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ἄσκησις • áskēsis

Canale dedicato alle tradizioni spirituali tra Oriente e Occidente, l'esoterismo come aspetto spirituale del mondo, l'ascenso, il furor poetico, la filosofia come trascendimento dell'illusione che pervade l'esistente.

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Uomini e sogni siamo d'una fibra E in noi sgranano i sogni le pupille Come bambini all'ombra dei ciliegi, E alza la luna sulle cime il corso D'oro pallido per la vasta notte. ... Affiorano così dal fondo i sogni E come un bimbo vivono che ride, Avanti a noi, grandi nell'onda alterna Come la luna desta dalle cime. Penetrano le vene più profonde; Come mani di spettri in una stanza Hanno dimora e vita in noi perenne. Ed una cosa è I'uomo, l'astro e il sogno. Hugo von Hofmannsthal
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Una nostalgia dell'essere L'uomo rimane un mistero per se stesso. Sente una nostalgia per l'Essere, un desiderio di durata, di permanenza, di assoluto: un desiderio di essere. E tuttavia tutto ciò che costituisce la sua vita è temporaneo, effimero, limitato. Aspira a un altro ordine, un'altra vita, un mondo che è al di là di lui. Sente che è destinato a parteciparvi. Egli cerca un'idea, un'ispirazione, che possa spostarlo in questa direzione. Sorge allora una domanda: "Chi sono io? Chi sono in questo mondo?". Se questa domanda diventa sufficientemente viva, potrebbe dirigere il corso della sua vita. Ma l'uomo non può rispondere, non ha niente con cui rispondere: nessuna conoscenza di sé per affrontare la questione, nessuna conoscenza che gli sia propria. Ma sente che deve accogliere questa domanda: chiede a se stesso cosa egli sia. È il primo passo sulla via. Vuole aprire gli occhi. Vuole svegliarsi. Jeanne de Salzmann, La realtà dell'essere
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Vuoi conoscermi? Sdraiati nel Fuoco fissa e assapora il Divino Fluttuare nel tuo essere; senti il Santo Spirito che commuove e compenetra tutto, che ti fa coniuge del Fuoco che fluttua, della Luce di Dio. Mechthild von Magdeburg, La luce fluente della Divinità
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PRAEFATIO AD LECTOREM ELECTUM (1910) [...] La storia di un'arte è storia di capolavori, non di falimenti né di mediocrità. L'onnisciente storico dovrebbe mostrare i capolavori, le loro cause e la loro interrelazione: lo studio della letteratura è « culto degli eroi », è un raffinamento, o anche, se volete, una perversione di quella religione primordiale. Con molta fatica e con scarso risultato sono passato anch'io per la palude della filologia, però spero nel tempo in cui sarà possibile per chi ama la poesia studiare la poesia - anche quella di tempi e di luoghi remoti senza doversi sovraccaricare degli stracci della morfologia, epigrafia, Privatleben e delizie affini che formano la mentalità archeologica o « scientifica ». Io ritengo assolutamente legittimo che uno voglia studiare la poesia e niente altro che la poesia di un certo periodo, così come ritengo altrettanto legittimo che un altro ne studi le antichità, la fonetica o la paleografia e che alla fine delle sue fatiche sia incapace di distinguere una raffinatezza di stile da una banalità d'espressione. Molte scienze sono connesse con lo studio della letteratura, ma nella letteratura stessa c'è l'Arte, la quale non è né sarà mai scienza. L'Arte è un fluido che si muove sopra ed oltre le menti degli uomini. Ora che ho violato un canone della prosa moderna con questa generalizzazione metafisica, ne violerò un altro. Farò una comparazione fiorita e metaforica. L'Arte, o un'arte, non è dissimile da un fiume, per il fatto che qualche volta essa è turbata dalla qualità del proprio letto pur essendone in certo modo indipendente. Il colore dell'acqua dipende dalle sostanze che compongono il letto del fiume e le banchine attuali e precedenti; gli oggetti fermi vi vengon riflessi, ma il movimento è qualità propria del fiume. Lo scienziato si occupa di tutte quelle cose, ma l'artista si occupa di ciò che scorre. Ezra Pound, Lo spirito romanzo
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Bisogna sentire come evidente che di là della vita terrestre vi è la vita più alta, perché solo chi così sente dispone di una forza intangibile e intravolgibile, solo costui sarà capace, ove occorra, di un sacrificio attivo e di uno slancio assoluto. Julius Evola, Gli uomini e le rovine
