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War Room - Russia, Ucraina, NATO

Un tentativo di riflessione sugli aspetti MILITARI del conflitto, più qualche considerazione sparsa. I tifosi sono pregati di andare a tifare altrove.

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01
Sarà certamente una coincidenza ma il giorno dopo, ovvero il 24 maggio, con un tweet (https://x.com/SecBlinken/status/1793785461317726406) Blinken annunciava la fine dell'era della carota e l'avvento di quella del bastone: "Annuncio una nuova politica di restrizione dei visti per coloro che sono responsabili dell'indebolimento della democrazia in Georgia, inclusi quelli collegati alla legge "sulle influenze straniere" proposta da Sogno Georgiano". La risposta del partito è stata abbastanza dura: uno degli esponenti principali, Mamuka Mdinaradze, ha dichiarato che l'indipendenza del paese "non è in vendita per un visto". Anche Potere Popolare (Khalkhis Dzala, non il nostro Potere al Popolo), che è nato da una scissione di Sogno Georgiano ma spesso lo appoggia, ha dichiarato che "se la Georgia deve scegliere tra rafforzare la sua sovranità e i visti statunitensi, le sue autorità sceglieranno la Patria". Domani, ovvero il 27 maggio, il Parlamento georgiano si riunirà per rigettare il veto della Presidente, che Kobakhidze ha accusato di "tradimento" - però ha anche detto che si aspetta di vivere, nel 2030, in una Georgia unita e forte insieme ai fratelli della Abkhazia e dell'Ossezia del sud, e che questa Georgia unita e forte dovrebbe essere un membro dell'Unione Europea.
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02
Il governo georgiano non sembra essersi lasciato sedurre dal pacchetto (forse anche perché collocato in un indeterminatissimo futuro ipotetico, in cambio di atti concreti e immediati). Anzi, il giorno dopo il Primo Ministro Irakli Kobakhidze, che durante tutto il chiasso sulla "legge russa" era rimasto un po' nell'ombra, ha dichiarato che dal 2022 ci sono stati tentativi seri per creare un secondo fronte in Georgia (senza specificare da parte di chi) per indebolire la posizione russa, ma che questo distruggerebbe il paese. C'è, secondo lui, un "partito globale della guerra" il cui interesse non è la sorte della Georgia ma solo l'indebolimento della Russia, ma loro non vogliono averci niente a che fare (i ricordi del 2008 sono ancora piuttosto vivi nel paese). Non solo. Il giorno dopo ancora, sempre Kobakhidze ha dichiarato di essere stato "ricattato" (noi italiani diremmo "avvertito") da un commissario europeo, che in una conversazione telefonica gli avrebbe ricordato cosa è successo a Fico e gli avrebbe consigliato di "stare attento". Poco dopo il nome del funzionario europeo è stato comunicato: si tratta di Olivér Várhelyi, ovvero il Commissario europeo per l'allargamento e la politica di vicinato, non proprio l'ultimo galoppino. Pur sostenendo di essere stato frainteso e che le sue parole erano state decontestualizzate, Várhelyi non ha negato l'accaduto (qui la sua dichiarazione: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_24_2821). Il caso ha avuto, come era ovvio, una risonanza mediatica altissima e se non ve ne siete accorti è solo perché siete molto distratti o vi paga Putin. In realtà in Italia non ne ha parlato nessuno, ovviamente, tranne un trafiletto dell'ANSA, ed è anche troppo.
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03
Nell'ultima settimana la Georgia è un po' uscita dai riflettori mediatici. Un po' la polizia non ha ammazzato nessuno, un po' i manifestanti non hanno dato fuoco al parlamento, un po' il nostro Twitter ha trovato altre cose su cui indignarsi. La situazione però resta parecchio tesa, e sia gli USA che l'Unione Europea sembrano essersi messi d'impegno per continuare a mantenerla tale, alternando sapientemente carota (poca) e bastone (parecchio, almeno a parole). Dopo il veto posto alla "legge russa" dalla Presidente Zourabichvili, infatti, gli USA hanno proposto immediatamente un pacchetto di assitenza militare e commerciale (https://www.politico.eu/article/us-military-trade-package-georgia-foreign-agent-bill-democratic-backsliding-human-rights-visa-liberalization/#:~:text=Foreign%20Affairs-,US%20to%20consider%20major%20military%2C%20trade%20package%20to%20Georgia%20if,style%20%E2%80%9Cforeign%20agent%E2%80%9D%20bill.) - o meglio, hanno dichiarato che lo avrebbero proposto. È interessante notare come la motivazione del pacchetto, che doveva incoraggiare la Georgia a "restare una democrazia", non avesse troppo a che fare con la "legge russa" ma con le prossime elezioni che, se la "legge russa" fosse approvata, non sarebbero libere, per motivi che né i giornalisti di Politico né le autorità statunitensi si sono presi la briga di comunicare. Il pacchetto doveva comprendere la liberalizzazione dei visti per gli USA, "accesso migliorato ai mercati americani" e soprattutto "equipaggiamento di sicurezza e difesa" per proteggersi dall'aggressione russa - anche qui, non viene comunicato quale. Il tutto, appunto, se la Georgia dimostrasse di essere un paese veramente democratico con elezioni libere. In caso contrario nessun pacchetto, e sanzioni per i politici che dovessero approvare la legge.
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04
Aggiungo questa carta che mostra il sistema di early warning russo, con Armavir-ovest (linea rossa) disattivato. È un bel buco.
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05
PS: certo, potrebbe anche essere stata una decisione solo ucraina. La cosa, se possibile, è ancora più spaventosa. Poiché la leadership ucraina non ignora la dottrina nucleare russa e le conseguenze di un attacco del genere, significherebbe che vuole far precipitare la situazione e trascinare la NATO in questa escalation. Non so cosa è peggio.
