzarci contro questo grande sfida e respingere questi tentativi delle forze di destra. Come il compagno Ho Chi Minh ha affermato: “nulla è facile, e nulla è difficile”. È la nostra ferma fede nel marxismo-leninismo e la nostra volontà di ferro di combattere e di vincere che dovrebbero guidare la nostra lotta per una società senza classi. “Noi dobbiamo vincere perché il nemico sia sconfitto”». Scopri di più su https://www.storiauniversale.it/la-leggenda-di-ho-chi-minh.htm [Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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RESTAURARE L'ODIO DI CLASSE (SANGUINETI) Bisogna restaurare l’odio di classe. Perché loro ci odiano, dobbiamo ricambiare. Loro sono i capitalisti, noi siamo i proletari del mondo d’oggi: non più gli operai di Marx o i contadini di Mao, ma “tutti coloro che lavorano per un capitalista, chi in qualche modo sta dove c’è un capitalista che sfrutta il suo lavoro”. A me sta a cuore un punto. Vedo che oggi si rinuncia a parlare di proletariato. Credo invece che non c’è nulla da vergognarsi a riproporre la questione. È il segreto di pulcinella: il proletariato esiste. È un male che la coscienza di classe sia lasciata alla destra mentre la sinistra via via si sproletarizza. Bisogna invece restaurare l’odio di classe, perché loro ci odiano e noi dobbiamo ricambiare. Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più deprezzata e svenduta in assoluto? Recuperare la coscienza di una classe del proletariato di oggi, è essenziale. È importante riaffermare l’esistenza del proletariato. Oggi i proletari sono pure gli ingegneri, i laureati, i lavoratori precari, i pensionati. Poi c’è il sottoproletariato, che ha problemi di sopravvivenza e al quale la destra propone con successo un libro dei sogni. (Edoardo Sanguineti, gennaio 2007; ricordiamo ricordiamo il grande poeta, intellettuale organico del proletariato, nel 14° anniversario della scomparsa, avvenuta il 18 maggio 2010) [Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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A partire da quei fatidici anni ‘70 si può rintracciare un ulteriore, duplice e divergente percorso: da una parte la “fratellanza”, il senso di unione e forza rappresentati dalle dita unite sembra essere scalzato dal pugno usato come simbolo di conflitto: il gesto viene cioè caricato di una violenza simbolica, sia dai gruppi della sinistra rivoluzionaria che dalla borghesia più conservatrice, allarmata dalla ritmica scansione di slogan in cui la forte carica di violenza viene rinforzata dai pugni mossi all’unisono. Dall’altra, il gesto del pugno chiuso teso verso l’alto assume un significato più universale di protesta e rivolta: in una delle immagini simbolo del ‘68 internazionale, la premiazione dei 200 metri maschili alle olimpiadi messicane, i due atleti statunitensi Smith e Carlos salutano la bandiera a capo chino e con il pugno, guantato di nero, alzato, l’uno distendendo il braccio destro, l’altro il sinistro. In linea di massima, nei decenni successivi questa simbologia generale finisce per prevalere su quella strettamente politica, sganciando il saluto dalla ristretta cerchia delle immagini di partito. Riassumendo: i comunisti e gli antifascisti si salutano con il pugno destro. Di fronte ad uno scomposto braccio sinistro chiuso a pugno, iniziate a sospettare. [Post completo sui nostri canali telegram https://t.me/intellettualecollettivo e Facebook. Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/]