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L'uomo si assunse la responsabilità del­le leggi sotto cui voleva vivere e quella di modellare l'ambiente a propria immagi­ne. L'iniziazione primitiva alla vita miti­ca attraverso la Madre Terra si trasfor­mò nell'educazione (paideia) del cittadino capace di sentirsi a proprio agio nel foro. Per il primitivo il mondo era governato dal fato, dai fatti e dalla necessità. Sot­traendo il fuoco agli dèi, Prometeo tramu­tò i fatti in problemi, revocò in dubbio la necessità e sfidò il fato. L'uomo classico formò un contesto civilizzato per una pro­spettiva umana. Era conscio di potere, sí, sfidare il fato; la natura e l'ambiente, ma solo a proprio rischio. L'uomo contempora­neo va oltre: tenta di creare il mondo a propria immagine, di costruire un ambien­te prodotto totalmente dall'uomo, e poi s'accorge che può farlo solo a patto di rifa­re continuamente se stesso per adattarsi ad esso. Dobbiamo ora guardare in faccia la realtà: è l'uomo stesso che è in gioco. [...] Poiché non c'è nulla di desiderabile che non sia stato programmato, il ragazzo di città ne arguisce che sapremo sempre inventare un'istituzione per ogni nostro bi­sogno. Riconosce al processo, come un dato di fatto incontestabile, il potere di creare valore. Che si tratti d'incontrare un compagno, d'integrare un quartiere o d'im­parare a leggere, l'obiettivo verrà sem­pre definito in modo tale che la sua rea­lizzazione sia organizzabile tecnica­men­te. L'uomo il quale sa che tutto quan­to è richiesto viene prodotto, ben presto finisce per aspettarsi che niente di ciò che viene prodotto possa non essere richiesto. Se si può progettare un veicolo lunare, al­trettanto è concepibile la richiesta di anda­re sulla luna. Non andare dove si può andare sarebbe sovversivo. Smascherereb­be la follia del principio che ogni richiesta soddisfatta comporti la scoperta di una ri­chiesta ancor maggiore che chiede di esse­re soddisfatta a sua volta. Una rivelazio­ne del genere arresterebbe il progresso. Non produrre ciò che è possibile mettereb­be in luce che la legge delle «aspettati­ve crescenti» è un eufemismo per indicare un abisso di frustrazione sempre piú profondo, che è il vero motore di una so­cietà fondata sulla coproduzione di servizi e di accresciuta domanda. Lo stato d'animo dell'abitante della cit­tà moderna figura nella tradizione miti­ca solo nelle immagini dell'inferno. Sisi­fo, che per qualche tempo era riuscito a mettere in catene Thanatos (la morte), de­ve far rotolare un pesante masso su per una collina sino in cima all'Ade, e ogni volta che sta per arrivare alla meta il mas­so gli sfugge di mano. Tantalo che, invita­to a pranzo dagli dèi, rubò loro in quella occasione la ricetta segreta dell'ambrosia che guariva ogni male e conferiva l'im­mor­talità, soffre in eterno la fame e la sete, immerso in un fiume le cui acque si ri­traggono dalle sue labbra e sotto i rami di un albero i cui frutti gli sfuggono. Un mondo di richieste sempre crescenti non è semplicemente un male, lo si può soltanto definire un inferno. L'uomo ha conquistato il potere fru­strante di chiedere qualunque cosa perché non riesce a immaginare niente che non possa essergli fornito da un'isti­tu­zione. Circondato da strumenti onnipotenti, è ridotto a essere uno strumento dei propri strumenti. Ogni istituzione nata per esorcizzare uno dei ma­li primitivi è diventata per lui uno scrigno a perfetta tenuta e a chiusura auto­matica. L'uomo è intrappolato nelle scatole da lui costruite per racchiudervi i mali che Pandora si lasciò scappare L'offuscamento della real­tà ad opera dello smog prodotto dai nostri strumenti ci ha avviluppati tutti. Ci tro­viamo all'improvvi­so nel buio di una trappola fab­bricata da noi stessi. Ivan Illich, Descolarizzare la società (1971)
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Rinascita dell'uomo epimeteico La nostra società assomiglia a quella macchina insuperabile che ho visto una volta a New York in un negozio di gio­cattoli. Era uno scrigno metallico, che, premendo un pulsante, si apriva per mostrare una mano meccanica le cui dita cromate si protendevano verso il coper­chio, lo abbassavano e lo chiudevano a chia­ve dall'interno. Trattandosi di una sca­tola, ti saresti aspettato che si potesse estrarne qualcosa, e invece conteneva sol­tanto un meccanismo per chiudere il coper­chio. Questo bizzarro congegno è il contrario esatto della «scatola» di Pando­ra. La Pandora originaria, «Colei che tutto dona», era una dea della terra nella Grecia matriarcale della preistoria. Essa fece scap­pare tutti i mali dal suo vaso (pythos), ma chiuse il coperchio prima che potesse fuggirne anche la speranza. La storia del­l'uomo moderno comincia con la degra­dazione del mito di Pandora e termina con lo scrigno che si chiude da solo. È la storia dello sforzo prometeico per creare istituzioni che blocchino l'azione dei mali scatenati. È la storia dell'affievolirsi della speranza e del sorgere delle aspettative. Per capire ciò che questo vuol dire dob­biamo riscoprire la differenza tra speranza e aspettativa. Speranza, nell'accezione piú pregnante, indica una fede ottimistica nel­la bontà della natura, mentre aspettativa, nel senso in cui utilizzerò questo termine, è contare su risultati programmati e con­trollati dall'uomo. La speranza concentra il desiderio su una persona dalla quale at­tendiamo un