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06
Ora è molto probabile (non mi spingo a dire che è certo, ma siamo lì) che al radar in questione non sia successo niente. Se il radar fosse stato distrutto, ovvero se la Russia fosse stata privata, ripeto, della sua capacità di early warning in caso di attacco nucleare NATO da est, avrebbe già risposto con lanci di ordigni nucleari, forse anche strategici, sui centri decisionali ucraini, in ottemperanza alla dottrina nucleare della Federazione Russa su cui ho scritto qualche paginetta, come già saprete. Dico centri decisionali ucraini perché l’esecutore dell’attacco è ovviamente l’Ucraina: ma ne è anche il mandante? Torniamo alla questione degli ATACMS sulla Crimea. Ovviamente far danno alla Russia è un’ottima cosa, e quanto più se ne fa tanto meglio, dal punto di vista ucraino: avendo perso l’iniziativa strategica, e non sembrando in grado di poterla recuperare, resta solo da vendere cara la pelle e fare più danni che si può, e questo è logico e razionale. Ciò che è meno logico, però, è questo accanimento sulla Crimea. La minaccia militare russa in Ucraina, lo abbiamo già detto, non parte dalla Crimea. La distruzione di batterie antiaeree/antimissile sulla Crimea e l’attacco (finora inefficace, ma chissà in futuro) del radar di early warning che copre Crimea e Mar Nero possono significare solo due cose. In ordine di probabilità, la prima è il famoso attacco al ponte di Kerc, che è veramente l’ossessione della leadership ucraina, per il quale pare disposta a sacrificare ogni tipo di armamento ottenuto dalla NATO che sarebbe meglio speso altrove. L’altra probabilità, ovvero un attacco convenzionale o nucleare NATO dal Mar Nero, non voglio nemmeno prenderla in considerazione perché ho questa strana ambizione di voler morire nel mio letto, e comunque non nel prossimo futuro. Perché effettivamente quello che dobbiamo chiederci è questo: a chi interessa davvero accecare le capacità di early warning russo sul Mar Nero, all’Ucraina o alla NATO? A chi interessa davvero privare la Russia delle sua capacità antiaeree nella regione, all’Ucraina o alla NATO? Chi è che voleva infliggere una ‟sconfitta strategica” alla Russia e chi ha detto più volte, e molto esplicitamente, che mandare armi è un buon investimento perché riduce le capacità militari della Russia, l’Ucraina o la NATO? La risposta a questa domanda avrà conseguenze di una certa importanza per ciò che ci aspetta. Io penso che ormai sia abbastanza chiaro che la guerra, come la NATO voleva condurla (ossia aspettando che la Russia collassasse da sola, e senza dovere intervenire con troppi sforzi) è perduta. Resta da capire se la NATO è disposta a provare a vincere cambiando strategia, ossia intervenendo militarmente. Perché se intende farlo, limitare le capacità di difesa russe nel Mar Nero è il primo passo da fare. A quanto pare, lo stanno facendo. Vedremo che tipo di bersagli colpiranno dopo avere autorizzato l’Ucraina a colpire il territorio russo con gli armamento NATO (lo faranno, ovviamente, e l’intervista di ieri di Stoltenberg lo prova. Finora ogni volta che si è ‟discusso” qualcosa, la decisione era già stata presa da un pezzo). Se saranno obiettivi strategici, e non tattici, vorrà dire che avevo purtroppo ragione.
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07
I due sistemi radar di Armavir, che operano su frequenze UHF, coprono l’Iran, il Medio Oriente e la parte più meridionale dell’Ucraina (foto 3). Soprattutto, sono uno dei tasselli della rete di early warning russa per la propria difesa da attacchi missilistici e nucleari ICBM; possono anche identificare aerei e missili di altro tipo, ma il loro ruolo principale è quello. A tutti gli effetti pratici, un radar che serve alla Russia per identificare missili nucleari diretti verso il suo territorio è stato colpito. Se un radar di quel tipo viene danneggiato non solo le capacità di difesa vengono limitate, ma aumenta a dismisura il rischio di un ‟falso positivo”, ossia il rischio di identificare come una minaccia qualcosa che non lo è e fare scattare le contromisure del caso anche in assenza di una minaccia.
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08
A questa nota dobbiamo aggiungere uno sviluppo potenzialmente molto importante. Ieri aveva cominciato a farsi strada una notizia che ora pare confermata (anche se ufficialmente né la Russia né l’Ucraina l’hanno commentata): uno dei due radar di Armavir, nella Russia meridionale (foto 1), è stato colpito e, a giudicare dalle foto, danneggiato (foto 2). Si tratta di un radar di tipo ‟Voronež”, ossia l’ultimo modello, entrato in servizio dopo che nel 2009 le due stazioni radar di Sebastopoli e Mukachevo, entrambe in Ucraina, avevano smesso di condividere dati con la Russia (che aveva già annunciato di non volersene più servire dopo la dichiarazione ucraina del 2008 di volere entrare nella NATO). L’importanza di Armavir era ulteriormente aumentata nel 2012, quando il radar di Gabala, in Azerbaijan, era stato smantellato dalla Russia – Aliev voleva troppi soldi per l’affitto, e soprattutto quel radar si era fatto troppo vecchio.
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09
Dal 17 aprile, se ho contato bene, l’Ucraina ha utilizzato, a voler fare una stima molto conservativa, 50 ATCMS per attaccare vari bersagli. Alcuni di questi attacchi hanno avuto successo e hanno colpito installazioni importanti: almeno due S-400, un deposito di munizioni, e almeno tre aerei in un attacco all’aeroporto di Belbek il 16 maggio (resta il dubbio se quegli aerei fossero o meno operativi, ma ci interessa poco), altri sono stati neutralizzati. Tutti questi attacchi tranne due (il deposito di munizioni e uno degli S-400) hanno colpito la Crimea, che si conferma il bersaglio principale dei lanci ucraini nonostante il fatto che, dal punto di vista strategico, i problemi vengano non da sud (la Crimea appunto) ma da est. Dopo gli attacchi al ponte di di Kerč’, dopo gli attacchi a Sebastopoli e alla flotta, dopo l’abbandono dell’idea (se ma è stata presa in considerazione) di uno sbarco a Odessa, la penisola ha progressivamente perso di importanza come base per far partire attacchi sul territorio ucraino, e il completamento della linea ferroviaria a nord lo ha ridotto ulteriormente. Per le operazioni militari russe, la Crimea non è più fondamentale: eppure resta, come abbiamo visto, il bersaglio principale degli attacchi ucraini. Quei 50 ATACMS avrebbero potuto fare più danni, e limitare maggiormente le operazioni russe, se fossero stati utilizzati in altri settori del fronte - ma così non è stato.