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I SIMBOLI E I VALORI DEI COMUNISTI: IL PUGNO CHIUSO Questa invece è la storia di come ci salutiamo: negli anni ‘30 si consolida e si diffonde un nuovo gesto di opposizione e protesta, perfetta antitesi al saluto fascista sia dal punto di vista formale che del significato; si parla del saluto a pugno chiuso, in cui convergono più significati: l’organizzazione di classe, la volontà indomita di resistenza e la minaccia ai nemici. Sebbene abbia anch’esso, probabilmente, un’origine classica, sembra che la sua iconografia inizi a definirsi solo durante i giorni drammatici della Comune di Parigi. Nel lento costruirsi di un’iconografia legata al pugno chiuso si sommano la riproduzione di un gesto spontaneo e “naturale” con una tradizione simbolica legata alla lotta politica e sociale; probabilmente è solo la sua trasformazione in saluto militare a codificare definitivamente il saluto a pugno chiuso come gesto di lotta. In un primo tempo, tra il 1923 e il 1924, esso viene usato in questo modo dalla Roter Frontkämpferbund (RFB), organizzazione paramilitare del Partito Comunista Tedesco che, riproducendolo sulle bandiere, ne fa anche il proprio emblema in contrapposizione al saluto romano adottato dai nazisti. Dunque è all’inizio degli anni ‘20 che nasce il pugno chiuso come saluto militante dei comunisti: i combattenti del RFB si salutano con il braccio destro ripiegato verso il fianco e il pugno piegato come fosse pronto a sferrare un colpo. Il saluto nel volgere di poco tempo si modifica e attorno al 1925 il pugno destro viene sollevato all’altezza della spalla con il gomito piegato. Il saluto comunista si estende dai membri della RFB ai semplici militanti. Viene ulteriormente modificato nel periodo del Fronte Popolare in Francia e della Guerra di Spagna (1936-39), dove il pugno destro portato all’altezza della tempia diventa il simbolo delle Brigate Internazionali dei volontari che combattono il fascista Franco. Nell’ottobre 1936 la Gazzetta Ufficiale del ministero della Difesa prescrive che il saluto militare venga fatto alzando «il pugno chiuso all’altezza della visiera, quando non si portino armi, e se si è armati, il pugno chiuso con il braccio ad angolo retto». Tuttavia, secondo il diario di viaggio di Torsten Jovinge, un pittore svedese scomparso a Siviglia durante l’insurrezione militare, il gesto era già ampiamente diffuso come forma di saluto: «dappertutto nella gentile Spagna del sud, per le strade, dalle colline e dalle case, mi salutano con il pugno chiuso i mulattieri e gli aquaioli, le bambine che giocano accanto ai pozzi e quel bambino di un anno in braccio a suo padre». Quando Mirò nel 1937 realizza il famoso manifesto Aidez l’Espagne, che pubblicato dai Cahiers d’Art in Francia sarebbe poi stato stampato in forma di cartolina per finanziare la lotta antifranchista, quel «pugno ingigantito con una forte deformazione espressiva, messo in primo piano quale motivo preminente di tutta l’immagine» diventa il gesto iconico dell’antifascismo, appannando la sua origine militare a favore di un più ampio valore identitario che avrebbe mantenuto nei decenni successivi. Il saluto con il pugno chiuso in Italia resta il braccio destro piegato fin verso la metà degli anni ‘60. I funerali di Togliatti (1964), immortalati in un quadro di Guttuso, vedono una gran parte dell’immensa folla distendere il braccio destro piegato, indicando come il braccio disteso riprenda la sacralità del saluto militare iniziale. Proprio gli studenti, verso la fine degli anni ‘60 apportano un’altra modifica al saluto: sempre più spesso viene usato il braccio sinistro. Dopo la grande diffusione avvenuta durante le contestazioni del ‘68, la nuova pratica si stabilizza alla metà degli anni ‘70: oggi è decisamente il più diffuso secondo una subliminale ed errata percezione che se sei di sinistra saluti con la sinistra.