dono. L'aspettativa attende soddisfazione da un processo prevedibile, il quale produrrà ciò che è nostro diritto pretendere. Oggi l'ethos prometeico ha mes­so in ombra la speranza. La sopravvi­venza della specie umana dipende dalla sua riscoperta come forza sociale. La Pandora originaria venne mandata sulla terra con un vaso che conteneva tutti i mali, e in piú, come unico bene, la speran­za. Era in questo mondo di speranza che viveva l'uomo primitivo. Egli confida­va, per sopravvivere, nella munificenza del­la natura, nelle elargizioni degli dèi e negli istinti della sua tribú. I greci del­l'e­po­ca classica cominciarono a sostitui­re alla speranza le aspettative. Nella lo­ro versione del mito, Pandora liberava sia i mali che i beni; ma essi la ricordavano so­prattutto perché aveva sguinzagliato i mali nel mondo. E, cosa particolarmente si­gnificativa, dimenticavano che «Colei che tutto dona» era anche la guardiana della speranza. I greci raccontavano anche la storia di due fratelli, Prometeo e Epimeteo. Il pri­mo consigliò all'altro di star lontano da Pandora; ma l'altro non gli diede retta e la sposò. Nella Grecia classica il nome «Epimeteo», che significa «colui che capi­sce a posteriori», era considerato un sinoni­mo di «sciocco» o di «ottuso». All'epoca in cui Esiodo rinarrò questa storia nella sua forma classica, i greci erano divenuti dei patriarchi moralisti e misogini, terro­rizzati al solo pensiero della prima donna. Essi costruirono una società razionale e autoritaria. Escogitarono istituzioni con le quali contavano di tener testa ai mali sca­tenati. Scoprirono il loro potere di plasmare il mondo e di fargli produrre ser­vizi che impararono anche ad aspettar­si. Vollero che le proprie necessità e le fu­ture esigenze dei loro figli fossero confor­mate alle loro opere. Divennero legislato­ri, architetti e scrittori, crearono costitu­zioni, città e opere d'arte perché servis­sero da modello alla loro progenie. Men­tre l'uomo primitivo aveva adoperato una partecipazione mitica ai sacri riti per ini­ziare gli individui alle tradizioni della so­cietà, i greci dell'età classica riconosceva­no come veri uomini solo quei cittadini che si lasciavano adattare dalla paideia (educazione) alle istituzioni create dai lo­ro avi. [...]
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Epimeteo apre il vaso di Pandora, Giulio Bonasone (c.1498-1574)
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Antonio Vivaldi Nulla in mundo pax sincera (RV 630) Emma Kirkby & Christopher Hogwood, Academy of Ancient Music Royal Albert Hall, London 17 Agosto 1998 Nulla in mundo pax sincera sine felle; pura et vera, dulcis Jesu, est in te. Inter poenas et tormenta vivit anima contenta casti amoris sola spe. Blando colore oculos mundus decepit at occulto vulnere corda conficit; fugiamus ridentem, vitemus sequentem, nam delicias ostentando arte secura vellet ludendo superare. Spirat anguis inter flores et colores explicando tegit fel. Sed occulto factus ore homo demens in amore saepe lambit quasi mel. *** Nessuna pace, nel mondo, è sincera senza rancore; pura e vera pace è in te, dolce Gesù. Tra pene e tormenti vive contenta l'anima, nella sola speranza del (tuo) casto amore. Il mondo inganna gli occhi con il suo smorto colore ma trafigge i cuori con la sua ferita occulta; fuggiamo chi ride, evitiamo chi ci segue, poiché ci vorrebbe superare giocando mostrando delizie con arte sicura. Il serpente sibila tra fiori e colori districandosi nasconde il fiele. Ma l'uomo che per i baci furtivi ha perso la testa nell'amore spesso lo lecca come fosse miele. https://m.youtube.com/watch?v=XM3lDvhRzsQ
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Emma Kirkby - Nulla In Mundo Pax Sincera

The great British soprano Dame Emma Kirkby singing Nulla In Mundo Pax Sincera (RV 630), a sacred motet composed by Antonio Vivaldi to an anonymous Latin text. The programme of BBC Prom 39 at the Royal Albert Hall included works by Vivaldi, Handel and Bach, Nulla In Mundo being the only solo piece sung by Kirkby. The concert took place on Monday 17 August 1998 with the Academy of Ancient Music conduced by Christopher Hogwood.

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O nobile fratello! Sappi che diverse sono le Vie, ma una sola è quella che conduce alla Verità e coloro che si incamminano sulla Via della Verità la percorrono da soli. Ordunque, benché la Via della Verità sia una, i suoi aspetti mutano, nondimeno, al mutare degli 'stati' di coloro che la imboccano, e variano in rapporto all'equilibrio o alla disarmonia del 'temperamento' (mizāğ); alla fermezza o all'incostanza del cercatore; alla forza o alla debolezza della sua spiritualità; alla perseveranza o alla fragilità del suo anelito; all'integrità o al difetto della sua inclinazione. Muḥyi al-Dīn Ibn al-ʿArabī, Risālat al-Anwār - L'epistola dei settanta veli
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