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BONUS TRACK: PUTIN VUOLE UN CESSATE IL FUOCO, titola Reuters (https://www.reuters.com/world/europe/putin-wants-ukraine-ceasefire-current-frontlines-sources-say-2024-05-24/?utm_source=Sailthru&utm_medium=Newsletter&utm_campaign=Daily-Briefing&utm_term=052424&user_email=beb153e26cc5453399a6e864e8ac4930395c650a1cbabfad18dc356e71a2c4ba), ed è disposto a negoziare. Al di là del fatto che molti, dalle nostre parti, confondono "disposto a negoziare" con "disposto ad arrendersi", la Russia non è mai stata contraria a negoziare: alle sue condizioni, ovviamente. Se riuscisse ad ottenere quello che vuole per gentile concessione dell'Ucraina, invece di doverlo strappare combattendo, non si capisce perché non dovrebbe voler negoziare (lo stesso vale, ovviamente, per l'Ucraina. Se la Russia fosse disposta ad accettare il "piano Zelensky" sono abbastanza sicuro che la proibizione di intavolare negoziati cadrebbe immediatamente). Ma, appunto, negoziare per ottenere quello che vuole. E quello che vuole, secondo i nostri (che o non hanno capito o più probabilmente fanno finta di non capire) è il territorio (perché questa è una guerra imperialista e coloniale, quindi una guerra per il territorio). E invece non è tanto il territorio che vuole (pur non disdegnandolo affatto, come si è visto) quanto la neutralità dell'Ucraina, ovvero la rimozione di qualsiasi possibilità che la NATO vi metta piede in qualsiasi forma. Tanto che, negli infausti negoziati del marzo-aprile 2022, di territorio ucraino da annettere alla Russia (Crimea esclusa, ovviamente) non si parlava - si parlava di tutt'altro, ed era proprio il tutt'altro che disturbava i nostri capi. Ad ogni modo, essendo la notizia esplosa stamattina, nel pomeriggio ci hanno pensato Peskov e Putin a chiarire. Negoziare sì, dispostissimi, ma bisogna tener conto delle nuove situazioni (ossia le regioni annesse non sono più negoziabili, inclusa la centrale nucleare di Energodar della quale parliamo sempre troppo poco). In più, secondo Putin, c'è il problema del non sapere con chi eventualmente negoziare, visto che il mandato di Zelensky è scaduto e, secondo la Russia, non è più legittimato a concludere trattati. I negoziati, ha concluso Putin (dopo che Peskov aveva ricordato che la Costituzione russa, che elenca le regioni che ne fanno parte - incluso quelle annesse durante la guerra - non si cambia) devono partire dalla base di quelli del 2022, considerando però che le condizioni adesso sono diverse. Quindi no, nessuna tregua, nessun congelamento, niente di tutto questo. Vediamo che fa la Lituania.
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Post LUNGO (mi devo fare pure io 'o substack) Mi capita abbastanza spesso di leggere delle cose piuttosto stupide (anche di scriverne, per carità. Anche di scriverne, ma più spesso di leggerne se non altro perché io sono solo uno e loro sono molti). E questa è una delle più stupide che mi sia capitato di leggere da un bel po'. "Siamo pronti", twitta il Ministro degli esteri lituano Gabrielius Landsbergis, in risposta alla richiesta del deputato ucraino Oleksiy Goncharenko (https://x.com/GLandsbergis/status/1794013658114089271). Pronti a cosa? A mandare truppe (mica da soli, per carità, come parte di una coalizione guidata dalla Francia o "da qualsiasi altro paese" esclusa, par di capire, proprio la Lituania) per addestrare le truppe ucraine in Ucraina. Non la consideriamo una mossa escalatoria, dice Landsbergis, perché queste truppe non avranno un ruolo da combattenti. La stupidità di questa affermazione è, in realtà, la somma di varie stupidità che ora andiamo ad analizzare. 1) È abbastanza ovvio che l'esercito lituano non interverrebbe in missioni di combattimento. I suoi effettivi ammontano a 8.850 soldati più 5.650 riservisti, la cui esperienza sul campo è, a voler essere generosi, minima - hanno partecipato a varie missioni di pace prima e dopo l'ingresso nella NATO, in Iraq, Afghanistan, Mali, Repubblica Centrafricana e simili, con pochissimi effettivi sul campo (e pure sono riusciti a perdere due uomini, uno in Bosnia e uno in Afghanistan). Se anche li si mandasse tutti in Ucraina (cosa che ovviamente non è fattibile, per ovvi motivi) non penso potrebbero impensierire moltissimo l'esercito russo (nemmeno quello bielorusso, credo). 2) Continua ancora l'idiozia dell' "addestrare le forze ucraine", idiozia offensiva per gli ucraini stessi, che resistono da due anni e mezzo combattendo contro i russi e che, se davvero la NATO ha intenzioni bellicose, dovrebbero essere loro ad addestrarne le truppe, non certo il contrario. La qualità straordinaria dell'addestramento NATO si è vista tutta durante la controffensiva dell'estate scorsa e alla fine si è avuto anche il coraggio di dire che la colpa dell'insuccesso era degli ucraini, che non sono stati in grado di apprendere le fantastiche tattiche occidentali. Per cui quale addestramento possano mai fornire i lituani resta un mistero. 3) L'intera idea del "mandare le truppe NATO in Ucraina ma non a combattere" è forse la più stupida in assoluto. Se la NATO spera che sia un esercizio di deterrenza, ovviamente non funzionerà - anche perché andranno tutti extra articolo 5, e se verranno cannoneggiati non potranno aspettarsi assistenza. Non penso che la Russia abbia intenzione di cannoneggiarli apposta (non vedo cosa potrebbe guadagnarci), ma diciamo che non si troverebbero in una situazione invidiabile, e questo senza contare tutte le difficoltà logistiche alle quai andrebbero incontro. Dovrebbero andare sul posto sostanzialmente disarmati, a parte le armi individuali, e sarebbero loro a dovere essere difesi dagli ucraini: invece di liberare truppe ne impegnerebbero di più. Il tutto senza contare il punto 2, ovvero il vaneggiamento che truppe che non hanno mai sparato un colpo in vita loro al di fuori di un poligono possano davvero addestrare l'unico esercito al mondo, insieme a quello russo, che sa cosa sta succedendo da quelle parti e che le tattiche adatte alle sue necessità le sta creando.
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Ecco, giusto l'altro ieri scrivevo che non si vedono Abrams, o comunque carri NATO, con gabbie anti-drone e vengo prontamente smentito da questa foto diffusa oggi che mostra un M1A1SA "ingabbiato". Anche questo esemplare presenta la combinazione di corazzatura reattiva sovietica "Kontakt-1" nella zona frontale e di corazzatura reattiva statunitense standard "ARAT" sui fianchi, quindi probabilmente possiamo considerarla una modifica standard.
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(avete dei tempi di reazione velocissimi, complimenti)
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BASTA CON QUESTE PILLOLE!!!!!!
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Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, ha dichiarato (https://x.com/MiloradDodik/status/1793601721026875466) che "il popolo serbo ormai non può più vivere in questa BiH [Bosnia ed Erzegovina]" e che entro 30 giorni proporrà un'accordo per una separazione pacifica. Il termine ("разграничењу") è abbastanza ambiguo. Separazione all'interno della Federazione o secessione?