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LA DISUGUAGLIANZA SOSTANZIALE (3° parte - sugli USA) Perfino negli USA, la maggiore potenza capitalistica mondiale, i dati sono allarmanti. Nel 2009 Laura Pennacchi scriveva che «i 25 milioni di americani più ricchi posseggono un reddito equivalente a quello di 2 miliardi di persone povere, il 5% più ricco della popolazione ha un reddito di 114 volte superiore a quello del 5% più povero, i 400 americani più ricchi hanno un reddito superiore a quello di 166 milioni di abitanti dell’Africa». Così invece Domenico Maceri, docente di lingue al college californiano Allan Hancock di Santa Maria: «nel 1992 i 400 cittadini statunitensi con il reddito più alto guadagnavano una media di 40 milioni all’anno. La cifra attuale è di 227 milioni. Durante questo periodo le tasse di questi ultraricchi sono diminuite dal 29% al 21%. Queste riduzioni delle tasse ai più abbienti coincidono con l’aumento della povertà negli Stati Uniti. Secondo dati pubblicati dall’US Census, il censimento statunitense, il 15% degli americani, ossia 46 milioni, sono classificati come poveri. Per quanto riguarda la classe media il reddito negli ultimi tempi è rimasto stagnante. […] Il crescente divario economico fra classe ricca e povera degli ultimi tempi è il più marcato del secolo scorso e di questo, eccetto per la Grande Depressione degli anni ‘30». Warren Buffett, da decenni stabilmente tra i primi 5 più ricchi del mondo, con un patrimonio personale attuale di oltre 100 miliardi di dollari, nel 2011 ha fatto notare candidamente come lui stesso pagasse all’erario il 17,4% sul suo reddito annuo (all’epoca di 40 milioni di dollari) da investimenti finanziari, mentre la sua segretaria e gli impiegati del suo ufficio versassero in media il 36% del proprio reddito da lavoro. Una situazione talmente eclatante da far confessare allo stesso Buffett che: «c’è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo». [Post completo sui nostri canali telegram https://t.me/intellettualecollettivo e Facebook. Testo e immagine tratti da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/]
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6) La gran parte degli errori precedenti dipende in ultima analisi dall'adesione ad un progressivo revisionismo ideologico che ha portato all'abbandono del marxismo-leninismo. Il dato è esplicitato nel XV Congresso del PCI del 1979, nel quale Berlinguer in persona propone e fa passare la modifica dello Statuto del Partito, eliminando i riferimenti all'ideologia marxista-leninista (articolo 5) per affermarne la “laicità”. 7) L'aver difeso senza riserve lo Stato borghese durante la stagione del “caso Moro”, diventandone di fatto il primo difensore, connivente con chi nella DC e nella CIA voleva Aldo Moro morto. Prima dell'attentato di via Fani le BR contano, secondo alcuni sondaggi, il 25% del consenso tra la classe operaia, che in una maniera o nell'altra simpatizza con le loro azioni tese a colpire il regime borghese guidato dai democristiani. Berlinguer non era certo obbligato a sostenerli, ma poteva cercare uno spazio diverso come fece Craxi (che chiedeva l'avvio delle trattative per salvare Moro e riconoscere politicamente l'organizzazione BR, sperando di trasformarla così in soggetto politico) oppure come fece il grande intellettuale Sciascia proclamando «né con lo Stato né con le BR». Particolarmente rilevante appare l'abbandono formale del marxismo-leninismo dallo Statuto. Su questo tema vale la pena riportare quanto scritto da Costanzo Preve: «Negli anni Ottanta il vecchio dinosauro PCI è come un bastimento alla deriva. Come tutti i dinosauri, ha ormai un corpo grande ma una testa minuscola. Il togliattismo progressista e storicista si era già squagliato come un mucchio di neve al sole. La sconfitta operaia alla FIAT aveva di fatto sancito, con questa battaglia difensiva di retroguardia, la fine della funzione di opposizione e di contestazione della classe operaia di fabbrica in Italia. Gli intellettuali, che lungi dall’essere individualisti come spesso stupidamente si dice da chi non li