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Poco fa l'Assemblea Generale dell'ONU ha approvato (84 voti a favore, 19 contro, 68 astenuti, 22 non presenti) la risoluzione che dichiara l'11 luglio la giornata della commemorazione delle vittime del genocidio di Srebrenica. Come era prevedibile, la cosa ha suscitato reazioni piuttosto accese non solo in Serbia (giova ricordare che nel 2010 il Parlamento serbo aveva condannato i crimini commessi dalle forze militari serbo-bosniache a Srebrenica e aveva formulato le sue scuse ai parenti delle vittime per non averlo impedito. La questione in Serbia non è negare l'evento, è negarne il carattere di genocidio) ma soprattutto nella Republika Srpska, l'entità territoriale serba in Bosnia (la Bosnia è composta dalla Federazione di Bosnia ed Erzegovina e dalla Repubblica Serba di Bosnia, che hanno in comune il distretto di Brčko. Ironia della sorte, Srebrenica è in territorio serbo).
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Secondo il Ministro della Difesa britannico, Grant Schapps (qui il suo tweet: https://x.com/grantshapps/status/1792540677907034211), la "mobilitazione totale" dell'economia russa (anzi, "di Putin", proprio la sua personale) non è alla lunga sostenibile (e avrebbe perfettamente ragione se, in effetti, l'economia russa fosse interamente mobilitata per il fronte - cosa che non è, o per lo meno non ancora). Quindi vincere sarà facilissimo: basterà che tutti i paesi NATO ("all allies") sostengano l'Ucraina per i prossimi 6 anni garantendo lo stesso livello di sostegno della Gran Bretagna che, dal febbraio 2022 a oggi, ha fornito assistenza per 12,5 miliardi di sterline (trovate i dettagli qui: https://commonslibrary.parliament.uk/research-briefings/cbp-9477/). Mi sembra una cosa fattibilissima e soprattutto a costo pressoché zero.
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(qualcuno mi spiega che significa l'emoji della pillola?)
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Sugli Abrams, invece (ma anche sugli altri carri occidentali) non sono state piazzate le gabbie antidrone, per motivi che mi sfuggono. I miei contatti ucraini dicono (ma non so se è vero) che gli USA non gli permettono di farlo perché rovinano l'immagine del carro, che deve restare riconoscibile. Se fosse vero, sarebbe davvero il trionfo della forma sulla sostanza: ma io credo invece che sia una questione di resistenza al cambiamento (del resto gli eserciti NATO continuano a non investire in droni da poco prezzo, solo nei modelli super-tecnologici e, ovviamente, super-costosi). L'unico esercito NATO che sta cominciando ad adottare le gabbie è quello turco, con circospezione. Nella foto, due Leopard-2 turchi durante un'esercitazione. Gli altri carri sono senza protezione addizionale.
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Sto scrivendo una cosa relativamente lunga sull'offensiva nel settore di Kharkiv e sugli ultimi sviluppi nel Donbas (Klishiivka, Netailove eccetera), ma si è fatto tardi e lo finirò domani. Quindi vi lascio con una foto interessante, un Abrams M1A1SA al quale è stata applicata, sulla parte frontale, la corazza reattiva sovietica di prima generazione "Kontakt-1" in aggiunta alla molto più recente (è entrata in servizio nel 2006) corazza reattiva statunitense M-19 "ARAT-1" sui fianchi del carro (qui ne parla una pagina ucraina: https://mil.in.ua/en/news/ukrainian-abrams-tanks-use-arat-1-reactive-armor/). È un esempio classico di combinazione di materiali sovietico-NATO, ed è certamente meglio qualche cassetta di "Kontakt-1" piuttosto che niente - anche se il posto dove è stata collocata è piuttosto corazzato di suo.
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(Mi sa che le sanzioni restano, nonostante il restyling)
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"Com'era" (il graffito vecchio, che raffigurava un punk) - "com'è" (il graffito adesso, che non raffigura un punk).
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Graffito random, che in nessuna maniera può lasciare intendere una qualche tendenza politica.
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Qui due striscioni (presi dal canale Youtube Fevernova). Nel primo, i WBC si definiscono "100% bianchi" - è un gioco di parole sul fatto che la Dinamo è conosciuta come "біло сині", "bianco azzurri) - ma loro, appunto, sono bianchi al 100%. Il secondo striscione non penso vada a esaltare un giocatore che indossa la maglia 88, mi sa che è un'altra cosa.
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Ora, cosa vuole comunicare questa foto? Azzardo un'interpretazione: il battaglione Azov redivivo, che non è più un battaglione ma è diventato la 12a brigata d'assalto "Azov", sta cercando da un po' di tempo di ripulire la sua immagine, non tanto per fini propagandistici ma pratici. L'unità è infatti dal 2017 sotto sanzioni da parte del governo statunitense, e non riceve (almeno non legalmente) né soldi né equipaggiamento dai vari pacchetti di aiuti che la NATO ha inviato in Ucraina. Il 3 maggio lo stesso Prokopenko comunicava che la petizione per chiedere la rimozione delle sanzioni non ha avuto esito positivo. Nell'altro post che ha pubblicato ieri, Prokopenko enfatizza come il battaglione si sia arreso dopo aver ricevuto l'ordine di farlo e dopo lunga ed eroica resistenza che "ha salvato l'Ucraina", rimarcando quindi lo status di unità regolare, inserita nella catena di comando delle forze armate ucraine e fondamentale per lo sforzo bellico; e la foto, appunto, li accredita come personaggi ragionevoli e rispettosi delle regole e Prokopenko come un uomo serio e maturo, lontano dagli eccessi della sua gioventù di ultras dei WBC (White Boys Club) della Dinamo Kiev, dei quali ora condivido qualche striscione e graffito interessante.
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(Prima che cominciate: no, quello a destra non è Prigožin. Il negoziatore russo è quello a sinistra).
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Tra le varie cose successe ieri, e che ho riassunto, mi ero dimenticato questa. Il 20 maggio 2022 tutto il territorio dell'acciaieria Azovstal passava sotto controllo russo, con la resa degli ultimi soldati ucraini rimasti asserragliati nei sotterranei. In totale si arresero in 2.439, tra cui molti appartenenti al battaglione Azov. Tra loro c'era anche Denis Prokopenko, il comandante del battaglione che, come è noto, venne inviato in Turchia nell'ottobre 2022 con l'intesa che sarebbe rimasto lì fino alla conclusione del conflitto ma che ha invece fatto ritorno in Ucraina nel luglio 2023, per motivi tuttora sconosciuti. Ad ogni modo non è di Prokopenko che volevo parlare (i tratti salienti della sua vita e della sua carriera sono facilmente reperibili su internet), ma della foto che ha diffuso sui suoi social per commemorare la data. Ed è una foto "strana", perché raffigura non fatti d'arme o azioni eroiche, bensì un momento dei negoziati condotti tra russi e ucraini per trattare la resa.