conosce bene, sono invece profondamente conformisti e gregari e si muovono tutti insieme come banchi di pesci, si mossero negli anni Ottanta in gruppo dal gramscismo al pensiero debole postmoderno. Ai posti di comando PCI non arrivarono i vecchi maneggioni togliattiani di destra (Napolitano, Chiaromonte, Macaluso, ecc.), ma i giovani nichilisti della FGCI che avevano consumato integralmente la morte di Dio diventando così dei nicciani “ultimi uomini” (Occhetto, D’Alema, Veltroni, ecc.). Un partito senza teoria è come un popolo civile senza metafisica, per usare l’espressione di Hegel. Il PCI degli anni Ottanta è un partito senza teoria, senza strategia e senza tattica. Un povero bestione barcollante, che trova inevitabilmente nella deriva identitaria il solo collante che possa ancora dare senso di appartenenza ai militanti ed agli elettori smarriti. Il partito si ammalò di “craxite”, cioè di personalizzazione polemica contro la figura del cinghialone e del ladrone, cui venivano contrapposti gli austeri ed onesti comunisti. La lettura delle riviste degli anni Ottanta (e di Linus in particolare, brodo di coltura di tutti i morettismi successivi) è in proposito ad un tempo agghiacciante ed esilarante. Non esiste più analisi strutturale delle classi e dei rapporti sociali, ma solo una insistita e maniacale polemica contro i ladroni socialisti. Ora, non nego che i socialisti fossero veramente dei ladroni, e lo erano appunto perché non disponevano delle collaudate idrovore di finanziamento strutturale DC e PCI (industria di stato, finanziamenti esteri, cooperative, ecc.), e dovevano supplire con una sorta di dilettantismo brigantesco. Ma questa non era che la superficie pittoresca del problema, così come lo è oggi la “berlusconite”, cui la “craxite” assomigliava come una goccia d’acqua. La personalizzazione mediatica del conflitto è il più evidente sintomo della avvenuta americanizzazione culturale. Tramonta Gramsci, ascende Fassino.
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L'ottica è quella di costruire una democrazia “progressiva” che ponga l'Italia fuori dalle strutture imperialiste (NATO e CEE), ricostruendo politiche economiche progressive sulla base del nesso tra sovranità popolare e sovranità nazionale. A suo modo, la posizione di Togliatti è, considerato il contesto, ancora su posizioni di un “riformismo rivoluzionario” per un paese posto sotto l'egida degli USA. Il PCI di Berlinguer è invece un Partito che abbandona tutti gli aspetti progressivi ancora presenti sotto Togliatti, diventando di fatto e nella sostanza un Partito socialdemocratico moderno, cedendo non solo sul leninismo e sull'appartenenza internazionale al movimento comunista, ma addirittura su alcune categorie marxiste fondamentali, lasciando progressivamente campo aperto a ideologie alternative fondate su logiche corporative, aclassiste, morali e perfino cristiane. Perfino l'antimperialismo, ribadito nei discorsi e in molti atti concreti di solidarietà internazionale, si dissolve nella sciagurata idea di poter democraticizzare le istituzioni imperialiste europee, secondo una logica totalmente antileninista che sarà ancora il cardine del progetto de “L'Altra Europa con Tsipras” (elezioni europee del 2014), caratterizzando l'impostazione ideologico-politica della sinistra italiana per oltre 40 anni, facendole così dimenticare tutta l'avanzata elaborazione della storia precedente, iniziata come abbiamo visto con le polemiche poste da Lenin e Rosa Luxemburg al concetto degli “Stati Uniti d'Europa” già negli anni della prima guerra mondiale. La crisi successiva della sinistra italiana, se non è certamente ascrivibile al solo Berlinguer, non lo vede al contempo esente da enormi responsabilità, di cui sarebbe opportuno prendere atto, rifuggendo dalla consueta pantomima del ritratto agiografico che poco può servire al movimento operaio italiano. Per noi rimane un compagno in buona fede, che come tutti gli altri comunisti della Storia, ha saputo dare contributi utili e meno utili. Non dimentichiamo la sua lezione, nel bene e nel male. [Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]
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Se quest'ultimo la intende come un ridare valore alla democrazia liberale borghese e al pluripartitismo, il PCUS avrebbe dovuto coglierne il messaggio della necessità di una maggiore lotta contro la burocratizzazione, il verticismo gerarchico e le sempre maggiori diseguaglianze interne, cercando gli strumenti per un maggiore coinvolgimento degli strati popolari più coscienti e lavorando al miglioramento del livello politico e ideologico di quelli meno coscienti. 7) L'aver introdotto per primo il tema di uno sviluppo umano eco-sostenibile diverso dal mero aumento quantitativo di merci. Nei discorsi del 1977 la sua concezione dell'austerità non prevede di impoverire i lavoratori bensì di mettere in guardia dall'idea che la felicità individuale passi dal mero consumismo sfrenato, mettendo in guardia dalla corrispondenza tra progresso e accettazione di ogni bisogno indotto dalla società capitalistica. Quali sono stati però i suoi grandi errori? 1) Sotto la sua Segreteria sono avvenuti i maggiori cedimenti ideologici (anzitutto economici) non solo di una sua parte (il rafforzamento dell'ala migliorista guidata da Napolitano, che si sarebbe dovuta cacciare subito) ma dell'intero Partito. Diamo per assodato il punto di partenza della “via italiana al socialismo”. Come è stata articolata? L'ossessione della legittimazione governativa (riconducibile ad una degenerazione marxianamente nota come «cretinismo parlamentare») ha portato il PCI a trasformare la politica del compromesso storico (1973-76), che poteva avere un senso dal punto di vista meramente tattico, nella stagione dell'austerity condotta attraverso il periodo della solidarietà nazionale (1976-79), durante la quale il partito si è alienato le simpatie di milioni di lavoratori, perdendo il contatto con gran parte dei movimenti giovanili/studenteschi e iniziando un declino elettorale ininterrotto il decennio successivo. 2) Il primo compito di un dirigente deve essere preparare la sua successione. Emerge con nettezza l'incapacità di aver saputo crescere una nuova leva di dirigenti all'altezza della situazione. Fassino, D'Alema, Mussi, Vendola, Bassolino, Turco, Occhetto sono tutti stati “allevati” sotto la Segreteria Berlinguer. 3) Nel 1974 Berlinguer decide personalmente di smantellare l'impianto para-militare clandestino del PCI (celato sotto il nome di “Commissione Antifascismo”) rimasto in vita sottotraccia durante tutta l'epoca Togliatti, rendendo palese come la via democratica al socialismo sia non un passaggio tattico, ma una questione strategica e di sostanza. In questa maniera però ha subito la destabilizzazione interna e internazionale che preparava possibili colpi di Stato nel paese. Il passaggio assai delicato è infatti avvenuto proprio negli anni in cui esplodono le bombe neofasciste della “Strategia della Tensione” e in cui i generali organizzano progetti di golpe militari per ogni evenienza. Il tragico errore è lo stesso di quello compiuto da Allende in Cile, con l'aggravante che quest'ultimo non si era trovata già pronta ad uso difensivo una “Gladio rossa”. 4) La critica all'URSS e al socialismo reale si è spinta ad un livello inaccettabile, portando il PCI a rompere con i paesi e le relative organizzazioni operaie alleati. Berlinguer ha di fatto portato il Partito fuori dal movimento comunista internazionale preparando, se non in maniera volontaria, nei fatti, il suo ingresso nel campo della socialdemocrazia europea. 5) L'aver intrapreso la fallimentare politica dell'eurocomunismo, con cui ha per un certo periodo legittimato la NATO e avallato l'idea che si potesse costruire un'Europa dei popoli, invertendo una politica di netta ed esplicita contrarietà alle istituzioni europee che aveva caratterizzato il PCI come tutte le altre organizzazioni comuniste. Era infatti analisi condivisa la natura di classe borghese degli organismi europei che si stavano costruendo dall'inizio degli anni '50. Ciò dipende in primo luogo da un'inadeguata applicazione della categoria analitica leninista dell'antimperialismo.