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3) In tutto questo, ovviamente, dell'Ucraina non importa più niente a nessuno. Eppure oggi è una data complessa, perché a mezzanotte (ovvero tra 19 minuti, mentre scrivo) scade il mandato di Zelensky. Ora, dal punto di vista costituzionale non si capisce bene cosa debba succedere: da un lato il Presidente non può restare in carica oltre la scadenza del suo mandato e dovrebbe essere sostituito dal Presidente del Parlamento, che è Ruslan Stefančuk; dall'altro però le elezioni sono state rimandate a data da destinarsi col consenso del Parlamento, quindi si può davvero considerare scaduto il mandato di Zelensky? Secondo la Russia, ovviamente, sì, e le sue autorità lo dicono da settimane. Il problema di Zelensky, però, non è la Russia (che potrebbe fare, infatti? L'idea che possa intervenire "per salvare i fratelli ucraini dal tiranno", che pure ho sentito dire da qualcuno, è sciocca quasi quanto quella che la morte di Raisi avrebbe portato il liberismo a Teheran): il problema di Zelensky è che la sua posizione, al di là di quello che potrebbe pensare la Corte Costituzionale del suo caso (Corte Costituzionale con la quale è in pessimi rapporti dal 2020, ossia dai tempi dello scontro riguardo l'Ufficio Nazionale Anti-Corruzione, fortemente voluto dagli USA e le cui prerogative andavano a sovrapporsi con quelle di varie altre agenzie ucraine, cosa che la Corte trovava anticostituzionale), ora è giocoforza più debole, in un momento in cui l'Ucraina in generale è più debole e le voci critiche - sulla nuova legge sulla mobilitazione entrata in vigore ieri, sulla condotta della guerra, sulla figura stessa di Zelensky ormai precipitato nei sondaggi - diventano sempre di più, tanto che lo deve ammettere anche l'Economist: https://www.economist.com/europe/2024/05/16/volodymyr-zelenskys-five-year-term-ends-on-may-20th. Arestovyč, che ieri in diretta ha detto che la "seconda repubblica ucraina" è fallita, Klyčko che è ai ferri corti con Zelensky da ben prima che la guerra scoppiasse, i "fedelissimi" (Jermak, Budanov) che, come la storia insegna, quando le cose minacciano di finir male sono i primi da cui guardarsi, eccetera. No, questo non vuol dire che stanotte Zelensky sarà fatto fuori, ovviamente. Ma, appunto, la sua posizione è sempre più debole e il nemico comincia ad averlo anche in casa, non solo alle porte.
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A titolo di esempio allego lo screenshot del tweet di John Bolton che pare scritto da Tony Soprano, che in sintesi dice che se l'ICC va contro gli USA o i loro alleati subirà delle conseguenze. Queste persone non si rendono purtroppo conto che questo tipo di comportamenti non delegittima la Corte o le sue decisioni, ma la propria pretesa di occupare una posizione morale più alta e di poter dettare le regole del discorso. Oppure se ne rendono conto ma non gli importa niente, che forse è la cosa più probabile.
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2) Il mandato d'arresto della Corte Penale Internazionale per Netanyahu ha scatenato un'ondata di reazioni a dir poco spropositate (e preoccupanti, sotto certi aspetti). Le reazioni israeliane sono ovviamente comprensibili, pur nella loro esagerazione: corte antisemita, corte nazista, fallimento morale, equiparazione offensiva eccetera eccetera. Le reazioni statunitensi invece, e parlo di quelle ufficiali, non quelle degli scemi di Twitter, sono preoccupanti, con destra, "centro" e "sinistra" USA per una volta unite non tanto a condannare, quanto a minacciare - dalle sanzioni ai membri della corte ad azioni violente contro la corte stessa, la stessa corte che, ricordiamo, era stata unanimemente acclamata come un faro di civiltà quando aveva spiccato un mandato d'arresto per Putin.
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Il riassunto della giornata, dal mio osservatorio privilegiato sull'universo twitter-liberal-calendiano-atlantista. 1) l'esultanza per la morte di Raisi si è molto presto tramutata in costernazione quando ci si è resi conto che il vicepresidente, Mohammad Mokhber (anche qui, che smazzate su Wikipedia che si sono fatti, poveracci, non bastava Belousov...) non è affatto un progressista ma, incredibilmente, uno dei fedelissimi di Khamenei (ma poi, davvero: ma quanto si deve essere sciocchi e ignoranti di storia e politica per credere che basti la morte dell'uomo "cattivo" perché tutto diventi bello e giusto, come se davvero il sistema politico di un paese dipendesse dalla malvagità di un singolo e non dal fatto che il singolo in questione conviene a più gente, o almeno a gente più potente, di quanta lo disprezzi? È una visione della storia e dei processi politici imbarazzante).
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Questa è la zona dove l'elicottero che trasportava il Presidente iraniano Ibrahim Raisi, il Ministro degli esteri Hussein Amir Abdel-Lahyan e due autorità regionali, si è schiantato (o ha effettuato un atterraggio d'emergenza, a seconda della fonte) di ritorno dall'Azerbaijan, dove le autorità iraniane avevano inaugurato insieme al presidente azero Aliyev le dighe di Khudaferin e di Qiz Qalasi sul fiume Araz. Non è un ottimo posto per organizzare le ricerche, soprattutto visto che piove, c'è nebbia e a breve tramonterà il sole.
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Il Wall Street Journal (https://www.wsj.com/world/ukraine-asks-for-u-s-help-in-striking-targets-inside-russia-c1aeac22?page=1) parla finalmente dell'elefante nella stanza, come si suol dire: ovvero, del fatto che quello che gli ucraini vogliono non è il "permesso" di utilizzare le armi statunitensi e occidentali sul territorio russo ma i mezzi per utilizzarle in maniera efficace, ossia l'intelligence. Una volta che quelle armi sono state consegnate, il loro utilizzo diventa responsabilità ucraina ed è facile per la NATO, come del resto ha già fatto, cavarsela bofonchiando che loro non li hanno autorizzati e non approvano, e che quindi non c'entrano niente. Ma l'intelligence è tutt'altra cosa ed è quella che serve agli ucraini, perché senza intelligence quelle armi non servono assolutamente a niente: non basta sparare gli ATACMS sul territorio russo pre-2014, bisogna sapere dove esattamente spararli, e quando, e che tipo di difese dovranno incontrare e come superarle, e nessuna di queste informazioni può essere ottenuta dall'Ucraina perché non ha i mezzi per ottenerle - satelliti militari e commerciali, droni spia, eccetera. E l'intelligence la NATO e gli USA sono dispostissimi a fornirla e la forniscono con entusiasmo, e senza badare a spese, per i territori occupati e per la Crimea, ed è per questo che alcuni attacchi (come quello tra mercoledì e giovedì sull'aeroporto "Bel'bek" di Sebastopoli) hanno successo: ma non sono, per ovvi motivi, disposti a fornirla per attacchi sul suolo riconosciuto come russo dalla comunità internazionale, perché questo significherebbe non più aver solo dato delle armi che qualcuno ha deciso di usare "male" ma aver diretto l'uso delle armi in questione, diventando così direttamente responsabili di ogni perdita umana e materiale causata dall'attacco sulle installazioni militari di uno stato sovrano col quale non sei in guerra. E sarebbe, penso sia evidente, una cosa abbastanza grave e una notevole escalation, che porterebbe a conseguenze sgradevoli. Per ora pare così anche agli USA. Per ora.