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È questa la chiave del balzo in avanti elettorale del PCI dal 1968 al 1976. Il PCI garantiva alla piccola borghesia una stabile modernizzazione e liberalizzazione del costume contro i residui del tradizionalismo clericale, ed alla nuova classe operaia di recente emigrazione un processo graduale di integrazione nella società. In assenza di qualunque prospettiva rivoluzionaria […] era il massimo che si poteva ottenere, ed il PCI contribuì ad ottenerlo. Dunque, nessun tradimento sociale e politico. Il tradimento però ci fu lo stesso, e fu un tradimento culturale terribile. In una parola: il graduale processo di modernizzazione del costume e di integrazione sociale delle classi popolari nel capitalismo fu fatto passare per una sapiente “via italiana al socialismo” ed addirittura per “eurocomunismo”. In questo modo si contribuiva ad un vero e proprio “impazzimento ideologico” di cui continuiamo ancora oggi a pagare i prezzi». (Costanzo Preve) La figura di Berlinguer è ricordata con affetto da milioni di persone, tanto da essere considerato l'ultimo grande dirigente della sinistra italiana. Per certi versi è sicuramente vero, ma è necessario tracciare un quadro meno agiografico della sua pur imponente figura, segnalando non solo gli aspetti positivi, ma anche quelli negativi della sua guida politica. Quali sono stati i suoi meriti: 1) Con la politica del compromesso storico ha portato il PCI al 34% del consenso (nelle Politiche del '76, ad un passo dalla maggioranza relativa), garantendo al paese una forza progressista tale da consentire o sostenere conquiste fondamentali come lo Statuto dei Lavoratori, la Scala Mobile, il servizio sanitario nazionale, l'aborto, il divorzio, i salari più elevati d'Europa, ecc.; il fatto che la NATO avesse già pronti i piani di golpe evidenzia come il PCI costituisse ancora un pericolo per gli interessi dell'imperialismo internazionale. 2) Lo spessore politico, morale, umano dell'uomo, dotato di grande cultura e ideali, modesto, schivo, totalmente alieno dalla logica deleteria della “casta” e dei privilegi. Nonostante sia di origine borghese è un generale con l'animo ed uno stile di vita proletario non solo nei discorsi, ma anche nelle vicende private e nel modo di fare politica. 3) Aver saputo anticipare la questione morale almeno un decennio prima dello scandalo di Tangentopoli, denunciando quella partitocrazia che si fonda sul Pentapartito e che per decenni divora il paese. Di fronte alle avvisaglie del totalitarismo liberale odierno, ne trae la conclusione, negli anni '80, che il PCI non possa allearsi con nessuno, entrando in quello che è stato definito “lo splendido isolamento” del Partito; l'analisi non è propriamente marxista, ed avrà effetti deleteri negli anni, ma la conclusione politica nell'immediato porta ad un posizionamento conflittuale adeguato. 4) La capacità di saper riconoscere i propri errori e di invertire la rotta, come fatto nell'ultima fase della sua Segreteria (1979-84) abbandonando la politica della “solidarietà nazionale” e tornando a proporre un'alternativa di classe, sostenendo in prima persona le lotte degli operai come quelli della FIAT, sfociate nel referendum sulla scala mobile contro le abrogazioni del governo Craxi. 5) Il non aver mai voluto abbandonare l'idea che il PCI dovesse restare un partito comunista dotato della cultura marxista; Berlinguer rifiuta sempre la svolta verso un modello socialdemocratico, il cui campo può al più rappresentare un alleato ma non l'identità stessa del partito. 6) L'aver combattuto la staticizzazione del concetto di comunismo, cristallizzatosi nei paesi dell'Europa dell'Est in forme di socialismo non esenti da errori e contraddizioni. La questione posta da Berlinguer di tendere verso un sempre maggiore nesso tra democrazia e socialismo poteva e doveva essere accolta per tempo dall'URSS in termini però diversi da quelli posti dal segretario del PCI.
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Non a caso, quando alla fine del 1989 si sgretolò il baraccone tarlato dell’Est, Fassino dichiarò che il PCI non aveva potuto seguire bene il fenomeno perché impegnato nelle elezioni comunali romane del 1989. Trovo questa dichiarazione inconsapevole da teatro dell’assurdo assolutamente sublime, come le discussioni sul sesso degli angeli degli ultimi bizantini mentre i turchi entrano in città (anche se penso si tratti di una leggenda metropolitana, perché non mi risulta)». Vediamo ora il lucido punto di vista di Domenico Moro: «Sul PCI ci sono due questioni da affrontare: una è quella della strategia della cosiddetta “via italiana al socialismo” e l’altra quella del lento degradamento del PCI a partire dagli anni ’70. La via italiana al socialismo, basata su un percorso progressivo pensato attorno alle riforme di struttura e all’attuazione della Costituzione, si fondava sull’esistenza di un forte campo socialista, guidato da una rispettata Unione Sovietica, su una fase espansiva dell’economia, con una forte presenza dello Stato nell’economia, e soprattutto su una forma ancora prevalentemente nazionale del capitalismo e parlamentare di governo. Tutti aspetti questi che sono venuti a modificarsi tra la metà degli anni ’70 e la fine del secolo scorso. Inoltre, nel corso dei decisivi anni ’70 ci sono stati importanti errori politici e cedimenti di carattere ideologico da parte del PCI. Le vicende cilene furono interpretate come la dimostrazione dell’impossibilità di governare con il 51% e della necessità di costruire un “compromesso storico” con la DC, passando così dalla strategia dell’“alternativa di sinistra” a quella dell’“alternativa democratica”. Il PCI, incoraggiato dai successi elettorali e nel tentativo di dimostrarsi forza matura di governo, fece importanti concessioni, dalla linea dell’“austerità” (la politica dei due tempi, ovvero l’accettazione dei sacrifici per tirare fuori il paese dalle difficoltà), che spinse la CGIL al contenimento rivendicativo, fino al riconoscimento della NATO. In questo modo, il PCI rinunciava all’opposizione senza che fossero cadute le riserve nei suoi confronti e, pur essendo entrato nella maggioranza di governo durante la “solidarietà nazionale”, fu costretto ad uscirne subito dopo. In sostanza il PCI fallì la sua strategia governista, alienandosi nello stesso tempo molte simpatie, soprattutto tra i giovani, e perdendo alle elezioni del ’79 tutti i guadagni realizzati nel ’76. La maggioranza del gruppo dirigente comunista non capì fino in fondo la natura di classe della DC né le caratteristiche dell’offensiva del capitale in atto, basata proprio sull’austerità, illudendosi sulla natura neutrale delle istituzioni statali e della democrazia borghese. Dopo la sconfitta, Berlinguer tento di rettificare la linea politica del PCI, ma la morte gli impedì di proseguire. Successivamente, il PCI, privo di una leadership autorevole e sempre più permeabile all’offensiva politico-culturale avversaria e all’eclettismo ideologico, si trasformò in un partito sempre più lontano, soprattutto nel nuovo gruppo dirigente che si stava formando, dalle sue radici comuniste. Il suo scioglimento e la trasformazione in PDS furono, dunque, il risultato di errori di strategia e soprattutto di una lunga operazione di svuotamento ideologico dall’interno». In definitiva: bisogna riconoscere a Berlinguer uno spessore ed uno statuto politico importanti, ben superiori alla media dei dirigenti politici comunisti a lui successivi. Ciononostante occorre affermare che la netta degenerazione del PCI ha subito un'accelerazione decisiva durante gli anni della sua Segreteria. Il PCI di Togliatti è un Partito che si pone ancora su una linea di netta alternatività di classe, in senso antimperialista e che si propone di costruire il socialismo secondo una via pacifista (ma tutelandosi con un apparato paramilitare alle spalle): quest'ultima modalità, pur risultando revisionista rispetto al leninismo, è pur tuttavia legittimata ormai dallo stesso movimento comunista internazionale dell'epoca.