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Credo che la cosa più surreale della settimana (non è ancora finita, ma non penso ci siano altri contendenti), sono le accuse della Francia all'Azerbaijan di fomentare la rivolta indipendentista in Nuova Caledonia. Per quanto strana possa sembrare, la cosa è vera e va avanti dal 2023, ovvero da quando la Francia ha inviato armi all'Armenia Qui France24: https://www.france24.com/fr/asie-pacifique/20240517-pourquoi-la-france-accuse-l-azerba%C3%AFdjan-d-ing%C3%A9rences-en-nouvelle-cal%C3%A9donie Qui un thread informativo su Twitter/X: https://x.com/casusbellii/status/1791002672461500675 Qui l'account del Baku Initiative Group, ovvero l'agenzia azera creata per assistere i canachi: https://x.com/bakuinitiative Nella foto, bandiere del Front de libération nationale kanak et socialiste (FLNKS), bandiera azera, e bandiere con croce verde su sfondo arancione dell'Union calédonienne, il più vecchio partito indipendentista canaco fondato nel 1953).
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In questo tweet (https://x.com/shpapuashvili/status/1790988776656769051) Shalva Papuashvili, Presidente del Parlamento georgiano e membro di "Sogno georgiano (cioè il partito "filorusso" accusato di volere "la legge filorussa") accusa i politici stranieri che si sono uniti alle manifestazioni antigovernative nei giorni scorsi (ovvero i Ministri degli esteri di Estonia, Lettonia, Lituania e Islanda) di avere assorbito "la visione russa del mondo", di avere fatto discorsi "che ci si aspetterebbe da un propagandista russo o sovietico", che cercare di far cadere un governo perché non ti piace la sua linea politica "viene dai manuali sovietici" e che la loro visione dicotomica e propagandistica è riconoscibile "a chiunque abbia familiarità con al storia contemporanea russa e sovietica", che "Sogno Georgiano" è un partito europeista ed Euro-Atlantico (ovvero filo-NATO, ragionando nei soliti termini dicotomici) e che la legge è costituzionale e ha precedenti in altri paesi europei. Mi spingo ad affermare, sperando di non essere frainteso, che forse la situazione politica in Georgia è leggermente più complessa di quanto viene riportato dai media.
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Ci eravamo persi la dura condanna dell'attentato a Fico da parte di Repubblica.
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Da un lato, eviterei di dare troppa importanza politica all'attentato subito da Fico. L'attentatore, al di là della su affiliazione politica, è una persona abbastanza marginale e certo non è stato "pagato dalla CIA". Dall'altro, è innegabile che una certa retorica giacobina, con il Bene, la Giustizia, il Progresso e la Ragione in lotta mortale contro le tenebre della Tirannia e dell'Ancien Régime, non può portare e non porterà a nulla di positivo. Intanto, a Tbilisi sono sbarcati i Ministri degli Esteri di Estonia e Lituania, ed eccoli qui che manifestano contro il governo georgiano. Tutto in regola.
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Il riposizionamento liberal/liberista dall'Ucraina alla Georgia procede a velocità smodata e la cosa non depone bene né per l'Ucraina né per la Georgia. E questo al di là del fatto che chiamare la legge di cui si discute "legge russa" è una sciocchezza (anche se è più restrittiva della FARA statunitense), e lo è altrettanto chiamare "Sogno georgiano - Georgia democratica", il partito di maggioranza, un "partito filorusso" o addirittura "un fantoccio del Cremlino", o affermare che il suo fondatore, il milionario Bidzina Ivanishvili (ah, questi milionari che fondano partiti...), è un uomo di Putin perché ha fatto buona parte dei suoi soldi in Russia, ai tempi eroici del liberismo senza freni. E poi ci sono gli eccelsi di + Europa, quelli a cui Platone pensava quando immaginava il governo dei filosofi, che se ne escono con "milioni di georgiani in piazza", che i georgiani tutti sono 3 milioni e 713mila. Non linko il tweet che poi ci cliccate sopra e li fate contenti, e noi questo non lo vogliamo.
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Sarà certamente una coincidenza ma il giorno dopo, ovvero il 24 maggio, con un tweet (https://x.com/SecBlinken/status/1793785461317726406) Blinken annunciava la fine dell'era della carota e l'avvento di quella del bastone: "Annuncio una nuova politica di restrizione dei visti per coloro che sono responsabili dell'indebolimento della democrazia in Georgia, inclusi quelli collegati alla legge "sulle influenze straniere" proposta da Sogno Georgiano". La risposta del partito è stata abbastanza dura: uno degli esponenti principali, Mamuka Mdinaradze, ha dichiarato che l'indipendenza del paese "non è in vendita per un visto". Anche Potere Popolare (Khalkhis Dzala, non il nostro Potere al Popolo), che è nato da una scissione di Sogno Georgiano ma spesso lo appoggia, ha dichiarato che "se la Georgia deve scegliere tra rafforzare la sua sovranità e i visti statunitensi, le sue autorità sceglieranno la Patria". Domani, ovvero il 27 maggio, il Parlamento georgiano si riunirà per rigettare il veto della Presidente, che Kobakhidze ha accusato di "tradimento" - però ha anche detto che si aspetta di vivere, nel 2030, in una Georgia unita e forte insieme ai fratelli della Abkhazia e dell'Ossezia del sud, e che questa Georgia unita e forte dovrebbe essere un membro dell'Unione Europea.
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Secretary Antony Blinken (@SecBlinken) on X

I am announcing a new visa restriction policy for those responsible for undermining democracy in Georgia, including in connection with the Georgian Dream’s proposed “foreign influence” legislation.