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UN BILANCIO POLITICO DELLA SEGRETERIA BERLINGUER «In Italia […] l'anticomunismo contribuì, in modo determinante, all'affermazione dell'atlantismo. Furono, infatti, la paura e l'avversione al comunismo a rimuovere le pregiudiziali neutraliste e anticapitaliste, presenti tanto nel mondo cattolico quanto nella destra storica e in quella neofascista, favorendo l'inserimento dell'Italia nel mondo occidentale e nell'alleanza atlantica. A sua volta, l'atlantismo condizionò gli equilibri politici tracciando un confine invalicabile che nessun compromesso e nessuna convergenza politica o parlamentare avrebbe potuto superare. Questo confine fu avvertito e denunciato dal PCI come una ingiusta discriminazione nei suoi confronti, addirittura la ragione ultima della mancata conquista della maggioranza elettorale. Anche da parte della DC la scelta atlantica del 1949 fu sofferta politicamente, tanto che una latente opposizione sopravvisse per qualche tempo in alcune frange della sua sinistra interna. L'atlantismo finì per essere adottato anche dalle forze politiche che l'avevano avversato nel 1949. Per primo lo adottò il MSI, nel 1952, attraverso l'anticomunismo; e dieci anni dopo, nel 1963, anche il PSI. Nel 1975-77 perfino il PCI si espresse per l'accettazione della NATO, sia pure con forti ambiguità nel gruppo dirigente e marcate resistenze nella base, che si manifestarono poi nella mobilitazione pacifista contro l'installazione degli Euromissili e contro la guerra nei confronti dell'IRAQ (e quest'ultima proprio in occasione del congresso che sancì la trasformazione del PCI in PDS)». (Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 2001) «Nel decennio decisivo 1964-1973 il PCI diventa uno strumento diretto per l’integrazione di grandi masse studentesche ed operaie nel sistema capitalistico. Non si tratta a mio avviso di un “tradimento”, ma di una funzione fisiologica tipica di ogni normale socialdemocrazia europea moderna. […] Io ripeto fino alla nausea: non ci fu tradimento. Tutti coloro che fantasticano di una situazione rivoluzionaria causata dalla sinergia delle lotte studentesche del 1968 e delle lotte operaie del 1969, con un “autunno caldo” che sembrò protrarsi fino al 1973, costruiscono a mio parere un mito storiografico estremamente diseducativo per le nuove generazioni. Bisogna distinguere in proposito fra due livelli storici distinti, il livello della dinamica superficiale ed il livello della dinamica profonda. La dinamica superficiale era quella della formazione di gruppi rivoluzionari (Lotta Continua, Potere Operaio, Servire il Popolo in una prima fase, e poi i gruppi armati in una seconda fase) che mettevano all’ordine del giorno una rivoluzione di tipo socialista. In termini marxiani, si trattò della falsa coscienza necessaria, ma illusoria, di un’intera generazione. La dinamica profonda era invece quella della integrazione in un capitalismo dei consumi, una dinamica che ovviamente avvenne in modo diverso per gli studenti e per gli operai. Gli studenti confusero un processo di modernizzazione del costume per un processo anticapitalistico, e questa confusione fu propiziata da una ideologia invecchiata che identificava la borghesia con il capitalismo, e non capiva che il capitalismo maturo per poter allargare il proprio spazio di mercificazione universale deve far fuori lui stesso i vecchi residui moralistici borghesi tradizionali. I posteriori esiti innocui di tipo pacifista, ecologista e femminista erano già dialetticamente contenuti in potenza dall’impossibilità di qualunque rivoluzione socialista in Italia. Un discorso diverso deve essere fatto per gli operai. Nella loro stragrande maggioranza (e chi vive a Torino lo ha chiaro come il cristallo, mentre solo chi vive a Teramo o a Benevento può non capirlo) gli operai sanno perfettamente di non potere “dirigere tutto”, e di aver bisogno per difendere i loro interessi di una classe politica e sindacale istituzionalizzata e professionalizzata.
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I Maestri del Socialismo

Formazione e informazione politica, storica e filosofica per un canale gestito da Alessandro Pascale.

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I fatti gravissimi avvenuti in questi giorni a Milano e Roma, dove militanti di Lotta Comunista sono venuti alle mani con i gruppi che supportano la giusta resistenza palestinese hanno riesumato questo testo: un documento politico del 1971 del movimento studentesco milanese su Lotta Comunista. Per chi ritiene che il discorso del trockijsmo e della centralità dell'analisi sulle questioni internazionali siano questioni oggi prive di importanza.
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