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Il governo georgiano non sembra essersi lasciato sedurre dal pacchetto (forse anche perché collocato in un indeterminatissimo futuro ipotetico, in cambio di atti concreti e immediati). Anzi, il giorno dopo il Primo Ministro Irakli Kobakhidze, che durante tutto il chiasso sulla "legge russa" era rimasto un po' nell'ombra, ha dichiarato che dal 2022 ci sono stati tentativi seri per creare un secondo fronte in Georgia (senza specificare da parte di chi) per indebolire la posizione russa, ma che questo distruggerebbe il paese. C'è, secondo lui, un "partito globale della guerra" il cui interesse non è la sorte della Georgia ma solo l'indebolimento della Russia, ma loro non vogliono averci niente a che fare (i ricordi del 2008 sono ancora piuttosto vivi nel paese). Non solo. Il giorno dopo ancora, sempre Kobakhidze ha dichiarato di essere stato "ricattato" (noi italiani diremmo "avvertito") da un commissario europeo, che in una conversazione telefonica gli avrebbe ricordato cosa è successo a Fico e gli avrebbe consigliato di "stare attento". Poco dopo il nome del funzionario europeo è stato comunicato: si tratta di Olivér Várhelyi, ovvero il Commissario europeo per l'allargamento e la politica di vicinato, non proprio l'ultimo galoppino. Pur sostenendo di essere stato frainteso e che le sue parole erano state decontestualizzate, Várhelyi non ha negato l'accaduto (qui la sua dichiarazione: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_24_2821). Il caso ha avuto, come era ovvio, una risonanza mediatica altissima e se non ve ne siete accorti è solo perché siete molto distratti o vi paga Putin. In realtà in Italia non ne ha parlato nessuno, ovviamente, tranne un trafiletto dell'ANSA, ed è anche troppo.
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Press corner

Highlights, press releases and speeches

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Nell'ultima settimana la Georgia è un po' uscita dai riflettori mediatici. Un po' la polizia non ha ammazzato nessuno, un po' i manifestanti non hanno dato fuoco al parlamento, un po' il nostro Twitter ha trovato altre cose su cui indignarsi. La situazione però resta parecchio tesa, e sia gli USA che l'Unione Europea sembrano essersi messi d'impegno per continuare a mantenerla tale, alternando sapientemente carota (poca) e bastone (parecchio, almeno a parole). Dopo il veto posto alla "legge russa" dalla Presidente Zourabichvili, infatti, gli USA hanno proposto immediatamente un pacchetto di assitenza militare e commerciale (https://www.politico.eu/article/us-military-trade-package-georgia-foreign-agent-bill-democratic-backsliding-human-rights-visa-liberalization/#:~:text=Foreign%20Affairs-,US%20to%20consider%20major%20military%2C%20trade%20package%20to%20Georgia%20if,style%20%E2%80%9Cforeign%20agent%E2%80%9D%20bill.) - o meglio, hanno dichiarato che lo avrebbero proposto. È interessante notare come la motivazione del pacchetto, che doveva incoraggiare la Georgia a "restare una democrazia", non avesse troppo a che fare con la "legge russa" ma con le prossime elezioni che, se la "legge russa" fosse approvata, non sarebbero libere, per motivi che né i giornalisti di Politico né le autorità statunitensi si sono presi la briga di comunicare. Il pacchetto doveva comprendere la liberalizzazione dei visti per gli USA, "accesso migliorato ai mercati americani" e soprattutto "equipaggiamento di sicurezza e difesa" per proteggersi dall'aggressione russa - anche qui, non viene comunicato quale. Il tutto, appunto, se la Georgia dimostrasse di essere un paese veramente democratico con elezioni libere. In caso contrario nessun pacchetto, e sanzioni per i politici che dovessero approvare la legge.
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US to consider major military, trade package to Georgia if anti-democratic drift reversed – POLITICO

Incentives would push South Caucasus country to guarantee free elections following outrage over the government’s Kremlin-style “foreign agent” bill.

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Aggiungo questa carta che mostra il sistema di early warning russo, con Armavir-ovest (linea rossa) disattivato. È un bel buco.
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PS: certo, potrebbe anche essere stata una decisione solo ucraina. La cosa, se possibile, è ancora più spaventosa. Poiché la leadership ucraina non ignora la dottrina nucleare russa e le conseguenze di un attacco del genere, significherebbe che vuole far precipitare la situazione e trascinare la NATO in questa escalation. Non so cosa è peggio.
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Ora è molto probabile (non mi spingo a dire che è certo, ma siamo lì) che al radar in questione non sia successo niente. Se il radar fosse stato distrutto, ovvero se la Russia fosse stata privata, ripeto, della sua capacità di early warning in caso di attacco nucleare NATO da est, avrebbe già risposto con lanci di ordigni nucleari, forse anche strategici, sui centri decisionali ucraini, in ottemperanza alla dottrina nucleare della Federazione Russa su cui ho scritto qualche paginetta, come già saprete. Dico centri decisionali ucraini perché l’esecutore dell’attacco è ovviamente l’Ucraina: ma ne è anche il mandante? Torniamo alla questione degli ATACMS sulla Crimea. Ovviamente far danno alla Russia è un’ottima cosa, e quanto più se ne fa tanto meglio, dal punto di vista ucraino: avendo perso l’iniziativa strategica, e non sembrando in grado di poterla recuperare, resta solo da vendere cara la pelle e fare più danni che si può, e questo è logico e razionale. Ciò che è meno logico, però, è questo accanimento sulla Crimea. La minaccia militare russa in Ucraina, lo abbiamo già detto, non parte dalla Crimea. La distruzione di batterie antiaeree/antimissile sulla Crimea e l’attacco (finora inefficace, ma chissà in futuro) del radar di early warning che copre Crimea e Mar Nero possono significare solo due cose. In ordine di probabilità, la prima è il famoso attacco al ponte di Kerc, che è veramente l’ossessione della leadership ucraina, per il quale pare disposta a sacrificare ogni tipo di armamento ottenuto dalla NATO che sarebbe meglio speso altrove. L’altra probabilità, ovvero un attacco convenzionale o nucleare NATO dal Mar Nero, non voglio nemmeno prenderla in considerazione perché ho questa strana ambizione di voler morire nel mio letto, e comunque non nel prossimo futuro. Perché effettivamente quello che dobbiamo chiederci è questo: a chi interessa davvero accecare le capacità di early warning russo sul Mar Nero, all’Ucraina o alla NATO? A chi interessa davvero privare la Russia delle sua capacità antiaeree nella regione, all’Ucraina o alla NATO? Chi è che voleva infliggere una ‟sconfitta strategica” alla Russia e chi ha detto più volte, e molto esplicitamente, che mandare armi è un buon investimento perché riduce le capacità militari della Russia, l’Ucraina o la NATO? La risposta a questa domanda avrà conseguenze di una certa importanza per ciò che ci aspetta. Io penso che ormai sia abbastanza chiaro che la guerra, come la NATO voleva condurla (ossia aspettando che la Russia collassasse da sola, e senza dovere intervenire con troppi sforzi) è perduta. Resta da capire se la NATO è disposta a provare a vincere cambiando strategia, ossia intervenendo militarmente. Perché se intende farlo, limitare le capacità di difesa russe nel Mar Nero è il primo passo da fare. A quanto pare, lo stanno facendo. Vedremo che tipo di bersagli colpiranno dopo avere autorizzato l’Ucraina a colpire il territorio russo con gli armamento NATO (lo faranno, ovviamente, e l’intervista di ieri di Stoltenberg lo prova. Finora ogni volta che si è ‟discusso” qualcosa, la decisione era già stata presa da un pezzo). Se saranno obiettivi strategici, e non tattici, vorrà dire che avevo purtroppo ragione.
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I due sistemi radar di Armavir, che operano su frequenze UHF, coprono l’Iran, il Medio Oriente e la parte più meridionale dell’Ucraina (foto 3). Soprattutto, sono uno dei tasselli della rete di early warning russa per la propria difesa da attacchi missilistici e nucleari ICBM; possono anche identificare aerei e missili di altro tipo, ma il loro ruolo principale è quello. A tutti gli effetti pratici, un radar che serve alla Russia per identificare missili nucleari diretti verso il suo territorio è stato colpito. Se un radar di quel tipo viene danneggiato non solo le capacità di difesa vengono limitate, ma aumenta a dismisura il rischio di un ‟falso positivo”, ossia il rischio di identificare come una minaccia qualcosa che non lo è e fare scattare le contromisure del caso anche in assenza di una minaccia.
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A questa nota dobbiamo aggiungere uno sviluppo potenzialmente molto importante. Ieri aveva cominciato a farsi strada una notizia che ora pare confermata (anche se ufficialmente né la Russia né l’Ucraina l’hanno commentata): uno dei due radar di Armavir, nella Russia meridionale (foto 1), è stato colpito e, a giudicare dalle foto, danneggiato (foto 2). Si tratta di un radar di tipo ‟Voronež”, ossia l’ultimo modello, entrato in servizio dopo che nel 2009 le due stazioni radar di Sebastopoli e Mukachevo, entrambe in Ucraina, avevano smesso di condividere dati con la Russia (che aveva già annunciato di non volersene più servire dopo la dichiarazione ucraina del 2008 di volere entrare nella NATO). L’importanza di Armavir era ulteriormente aumentata nel 2012, quando il radar di Gabala, in Azerbaijan, era stato smantellato dalla Russia – Aliev voleva troppi soldi per l’affitto, e soprattutto quel radar si era fatto troppo vecchio.
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Dal 17 aprile, se ho contato bene, l’Ucraina ha utilizzato, a voler fare una stima molto conservativa, 50 ATCMS per attaccare vari bersagli. Alcuni di questi attacchi hanno avuto successo e hanno colpito installazioni importanti: almeno due S-400, un deposito di munizioni, e almeno tre aerei in un attacco all’aeroporto di Belbek il 16 maggio (resta il dubbio se quegli aerei fossero o meno operativi, ma ci interessa poco), altri sono stati neutralizzati. Tutti questi attacchi tranne due (il deposito di munizioni e uno degli S-400) hanno colpito la Crimea, che si conferma il bersaglio principale dei lanci ucraini nonostante il fatto che, dal punto di vista strategico, i problemi vengano non da sud (la Crimea appunto) ma da est. Dopo gli attacchi al ponte di di Kerč’, dopo gli attacchi a Sebastopoli e alla flotta, dopo l’abbandono dell’idea (se ma è stata presa in considerazione) di uno sbarco a Odessa, la penisola ha progressivamente perso di importanza come base per far partire attacchi sul territorio ucraino, e il completamento della linea ferroviaria a nord lo ha ridotto ulteriormente. Per le operazioni militari russe, la Crimea non è più fondamentale: eppure resta, come abbiamo visto, il bersaglio principale degli attacchi ucraini. Quei 50 ATACMS avrebbero potuto fare più danni, e limitare maggiormente le operazioni russe, se fossero stati utilizzati in altri settori del fronte - ma così non è stato.
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BONUS TRACK: PUTIN VUOLE UN CESSATE IL FUOCO, titola Reuters (https://www.reuters.com/world/europe/putin-wants-ukraine-ceasefire-current-frontlines-sources-say-2024-05-24/?utm_source=Sailthru&utm_medium=Newsletter&utm_campaign=Daily-Briefing&utm_term=052424&user_email=beb153e26cc5453399a6e864e8ac4930395c650a1cbabfad18dc356e71a2c4ba), ed è disposto a negoziare. Al di là del fatto che molti, dalle nostre parti, confondono "disposto a negoziare" con "disposto ad arrendersi", la Russia non è mai stata contraria a negoziare: alle sue condizioni, ovviamente. Se riuscisse ad ottenere quello che vuole per gentile concessione dell'Ucraina, invece di doverlo strappare combattendo, non si capisce perché non dovrebbe voler negoziare (lo stesso vale, ovviamente, per l'Ucraina. Se la Russia fosse disposta ad accettare il "piano Zelensky" sono abbastanza sicuro che la proibizione di intavolare negoziati cadrebbe immediatamente). Ma, appunto, negoziare per ottenere quello che vuole. E quello che vuole, secondo i nostri (che o non hanno capito o più probabilmente fanno finta di non capire) è il territorio (perché questa è una guerra imperialista e coloniale, quindi una guerra per il territorio). E invece non è tanto il territorio che vuole (pur non disdegnandolo affatto, come si è visto) quanto la neutralità dell'Ucraina, ovvero la rimozione di qualsiasi possibilità che la NATO vi metta piede in qualsiasi forma. Tanto che, negli infausti negoziati del marzo-aprile 2022, di territorio ucraino da annettere alla Russia (Crimea esclusa, ovviamente) non si parlava - si parlava di tutt'altro, ed era proprio il tutt'altro che disturbava i nostri capi. Ad ogni modo, essendo la notizia esplosa stamattina, nel pomeriggio ci hanno pensato Peskov e Putin a chiarire. Negoziare sì, dispostissimi, ma bisogna tener conto delle nuove situazioni (ossia le regioni annesse non sono più negoziabili, inclusa la centrale nucleare di Energodar della quale parliamo sempre troppo poco). In più, secondo Putin, c'è il problema del non sapere con chi eventualmente negoziare, visto che il mandato di Zelensky è scaduto e, secondo la Russia, non è più legittimato a concludere trattati. I negoziati, ha concluso Putin (dopo che Peskov aveva ricordato che la Costituzione russa, che elenca le regioni che ne fanno parte - incluso quelle annesse durante la guerra - non si cambia) devono partire dalla base di quelli del 2022, considerando però che le condizioni adesso sono diverse. Quindi no, nessuna tregua, nessun congelamento, niente di tutto questo. Vediamo che fa la Lituania.
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Exclusive: Putin wants Ukraine ceasefire on current frontlines

Russian President Vladimir Putin is ready to halt the war in Ukraine with a negotiated ceasefire that recognises the current battlefield lines, four Russian sources told Reuters, saying he is prepared to fight on if Kyiv and the West do not respond.

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